L’epicureismo è la dottrina insegnata dal filosofo greco Epicuro e dai suoi seguaci. È stato, assieme allo stoicismo, una delle grandi scuole filosofiche dell’età ellenistica. La prima delle grandi scuole ellenistiche, sorse ad Atene verso la fine del IV secolo a.C. (probabilmente nel 307/306 a.C.) a opera di Epicuro .
Epicuro nacque a Samo nel 341 a.C. e morì nel 270 a.C. Nel 306-307 si trasferì ad Atene dove fondò la Scuola del Giardino.
Lo stesso luogo scelto da Epicuro per la sua scuola è l’espressione della novità rivoluzionaria del suo pensiero: non una palestra, simbolo della Grecia classica, ma un edificio con un giardino (anzi un orto) nei sobborghi di Atene . Il Giardino era lontano dal tumulto della vita pubblica cittadina e vicino al silenzio della campagna, quel silenzio e quella campagna che ai filosofi classici non dicevano nulla, ma che per la nuova sensibilità ellenistica diventano di grande importanza. Di qui il nome Giardino (che in greco si dice képos) passò a indicare la scuola e le espressioni “quelli del Giardino” e “i filosofi del Giardino” divennero sinonimi di seguaci di Epicuro, epicurei.
Della ricchissima produzione di Epicuro ci sono giunte per intero le Lettere indirizzate a Erodoto, a Pitocle, a Meneceo (che sono trattazioni riassuntive), due raccolte di Massime e vari frammenti.
Le dottrine che venivano dal Giardino sono:
• la realtà è perfettamente penetrabile e conoscibile dall’intelligenza dell’uomo
• nelle dimensioni del reale c’è spazio per la felicità dell’uomo;
• la felicità è mancanza di dolore e di turbamento;
• per raggiungere questa felicità e questa pace, l’uomo ha bisogno solo di se stesso;
• sono quindi inutili la città, le istituzioni, la nobiltà, le ricchezze, le cose tutte e perfino gli dei: l’uomo è perfettamente “autarchico”.
È chiaro che, nei confronti di questo messaggio, tutti gli uomini diventano uguali, perché tutti aspirano alla pace dello spirito, tutti ne hanno diritto e tutti possono aspirare a raggiungerla, se vogliono. Di conseguenza, il Giardino volle aprire le sue porte a tutti: a nobili e a non nobili, a liberi e a schiavi, a uomini e a donne, e perfino a prostitute in cerca di redenzione. Al centro della discussione di Epicuro e dei suoi allievi è il problema della felicità dell’uomo, e nella soluzione di questo problema viene indicato il compito essenziale della filosofia. La conoscenza dell’epicureismo è resa difficile dal fatto che sono arrivati fino a noi solo pochi testi scritti del fondatore e dei suoi allievi. Un’esposizione fedele dell’epicureismo ci ha lasciato Tito Lucrezio Caro (1° secolo a.C.) nel suo poema Sulla natura. Alla conoscenza della dottrina epicurea ha nociuto anche la falsa immagine creata dagli avversari e poi sostenuta dai padri cristiani che la presentavano come una filosofia volgare, bassamente materialistica, che negava la divinità e riportava tutti i valori alla semplice ricerca del piacere riducendo così l’uomo al livello di un animale.
Epicuro
Nel 306 a.C. ad Atene , oltre all’ Accademia e al Liceo , sorse un’altra scuola filosofica: il Giardino.
Fondatore di essa fu Epicuro, nato a Samo da genitori ateniesi nel 341 a.C. Epicuro fin da giovane entrò a far parte della cerchia di Nausifane , che si richiamava all’insegnamento di Democrito e che in seguito Epicuro avrebbe criticato . All’ età di 18 anni si recò ad Atene per compiere i due anni di servizio militare richiesti agli efebi . Successivamente fondò una piccola comunità filosofica a Militene , nell’isola di Lesbo , e poi a Lampsaco .
