Albrecht von Wallenstein acque in Boemia nel 1583 da una famiglia di origine forse germanica, cui la rovina della vecchia nobiltà boema dopo la repressione del 1620-21 offrì modo di accrescere di molto i propri averi. Passata l’infanzia nel protestantesimo, si convertì al cattolicesimo a 23 anni. Non ebbe mai vere convinzioni religiose, infatti Wallenstein credeva solo negli astri. Per tutta la vita non fece che consultare astrologi, prendendo decisioni importanti solo dopo che le stelle erano state consultate. Tre anni dopo la sua conversione al cattolicesimo, un gesuita, suo confessore, combinò per lui un matrimonio con un’anziana vedova, proprietaria di diversi terreni in Moravia. Compì numerosi viaggi attraverso l’Europa, in Francia, in Inghilterra, in Fiandra e soggiorni in Italia (a Padova fu per breve tempo scolaro). Rimasto vedovo della prima moglie, da cui ebbe notevole eredità, contrasse un secondo matrimonio con una Harrach, avvicinandosi in questo modo ai più alti e potenti consiglieri imperiali, fra i quali il suocero teneva uno dei primi posti.

Nel 1617, Ferdinando II chiese aiuti per la sua guerra contro Venezia e Wallenstein reclutò e addestrò a proprie spese 260 corazzieri a cavallo e moschettieri. Wallenstein si aprì un varco fra i nemici che assediavano una piazzaforte fedele a Ferdinando e i cui difensori erano sul punto di morire di fame o di arrendersi e, mentre la fanteria manteneva la breccia aperta dalla cavalleria, riuscì a portare in salvo fuori della fortezza i feriti i moribondi. La piazzaforte era salva e la reputazione militare di Wallenstein assicurata e in ascesa.

 

Terminata la lotta, ottenne il titolo di colonnello delle milizie di Moravia. Nel 1618, quando questa regione si ribellò alla casa d’Austria, associandosi alla rivolta boema, egli si schierò tra i fedeli dell’imperatore. Inviato presso quelle popolazioni dalle qui terre e gli aveva tratto le proprie fortune, si impadronì del tesoro di guerra della Moravia e lo consegno all’imperatore a Vienna. Questo atto, visto dei moravi come tradimento, provocò il bando di Wallenstein dalle terre di Moravia, a vita. La cosa non lo preoccupava affatto perchè aveva imparato che schierandosi in guerra dalla parte del vincitore, poteva ottenere, oltre che la gloria anche la ricchezza, ed era infatti destinato a diventare il più grande profittatore di guerra di tutti i tempi. Dal 1608 al ’21 partecipò dunque con fortuna crescente e con cariche sempre più elevate alla repressione dei ribelli, da cui trasse quelle vistosissime ricchezze che gli permisero di fare arruolamenti su vasta scala, di circondarsi di un lusso più che principesco e di corrompere con l’oro chi avrebbe potuto nuocergli. Noto è l’episodio in cui, accusato da Carlo principe di Liechtenstein, governatore di Praga, e invitato a Vienna per discolparsi, egli seppe con tanta arte distribuire i 60.000 talleri portati con sè da accaparrarsi il favore generale della Corte. Egli riuscì a riprendere possesso delle terre boeme dopo la Battaglia della Montagna Bianca, concludendo così la fase boema della guerra in favore dei Cattolici. Seguirono altri successi che gli consentirono di essere nominato Conte Palatino, Principe e Duca di Friedland. Ma la sua popolarità e i suoi privilegi scossero l’alta nobiltà dell’Impero che iniziò a vederlo come un pericoloso borghese arricchito. Agli occhi dei suoi contemporanei, appariva malvagio e tirannico. Era famoso per l’ordine: “Impiccate quella canaglia”, impartito alla minima provocazione e subito seguito da timorosi subalterni. La sua irruenza era leggendaria: si racconta che, una volta, trapassò con la spada un ufficiale venuto a recare un messaggio mentre egli stava parlando con il suo architetto.

Nella fase danese della Guerra dei Trent’anni, la sua ascesa si fece anche più rapida.
Attribuendosi, in virtù dell’astrologia che praticava, facoltà divinatorie, ed essendo in verità informato da una fitta rete di spioni, che manteneva largamente, preparò, in vista del prolungarsi del grandioso conflitto, un esercito di ben 40.000 uomini da offrire all’imperatore nel momento del bisogno. Ed infatti Ferdinando II, che sentiva la necessità di non dover dipendere per l’azione militare esclusivamente da Massimiliano di Baviera, capo della Lega cattolica, affidò a Wallenstein la formazione di un suo proprio esercito. In questa fase fu nominato comandante d’armata sottostando agli ordini del generale conte Tilly. Dopo altre vittorie l’Imperatore gli concesse altri Ducati. Fu nominato, in seguito, ammiraglio del Mare del Nord e del Mar Baltico: il suo compito era quello di contrastare gli ultimi nuclei della resistenza danese sulle coste del Mar Baltico. Stroncò quindi Cristiano IV di Danimarca nella Battaglia di Wolgast, il 2 settembre del 1628, ponendo fine alla fase danese. Wallenstein sognava anche di fondare, dopo la guerra, una compagnia commerciale in grado di tener testa alle compagnie inglesi e olandesi, ma dovette abbandonare il progetto dopo aver tentato senza successo l’assedio del porto Baltico di Stralsund. L’insuccesso galvanizzò i capi della lega cattolica: in un’assemblea elettorale a Regensburg, nell’estate del 1630,i principi chiesero che l’imperatore destituisse il generale. Fra le motivazioni: le dimensioni dell’esercito di Wallenstein, il suo sistema di approvvigionare l’esercito a spese delle regioni attraversate, le rappresaglie crudeli e arbitrarie, e il modo barbarico e poco cristiano di arricchirsi a scapito altrui. Per conservare il trono imperiale, Ferdinando finì con il cedere ai principi e licenziò Wallenstein, che si ritirò a Jitschin, capitale del suo Ducato di Friedland. Al suo posto nominò il conte Tilly.

