Thomas Hobbes è stato un filosofo inglese interessato in prevalenza a problemi politici e ha dato un contributo molto importante alla rappresentazione matematica e quantitativa dei fenomeni naturali.

Infatti, grazie agli studi, il filosofo inglese è arrivato a creare un dialogo serrato con la fisica e, soprattutto, con il metodo galileiano. Secondo Hobbes l’uomo è “homo homini lupus” e vive in uno stato di guerra di tutti contro tutti. A differenza di Hobbes, il filosofo greco Aristotele suppone che l’uomo è un “animale sociale” perché tende ad aggregarsi con gli altri individui e a costituirsi in società. 

Analizzando la distinzione tra “realismo politico” e “filosofia politica”, in base alla quale il primo (che trova in Machiavelli uno dei suoi più grandi eroi) non mira se non all’ordine mentre il secondo cerca di aspirare ad un ordine che sia giusto, possiamo notare come essi presentano due piani ben diversi e mai riducibili l’uno all’altro. Quello del realismo politico è il piano della continuità, cosicché troviamo nel corso storico costanti strutturali che si ripetono: non è un caso che Machiavelli si trovi ad operare con categorie e schemi interpretativi piuttosto vicini a quelli adoperati molti secoli prima da Tucidide. Al contrario, quello della filosofia politica è il piano della discontinuità: notiamo come Aristotele, Hobbes e Hegel, che rappresentano i tre grandi paradigmi della filosofia politica occidentale, affrontano problematiche analoghe e simili, ma lo fanno con strumenti diversissimi fra loro e secondo modalità inaccostabili le une alle altre.

Si riesce in questo modo a distinguere le varie epoche storiche a seconda dei modi in cui, all’interno di esse, sono stati affrontati determinati problemi politici. Possiamo notare come la stagione inaugurata da Aristotele (nella quale rientra il platonismo stesso), che dura fino all’inizio dell’età moderna, è superata dalla posizione politica sostenuta da Hobbes, che nei confronti di Aristotele si colloca in maniera totalmente polemica: ma a sua volta, nella prima metà dell’Ottocento, la posizione hobbesiana verrà superata da quella hegeliana, la quale introdurrà un nuovo paradigma destinato a conoscere un incredibile numero di varianti negli anni a venire. La grande divisione politica che caratterizza la filosofia politica fino all’Ottocento (quando, con Hegel, si vedrà un nuovo quadro) è quella tra Aristotele e Hobbes. 

Secondo Aristotele, per comprendere la società occorre partire dal tutto e non dalle singole parti; Hobbes suppone invece che bisogna partire dalla considerazione dei singoli individui per essere in grado di comprendere la società nel suo complesso: rimane dell’idea aristotelica sul fatto che lo Stato non è se non una macchina o un “corpo artificiale” del tutto diverso dagli organismi che si trovano in natura. Infatti la natura si presenta come il regno del caos e del disordine, con la conseguenza che l’ordine è un qualcosa che può essere imposto in maniera forzosa attraverso una costruzione sociale (da qui il nome di “costruttivismo”). Proprio da tali considerazioni hobbesiane nasce il giusnaturalismo, teoria secondo la quale lo Stato è il frutto di un patto siglato dagli individui che altrimenti si troverebbero in una perenne guerra di tutti contro tutti, poiché l’uomo – nota Hobbes – non è affatto un animale socievole, come se lo immaginava Aristotele.  Infatti, l’uomo si è reso conto che vivere insieme e unendo le proprie forze si sopravviveva meglio. In questo modo venne firmata la prima forma di contratto chiamato PACTUM UNIONIS. Successivamente si formò il PACTUM SOCIETATIS (=della società) in cui gli uomini vivevano all’interno di una società. Il problema di quest’ultimo patto è che tutti si ammazzavano tra di loro e quindi fu decisiva la scelta di una figura che comandi e si formò così un terzo contratto, il PACTUM SUBIECTIONIS (di sottomissione), in cui tutta la società si fa governare e obbedisce totalmente a un governante.

Ed è interessante come, nel De cive, Hobbes arrivi a sostenere che il linguaggio non è che una “tromba di sedizione” che gli uomini impiegano per combattere tra loro e che la ragione è un’arma utilizzata per portar guerra ai propri simili. Hegel spesso ci è presentato come sintesi di questi due momenti: il suo è un pensiero vicino all’aristotelismo, ma ciò non toglie che Hegel sia e resti un pensatore figlio della modernità e del culto della libertà e dell’individuo (tematiche molto importanti per i Protestanti, proprio come lui). Questi tre autori segnano in maniera molto precisa delle discontinuità. Infatti col loro pensiero, riflettono esperienze epocali di fallimento nella soluzione politica e avanzano l’idea di fornire soluzioni: essi inaugurano un paradigma proprio in forza del fatto che fanno un bilancio ragionato di un’epoca, criticano le soluzioni avanzate dagli altri pensatori e ne propongono di proprie.

Informazioni tratte dal sito: filosofico.net + appunti presi in classe


ARTICOLO DI BEATRICE SANDULACHE DELLA CLASSE IV I DEL LICEO LINGUISTICO