Nel 307 – 306 , tornato ad Atene , acquistò una casa con un giardino e vi fissò la sua scuola , una comunità filosofica di amici , di cui facevano parte anche donne e schiavi , che conducevano una frugale esistenza in comune , lontani dalla vita pubblica . La principale attività era la lettura e lo studio degli scritti di Epicuro , il quale continuava a intrattenere rapporti epistolari con discepoli lontani . Alla sua morte , avvenuta nel 271 a.C. , la casa e il giardino passarono ad Ermarco , che divenne il caposcuola , secondo le stesse disposizioni testamentarie del maestro . La fedeltà e la venerazione per il capostipite fu un contrassegno tipico e costante della scuola epicurea e la figura di Epicuro finì per sfumare nella leggenda e nel mito , per essere addirittura caricata di valori divini : per i discepoli degli anni a venire Epicuro non fu più solo il maestro , ma una sorta di divinità . ” Ille deus fuit ” oppure ” genus humanum ingenio superavit , et omnis restinxit , stellas exortus ut aetherius sol ” ( grazie al suo ingegno superò il genere umano e tutti privò di luce , come al suo sorgere il sole nell’ etere spegne le stelle ) dice il latino Lucrezio ; i discepoli , inoltre , conservavano sovente ritratti di Epicuro e il ventesimo giorno di ogni mese la scuola celebrava la sua memoria e quella di uno dei discepoli a lui più vicini , Metrodoro . Epicuro compose numerosi scritti . Di molti di essi si conoscono solamente i titoli o scarsi frammenti : Sul canone , Sui generi di vita , Sul fine , Su ciò che si deve scegliere o fuggire . L’opera più importante sono i 37 libri Sulla natura , scritti in un lungo arco di tempo ; su di essa Epicuro tornò incessantemente , riprendendo problemi e approfondendo temi già ritrattati in precedenza . In quest’opera era sviluppato il suo insegnamento in tutti i suoi aspetti , non soltanto in relazione alle questioni della filosofia della natura , ma anche di gnoseologia e di etica . Epicuro attribuisce grande importanza all’esercizio della memoria : le lettere hanno appunto lo scopo di consentire ai principianti di fissarsi in mente gli elementi fondamentali della sua filosofia e ai più progrediti di richiamarli e usarli nelle varie circostanze della vita . Aspetto tipico dell’attività letteraria della scuola divennero , quindi , esposizioni riassuntive o raccolte di massime estratte dalle opere del maestro . Di questo tipo é una raccolta di 40 Massime capitali , conservateci da Diogene Laerzio , mentre un codice vaticano contiene le cosiddette Sentenze vaticane . Ai destinatari del suo insegnamento Epicuro non richiede una particolare preparazione culturale ; ogni età é adatta per diventare filosofi , anche la vecchiaia , contrariamente a quanto sembrava aver pensato Platone .
L’indifferenza degli dei
La fisica di Epicuro ha un’impostazione materialistica: il mondo è fatto di atomi che nel loro libero e continuo movimento si incontrano e si aggregano. Tutto l’Universo, che è infinito, deriva quindi dal meccanico incontro di atomi eterni che formano e disfano i corpi. Le divinità sono pertanto del tutto estranee all’origine del mondo, e neppure è riscontrabile un loro interessamento o intervento negli avvenimenti della storia che non si svolgono secondo un piano necessario o provvidenziale ‒ come per gli stoici (stoicismo) ‒ ma sono del tutto casuali. Gli dei restano indifferenti a tutto, in primo luogo alla sofferenza degli uomini. Nel mondo sono quotidianamente presenti il male e il dolore: se gli dei non volessero eliminarli, sarebbero gelosi e invidiosi; se non potessero, sarebbero impotenti. Dobbiamo quindi considerarli indifferenti: essi vivono beati e superiori a tutto nei loro intermondi, gli spazi celesti tra un mondo e un altro.