Amareggiato per il trattamento subito, meditava vendetta. Iniziò trattative segrete con Gustavo Adolfo, re di Svezia, ottenendo di reclutare e addestrare un esercito a proprie spese, questa volta a servizio della causa protestante. In cambio chiedeva di essere nominato viceré di ogni territorio tolto a Ferdinando e di essere appoggiato nella pretesa di essere incoronato re di Boemia. Il re di Svezia esitò: non si fidava di Wallenstein. La notizia che Wallenstein stava per cambiare partito arrivo alle orecchie di Ferdinando che, dopo la sconfitta di Lipsia, superando ogni scrupolo, richiamò il suo ex comandante. Wallenstein accettò a condizione di riavere tutti i poteri di comandante in capo; quanto a Tilly, fu sconfitto e ucciso nella battaglia di Lech nel 1632. Dunque, nella primavera del 1632 ricostituì un’armata in una settimana guidandola verso Gustavo Adolfo. Dopo aver riconquistato Praga il 25 maggio 1632, raggiunse le milizie bavaresi; volle seguire una tattica difensiva, evitò a lungo di combattere Gustavo Adolfo. Fu quest’ultimo che, inseguendolo attraverso la Sassonia, costrinse il Wallenstein alla battaglia di Lützen (15-16 novembre 1632), ed in essa, benché il re di Svezia vi trovasse la morte, la vittoria toccò agli Svedesi. Nel momento più importante della sua carriera, Wallensteinera rimasto vittima della sua cieca fiducia nell’astrologia: gli astri, che prima della battaglia aveva consultato, avevano dato un responso sfavorevole ed egli era ridotto ad un tale grado di dipendenza dell’astrologia da diventare esitante e timoroso nei momenti decisivi.

La fama del generalissimo ne subì un grave colpo e le discordie con Massimiliano di Baviera sui piani di guerra da seguire la scossero anche più fortemente. Dopo l’invasione della Baviera, compiuta nell’aprile del 1633 da Bernardo di Weimar e da G. di Horn, Massimiliano voleva che si concentrassero le forze nel teatro di guerra meridionale; invece il W. era per la difensiva, e diceva esser opportuno cercare una decisione in Sassonia e in Slesia.
La perdita di Ratisbona, conquistata da B. di Weimar il 14 novembre 1633, fu pertanto attribuita alla condotta di Wallenstein e contro di lui si andarono aggravando i sospetti di tradimento, che le indagini recenti non permettevano più di mettere in dubbio e facevano risalire al tempo del suo primo licenziamento. Da allora egli aveva allacciato segreti negoziati con la Svezia, con la Sassonia, col Brandeburgo e con la Francia.


Proprio quando era giunto al culmine della sua carriera militare, Wallenstein non riuscì ad arginare le forti ostilità dei suoi molteplici detrattori e finì con il rimanere prigioniero dell’inappropriata etichetta del condottiero pericoloso per la stabilità del casato asburgico, a causa della grande intraprendenza che caratterizzava il suo agire. Infatti, nel corso di poco più di un decennio, Albrecht von Wallenstein era riuscito ad organizzare, su iniziativa personale, un valido esercito, che fornì un aiuto fondamentale alle truppe dell’imperatore impegnate nell’estenuante conflitto di portata europea, ma furono proprio le straordinarie capacità organizzative dell’abile comandante boemo a suscitare in alcuni ambienti legati alla corte viennese una crescente antipatia e un profondo senso di invidia nei suoi confronti. Inoltre, l’azione demolitrice di quel fronte critico trovava spesso un facile terreno di diffusione a causa delle risapute ambiguità e delle numerose ombre caratteriali che contrassegnavano la carismatica personalità del Wallenstein. Dunque, l’imperatore Ferdinando II decise di mettere fine alla vita del suo fedele generale nel momento in cui a corte si fecero sempre più insistenti le voci di coloro che ritenevano che Albrecht von Wallenstein costituisse una seria minaccia per l’integrità dell’impero. Con la congiura di Cheb del febbraio del 1634, ordita da una schiera di uomini collocati ai vertici dell’armata imperiale, alcuni dei quali, peraltro, avevano combattuto al fianco di Wallenstein per diverso tempo, furono eliminati sia il temuto generale boemo che i suoi ultimi fedelissimi. Era sera tarda e infuriava una bufera di neve. Dopo una bevuta per farsi coraggio, un capitano inglese, Walter Devereux, prese da salto all’alloggio di Wallenstein, trovandolo in piedi presso una finestra: scrutava il cielo, forse per interrogare le stelle. Quando Devereux avanzò pountando l’alabarda, Wallenstein implorò pietà, ma ormai era troppo tardi: la punta dell’arma gli penetrò nel petto ed egli stramazzò esanime. L’incredibile violenza con cui si consumò il massacro del generalissimo e dei suoi sottoposti entrò presto nell’immaginario collettivo dell’epoca e il ricordo dell’operato politico-militare di Albrecht non si dileguò nel nulla: anzi, con il tempo, quella eliminazione così meschina probabilmente non fece altro che accrescere il mito del Wallenstein, anche sulla scia del malcontento prodotto dalla percezione del degrado in cui era caduta la Boemia dopo la fine del suo prestigioso signore.


ARTICOLO DI GIORGIA CRISTINA CODA RIZ DELLA CLASSE III A