Epicuro é stato spesso definito ateo, ma questa affermazione può essere spesso fraintesa; vi sono due diverse forme di ateismo: una, più radicale, secondo la quale Dio non esiste proprio, e la stessa parola “ateismo” sembra dar ragione ad essa, in quanto in greco theòs significa divinità, ma con l’ alfa privativa davanti diventa “senza Dio”. Tuttavia vi é anche una forma di ateismo più sfumata e meno radicale, nella quale si identifica appunto Epicuro: la divinità esiste, dice Epicuro, e a dimostrarlo é il cosiddetto “consensus omnium”: se tutti gli uomini sono convinti che essa esista, allora perchè mai non dovrebbe? Dunque Epicuro é convinto che gli dei esistano. L’ ateismo epicureo, consiste nell’ affermare che gli dei esistano, ma che non possano o non vogliano intervenire nel mondo umano; un’ argomentazione epicurea a favore dell’ impossibilità divina di intervenire nelle vicende umane é quella riguardante il male nel mondo: se gli dei si occupassero davvero del mondo, il male non dovrebbe esistere, o quanto meno dovrebbe essere eliminato. Il male ,invece, é presente. Epicuro ne fa derivare l’ impossibilità degli dei di intervenire nel nostro mondo: gli dei non si occupano del mondo e delle vicende umane, stanno semplicemente indifferenti a tutto quello che accade. Le risposte possibili hanno la forma di una disgiunzione completa: o perché non possono o perché non vogliono o perchè nè possono nè vogliono. Ma se non possono gli dei allora sono impotenti; se non vogliono, invece, sono invidiosi degli uomini, e ciò equivale a dire che esse non sono divinità buone. Ma impotenza e invidia sono caratteristiche incompatibili con la nozione di divinità: Epicuro arriva quindi a dire che gli dei sono totalmente indifferenti all’ uomo. Tuttavia Epicuro si serve di un’ altra argomentazione, di derivazione aristotelica: peculiarità degli dei é quella di essere beati: se si occupassero del nostro mondo, essi perderebbero automaticamente la loro beatitudine, poiché si prenderebbero cura di una realtà nettamente inferiore alla loro: sarebbe un’ autodiminuzione che comporterebbe lo svanimento della beatitudine: Aristotele diceva che la divinità per essere davvero beata deve svolgere l’ attività più elevata, vale a dire pensare; ma se davvero vuole essere beata deve pensare a qualcosa di sublime e la cosa più sublime é la divinità stessa: quindi il dio aristotelico non faceva altro che pensare a se stesso. In un certo senso é così anche per gli dei epicurei, che tuttavia presentano una grande differenza rispetto alla divinità aristotelica: Epicuro é un materialista e non ammette l’ esistenza di nulla che non sia materiale: ne consegue che anche le divinità sono materiali, mentre il dio aristotelico é forma pura, assolutamente privo di materia. Epicuro, visto che gli dei epicurei come l’ uomo sono corporei, li colloca negli intermondi, quegli spazi che intercorrono tra un mondo e l’ altro. Gli dei sono quindi : materiali e antropomorfi, in che cosa differiscono dall’ uomo? Essi sono eterni e di conseguenza hanno felicità eterna. Ciò non significa per Epicuro che l’ uomo sia inferiore ad essi: anche l’ uomo può raggiungere una felicità pari a quella divina se riesce a liberarsi dal dolore, dalle ansie e dalle paure, con l’ unica differenza che la sua felicità sarà temporale.
Tutti i pianeti e le stelle cercavano di imitare l’ eternità divina, secondo Aristotele, ciascuno secondo la propria natura; allo stesso modo l’ uomo cerca di imitare per Epicuro la felicità divina: imitare la divinità significa riuscire a raggiungere quella felicità estrema che coincide con l’ eliminazione di timori e ansie che Epicuro reputa infondati; é l’ uomo stesso infatti che se li crea stupidamente. Le filosofie ellenistiche sono essenzialmente filosofie etiche e quindi anche la spiegazione epicurea a riguardo della divinità ha risvolti etici: essa ha la funzione di liberare gli uomini da quegli atteggiamenti di sottomissione e di ansia nei confronti della divinità, che tendono a degenerare nella superstizione; la divinità non interferisce con il nostro mondo ed é inutile pregarla, come già diceva Aristotele; da qui Epicuro arriva a dire che fenomeni atmosferici come i fulmini o i tuoni non possono essere provocati dalla divinità adirata verso gli uomini, ma sono puramente eventi fisici, che possono essere spiegati razionalmente e addirittura possono avere più di una spiegazione: ciò che conta é che la divinità non ha nulla a che fare con essi.
la vita dopo la morte
Epicuro non crede in una vita dopo la morte, in quanto la nostra anima, come ogni altra realtà, é un composto di atomi destinato a deteriorarsi. Senz’ altro, per via del suo ateismo “sfumato”, Epicuro fu uno dei filosofi più censurati dalla Chiesa, sebbene già nella Roma pagana avesse incontrato parecchie ostilità: Cicerone stesso era un accanito nemico degli epicurei, ma non tanto per motivazioni religiose, quanto piuttosto politiche: caratteristica dell’ epicureismo era infatti l’ apoliticità, cosa che andava contro agli ideali di Cicerone. Soprattutto nel Medioevo Epicuro sarà visto come il nemico numero uno della Chiesa, che vedeva in lui un rivale insidiosissimo.
IL TETRAFARMACO
La filosofia come farmaco
Dato che il mondo non ha scopo ed ogni cosa è affidata al caso, l’uomo non può avere altro fine che quello di sfuggire al dolore e ricercare il piacere, in modo da raggiungere il massimo di felicità permessa dalla sua condizione. Se l’uomo non è in generale una creatura felice, questo dipende dai mali derivanti dalla sua ignoranza e dalla sua superstizione. Una reale conoscenza della natura umana ci deve aiutare a liberarci dalle nostre paure: è questo il compito della filosofia, che può fornire all’uomo una medicina per superare i suoi mali, vincendo le quattro paure: degli dei, della morte, di non poter raggiungere la felicità, del dolore. Ad ognuno di essi Epicuro suggerisce un rimedio, tramandato con il nome di “Tetrafarmaco”.
1) Il male derivante dal timore degli dei. Epicuro dimostra che gli dei non possono occuparsi delle passioni umane, essendo totalmente estranei al nostro mondo. Del resto, se si prendessero cura delle passioni umane, perderebbero la perfetta felicità che è tipica della loro natura divina. Il fatto poi che essi non si diano cura dei nostri mali conferma la loro completa indifferenza nei nostri confronti. Infatti: o gli dei vogliono togliere i mali, ma sono impotenti rispetto ad essi; oppure possono toglierli, ma non vogliono farlo; o infine non possono e non vogliono. Tutte e tre queste ipotesi sono contrarie all’idea degli dei come esseri perfetti. Non rimane che ammettere che gli dei non si occupano degli uomini e che da essi non c’è assolutamente nulla da temere. se gli dei sono indifferenti, allora non c’è spazio per superstizioni e paure irrazionali.
2) Il male che deriva dal timore della morte. Questo timore è assurdo, in quanto la morte è il venire meno di tutte le sensazioni e, pertanto, anche delle sensazioni spiacevoli. L’anima dell’uomo è fatta di atomi (sia pure assai sottili), è quindi mortale come il corpo. Ma la morte è nulla per noi perché finché ci siamo noi, essa non c’è e, quando arriva, noi non ci siamo più. Dove c’è l’uomo, infatti, non c’è la morte e dove c’è la morte non c’è l’uomo.
3) Il male che deriva dal timore del male fisico o morale. Questi sono mali reali. Ma i dolori fisici, quando sono particolarmente acuti, non hanno mai una durata particolarmente lunga, poiché nel peggiore dei casi ce ne libera la morte. I dolori dell’anima sono più gravi, poiché questa non soffre solamente dei mali presenti, ma anche di quelli futuri. A questi ultimi è possibile però opporsi con la saggezza, vale a dire per tramite dell’indifferenza e dell’imperturbabilità.
4) Il male che deriva dai nostri desideri insoddisfatti. A questo male, che è il più diffuso ed il più pernicioso, è possibile sfuggire imparando a porre dei limiti ai propri desideri. Per le sue premesse materialistiche, l’etica epicurea si propone di evitare il dolore e di cercare il piacere. È questo per natura il fine dell’uomo, ma Epicuro non pensa a un piacere banale e volgarmente materialistico, bensì lo intende come un’assenza o cessazione di dolore che conduce l’anima a uno stato di serenità (atarassia). Il dolore cessa quando viene soddisfatto il desiderio che lo provocava. E in questo sta la prudenza e la saggezza dell’uomo, che non deve rincorrere desideri con voracità ed eccesso. Solo i desideri naturali e necessari (per esempio, mangiare e bere) possono essere facilmente soddisfatti e quindi sono raggiungibili: l’uomo saggio pertanto desidererà sfamarsi, ben sapendo che invece appetiti fuori misura (per esempio di cibi e bevande particolarmente raffinati) rimarranno frustrati e quindi provocheranno insoddisfazione e dolore.
L’etica di Epicuro ha un’impostazione prettamente edonistica. L’edonismo epicureo è una ricerca del piacere inteso soprattutto come quella quiete derivante dall’assenza del dolore rispetto al corpo (aporia) e all’anima (atarassia).
Infatti Epicuro nella Lettera a Meneceo scrisse:
«Quando diciamo che il piacere è il nostro fine ultimo, noi non intendiamo con ciò i piaceri sfrenati, e nemmeno quelli che hanno a che fare con il godimento materiale, come dicono coloro che ignorano la nostra dottrina […]. Non dunque le libagioni e le feste ininterrotte, né il godersi fanciulli e donne, né il mangiare pesci e tutto il resto che una ricca mensa può offrire e fonte di vita felice; ma quel sobrio ragionare che scruta a fondo le cause di ogni atto di scelta e di rifiuto, e che scaccia le false opinioni, per via delle quali grande turbamento s’impadronisce dell’anima».
Per garantire il raggiungimento dell’aponia e dell’atarassia Epicuro ha distinto:
1. Piaceri naturali e necessari: mangiare quando si ha fame, bere quando si ha sete, riposare quando si è stanchi, ecc.
2. Piaceri naturali e non necessari: mangiare cibi raffinati, bere bevande inebrianti, ecc.
3. Piaceri non naturali e non necessari: ricercare gli onori e la ricchezza.
Egli ha poi stabilito che si raggiunge l’obiettivo desiderato soddisfacendo sempre il primo tipo di piaceri, limitandosi nei confronti del secondo tipo e rifuggendo dal terzo. A questo proposito, Epicuro manifesta una presa di posizione che non è eccessivo chiamare “ascetica”, per le ragioni che seguono. Fra i piaceri del primo gruppo, cioè quelli naturali e necessari, egli pone unicamente i piaceri che sono strettamente legati alla conservazione della vita dell’individuo: sono questi gli unici che veramente giovano, in quanto sottraggono il dolore del corpo, come ad esempio il mangiare quando si ha fame, il bere quando si ha sete, il riposare quando si è stanchi, e simili. Egli esclude da questo gruppo il desiderio e il piacere d’amore, perché fonte di turbamento. Fra i piaceri del secondo gruppo, naturali, ma non necessari, egli pone, invece, tutti quei desideri e piaceri che costituiscono le variazioni superflue dei piaceri naturali: mangiare bene, bere bevande raffinate, vestire in modo ricercato, e così via. Infine, fra i piaceri del terzo gruppo, non naturali e non necessari, Epicuro poneva i piaceri “vani”, nati cioè dalle “vane opinioni degli uomini”, quali sono tutti i piaceri legati al desiderio di ricchezza, potenza, onori e simili.
I desideri e i piaceri del primo gruppo sono gli unici che vanno sempre e comunque soddisfatti, perché da natura hanno un preciso “limite”, che consiste nell’eliminazione del dolore: raggiunta l’eliminazione del dolore, il piacere non cresce ulteriormente.
I desideri e i piaceri del secondo gruppo non hanno già più quel “limite” perché non sottraggono il dolore corporeo, ma variano solo il piacere e possono provocare un notevole danno.
I piaceri del terzo gruppo non tolgono il dolore corporeo, e, per giunta, arrecano sempre turbamento all’anima.
Sfrondiamo, dunque, i nostri desideri, riduciamoli a quel primo nucleo essenziale, e ce ne verrà ricchezza e felicità copiosa, perché per procurarci quei piaceri noi bastiamo a noi stessi, e in questo bastare-a-noi-stessi (autarchia) sta la più grande ricchezza e felicità.
L’ AMICIZIA PER EPICURO
Il grande valore dell’amicizia
L’uomo, se vuole possedere pienamente la tranquillità della vita e la felicità interiore, deve vivere appartato non partecipando all’attività politica, causa di turbamenti e fastidi. La vita politica per il fondatore del Giardino è sostanzialmente innaturale. Essa comporta, come conseguenza, continui dolori e turbamenti; compromette l’aponia e l’atarassia e, quindi, anche la felicità. Infatti quei piaceri che dalla vita politica molti si ripropongono sono pure illusioni: ci si aspetta potenza, fama e ricchezza, che sono, come sappiamo, desideri e piaceri né naturali né necessari e, dunque, vuoti e ingannevoli miraggi. Ben si comprende, quindi, questo invito di Epicuro: «Liberiamoci una buona volta dal carcere delle occupazioni quotidiane e della politica». La vita pubblica non arricchisce l’uomo, ma lo disperde e lo dissipa, perciò l’epicureo si apparterà e vivrà in disparte dalle folle: «Ritirati in te stesso, soprattutto quando sei costretto a stare tra la folla». «Vivi nascosto», è il celebre comandamento epicureo. Solo in questo rientrare in sé e rimanere in sé può essere trovata la tranquillità, la pace dell’anima, l’atarassia. Unica forma di rapporti con gli altri uomini è l’amicizia, libera e disinteressata, che procura conforto duraturo anche nei momenti del dolore. Epicuro come Aristotele distingue tre forme di amicizia, basate rispettivamente sull’utile, sul piacere e sulla virtù. È chiaro che mentre un’amicizia fondata sull’utilità o sul piacere è destinata a finire quando il piacere o l’utilità cessano, l’amicizia fondata sul bene, quindi sulla virtù, è la più stabile e ferma ed è quindi la vera amicizia.
Amicizia, desiderio naturale e necessario
Di cosa ha bisogno Epicuro dagli amici? Probabilmente di protezione dai rovesci della vita: “Quel medesimo pensiero che ci affida d’ogni timore insegnandoci che nessun male è eterno e duraturo, vede perfetta quant’altro mai, pur nei limiti entro i quali si svolge la nostra vita, la sicurezza che ci viene offerta dall’amicizia.” Ma l’amico è anche un esempio e una guida: “Bisogna scegliersi una persona virtuosa, ed amarla ed averla davanti agli occhi, per vivere come se essa ci guardasse, e operare sempre come se essa ci vedesse.” Epicuro si accorge che quelle persone che venivano tenute a distanza nel giardino solo per necessità diventano fonte di piacere. “Ogni amicizia è per se stessa desiderabile, ma trae origine dall’utile.” Diventano piacere per se stesse. L’amico non è solo strumento di piacere in quanto risponde al nostro bisogno di sicurezza o al nostro bisogno di saggezza, ma la sua stessa presenza è fonte di piacere. Anzi, non è la presenza a dare piacere, è sufficiente l’esistenza dell’amico. Il pensiero di avere qualcuno su cui contare al bisogno, con cui condividere la ricerca filosofica è già fonte di gioia. Il saggio è anche disposto ad uscire dal proprio giardino per incontrare persone simili a lui, con cui condividere le proprie idee. Ma non è strettamente necessario essere troppo esigenti se l’amico non condivide ogni nostro pensiero. Quello che conta è venirsi incontro, ma anche qui Epicuro mette dei limiti. Non tutti possono essere amici del saggio. “Ai più non ebbi mai voglia di piacere: quello che ad essi piaceva, non lo imparai, e quello ch’io sapevo, era troppo lontano dal loro modo di sentire.” Egli consiglia un giusto equilibrio nell’amicizia, senza esagerare né nell’aprirsi né nel chiudersi. Quando ci si lega ad un amico in qualche modo ci si rende vulnerabili. La sicurezza che cerchiamo dall’amicizia è un valore da preservare, ed è valida, deve necessariamente essere valida, da ambo le parti perché partecipiamo alle sventure degli amici non con dei lamenti da funerale, ma prendendoci cura di loro. La fiducia che Epicuro ha nei confronti dell’amicizia deve essere totale, assoluta, altrimenti diventerebbe inutile ai fini della sicurezza. Così arriva a raggiungere vette poetiche:
“Il saggio soffre per l’amico messo alla tortura non meno che se vi si trovasse egli stesso. Il saggio non tradirà l’amico, o tutta la sua vita sarà sconvolta e atterrata dalla sfiducia.”
Perché dall’amicizia non vogliamo aiuti concreti ma serenità d’animo. Vogliamo la certezza di aiuto nel caso remoto di aver bisogno d’aiuto. Chi ha un figlio può capire cosa Epicuro intenda quando dice di sentire come propria la sofferenza d qualcun altro. Ma anche in questo caso l’amicizia può portare al saggio una nuova fonte di piacere: il sapere che l’amico è felice perché l’idea di invidia è completamente estranea ed Epicuro. Ma anche il piacere della compagnia dell’amico è essenziale, per gli amici intraprende viaggi e scrive lettere . Lui ed i suoi amici costruiranno una rete di relazioni in tutta la Grecia, tanto che il Saggio del Giardino arriverà a cantare: “L’amicizia percorre danzando la terra, recando a noi tutti l’appello di destarci e dire l’uno all’altro: sii felice!”
L’amicizia è quindi un ingrediente essenziale nella ricetta della felicità tanto che Epicuro non parla più di felicità del saggio, ma di felicità della comunità degli amici:
“Quanti hanno avuto la possibilità di mettersi in stato di non avere, per quanto è possibile, a non temere nulla da parte dei vicini, costoro vivono insieme la vita più piacevole, sostenuti dalla fiducia più salda, e dopo aver goduto gli uni con gli altri la più ampia familiarità, non piangono come degna di commiserazione la dipartita di colui che li ha preceduti nella morte.” e “Uomo d’animo ben nato conforma ogni sua attività alla saggezza e all’amicizia, bene mortale questa, quella immortale.”
L’amicizia quindi, oltre ad essere al centro della vita del saggio, va anche oltre la sua stessa vita . Leggiamo alcune delle ultime parole scritte da Epicuro, la lettera che in punto di morte ha inviato a Idomeneo:
“Giornata felice e insieme l’ultima della nostra vita è questa in che vi scriviamo. Dolori sono presenti alla vescica e alle visceri, d’intensità tale che maggiore non è loro possibile raggiungere. Ma si schiera contro tutto questo il godimento che l’anima prova in proprio al ricordo delle nostre conversazioni d’un tempo. Tu, come s’addice alla buona disposizione d’animo che fin da giovinetto hai mostrato verso di me e la filosofia, prenditi cura dei figli di Metrodoro.”
Una volta morto ad Epicuro non importerà più dei figli del suo fraterno amico Metrodoro perché la sua anima ed i suoi pensieri saranno dissolti con il suo corpo. Ma oggi, nel suo ultimo giorno, sapere che non avranno nessuno che si prenda cura di loro dopo di lui gli procura un dolore all’anima terribile.. Ma qui interviene l’amicizia. La certezza che il suo amico Idomeneo si occuperà di loro con lo stesso amore con cui se ne è occupato lui permette ad Epicuro di vivere felice, seppur dolorante, il suo ultimo giorno. L’amicizia è quindi per Epicuro un bene naturale e necessario, sia per il corpo che per l’anima, sia per la sopravvivenza, perché risponde al bisogno di sicurezza, sia per la felicità perché risponde al bisogno di non sentirsi soli.
ARTICOLO DI SARA RE DELLA CLASSE IV I DEL LICEO LINGUISTICO
sitografia:
http://www.gallito.eu/epicuro-letica-e-il-tetrafarmaco/
http://www.filosofico.net/epicuro.html
https://www.culturanuova.net/filosofia/1.antica/epicuro.php
https://www.sapere.it/enciclopedia/Epicuro.html
https://www.riflessioni.it/dizionario_filosofico/aporia.htm
https://freimaurerei.ch/it/epicuro-e-lidea-di-felicita/
https://www.treccani.it/enciclopedia/epicureismo_(Enciclopedia-dei-ragazzi)/
https://epicuro.org/old/fusaro2.html
https://www.skuola.net/filosofia-antica/epicureismo-il-quadrifarmaco.html
http://www.gallito.eu/epicuro-letica-e-il-tetrafarmaco/
Commenti recenti