La Scuola di Atene,è un affresco dipinto da Raffaello Sanzio nel 1510. Si trova a Città del Vaticano, più precisamente nei Palazzi Vaticani all’ interno della Stanza della Segnatura. La storia di questo lavoro risale al momento in cui a capo della Chiesa c’era il papa Giulio II, il quale, a differenza dei propri predecessori, scelse di insediarsi nelle stanze superiori dei Palazzi Apostolici. Data la novità, tali ambienti non erano adatti ad ospitare un pontefice e necessitavano di un vistoso restauro: a tal proposito, lo stesso Giulio II convocò un gruppo di artisti, e nel 1508 tra questi c’era anche Raffaello Sanzio. Il pontefice rimasto affascinato dallo stile dei lavori del Sanzio, ordinò immediatamente di distruggere tutto il lavoro fatto fino a quel momento, e ciò significava eliminare completamente l’opera di un altro importante artista già presente all’interno della stanza della segnatura, ovvero Piero della Francesca. La Stanza della Segnatura, dove poi Raffaello andò a realizzare la Scuola di Atene, era probabilmente destinata a diventare una biblioteca oppure uno studio privato di Giulio II. Quest’ opera celebra il sapere umano e la conquista del bello. Papa Giulio II incaricò il maestro di rappresentare una scena ambientata nel mondo classico per indicare le radici della civiltà romana. Nel 1527, l’anno in cui ci fu il Sacco di Roma ad opera dei lanzichenecchi, questo bellissimo affresco rimase irrimediabilmente danneggiato, insieme ad altri lavori, ma ancora dopo, questi danni vennero ricoperti da successive pitture del Seicento.
La rappresentazione
Il tema rappresentato,non si ha certezza se sia stato scelto volontariamente da Raffaello oppure sia stato frutto delle direttive di Giulio Il tema rappresentato,non si ha certezza se sia stato scelto volontariamente da Raffaello oppure sia stato frutto delle direttive di Giulio II,II,ma una cosa è certa: ci fu un intenso ed accurato studio prima della realizzazione effettiva dell’affresco, infatti sono rimasti diversi cartoni che testimoniano l’evoluzione di questo lavoro,per esempio, Eraclito il personaggio seduto su un gradino che scrive su un foglio su un capitello, gli studiosi pensano che sia stato aggiunto in seguito, ad opera compiuta. Infatti nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano è conservato il cartone finale disegnato di proprio pugno da Raffaello, dove il presocratico non compare affatto. Probabilmente l’autore, dopo aver visto il lavoro che Michelangelo aveva compiuto per la Cappella Sistina, si è sentito in dovere di aggiungere il ritratto del suo rivale nel suo affresco, dandogli le sembianze del sapiente greco. Osservando la struttura, la lunetta che raffigura La scuola di Atene rappresenta un grande edificio classico. Raffigura i più celebri filosofi e matematici dell’antichità intenti a dialogare tra loro, all’interno di un immaginario edificio classico, rappresentato in perfetta prospettiva. Raffaello inquadra la rappresentazione in una struttura architettonica grandiosa, in cui le arcate sono un susseguirsi di rimandi prospettici in cui il fuoco sono le figure di Aristotele e Platone. Nei pilastroni ,che fanno da sfondo alla gradinata su cui si trovano i filosofi, sono collocate due statue, entrambe riprese da modelli classici: Apollo con la lira a sinistra e Minerva a destra, con l’elmo, la lancia e lo scudo con la testa di Medusa. L’identificazione delle divinità è chiarita dai bassorilievi sottostanti. Sotto Apollo si trovano una Lotta di ignudi (simboleggiante la violenza della guerra) e un Tritone che rapisce una nereide (le brame sensuali), che raffigurano impulsi negativi dell’animo umano dai quali si può elevarsi con la guida della ragione, rappresentata dal dio. Sotto Minerva si vedono invece figure di più difficile interpretazione, tra cui una donna seduta vicino a uno spicchio della ruota dello zodiaco, e una lotta tra un uomo e un bovino, forse allusioni all’intelligenza e alla vittoria della bestialità governata dalla dea. In scorcio nella navata si intravedono altre nicchie ed altri bassorilievi.Nei medaglioni sotto l’imposta della cupola si vedono due bassorilievi con un uomo nell’atto di alzare gli occhi da un libro e una donna con le braccia su un globo terrestre: i loro gesti sono da mettere in relazione con quelli di Platone e Aristotele al centro.
La composizione e l’inquadratura
La scenografia creata per la scuola di Atene, condiziona in modo fortemente simmetrico e prospettico l’intera scena. Il punto di vista basso rende inoltre monumentale tutta la composizione. Il movimento è dato dalle posture dei personaggi e dalle loro interazioni. Raffaello utilizzò le masse dei personaggi contro l’impianto prospettico e centrale della composizione per sottolineare la simmetria e creare un equilibrio compositivo. In primo piano centralmente si notano le due figure sedute sulla scalinata e affiancate, a destra e a sinistra da gruppi di personaggi. Sulla scalinata ai lati vi sono pochi personaggi dipinti e altri si affollano lateralmente verso il centro. Sotto l’arco che incornicia il cielo la composizione è centrata sulle figure di Platone e Aristotele. Anche il punto di fuga centrale si trova al centro di questi due personaggi.In primo piano Raffaello dipinse un pavimento decorato con quadrati regolari. Su di esso si innalza una gradinata e da questa alcune architetture classiche con archi, volte a botte decorate con lacunari e nicchie contenenti statue. Sotto le nicchie sono dipinti dei bassorilievi classici. Gli edifici creano una scenografia simmetrica con al centro uno sfondamento verso il cielo azzurro attraversato da nuvole bianche. La tecnica dello “sfondamento” consiste nel dare un effetto di tridimensionalità e realismo allo spazio quasi come se si sfondasse il muro e si vedesse fuori. In questa scena prende vita la coincidenza fra gli ideali culturali del Rinascimento e quelli dell’antichità classica. Nell’affresco i più celebri filosofi e matematici dell’antichità sono ritratti mentre dialogano tra loro. Un primo e più numeroso gruppo è disposto ai lati della coppia centrale di Platone e Aristotele che conversano tra loro. Un secondo gruppo sulla sinistra è rappresentato dai pensatori interessati alla conoscenza della natura e dei fenomeni celesti. Un terzo, simmetrico al secondo, è dei matematici dove Euclide è intento a tracciare una dimostrazione geometrica. Le cinquantotto figure presenti nell’affresco hanno sempre sollecitato gli studiosi alla loro identificazione.Quel che è certo è che per figurare vari personaggi Raffaello scelse il volto di artisti a lui contemporanei. Per esempio Platone ha le sembianze di Leonardo da Vinci che regge il Timeo e solleva il dito verso l’alto a indicare Il Bene.Aristotele invece, il cui volto sembra essere quello del maestro di prospettive Bastiano da Sangallo e tiene tra le mani l’Etica Nicomachea. Il personaggio sulla sinistra, di fianco a Parmenide, dai tratti efebici, vestito di bianco che guarda verso lo spettatore sarebbe Francesco Maria Della Rovere, duca di Urbino e nipote del papa Giulio II. Euclide (o secondo altri Archimede) è raffigurato con l’aspetto di Donato Bramante. Michelangelo Buonarroti darebbe il volto al filosofo Eraclito. Raffaello avrebbe messo anche se stesso nell’affresco, impersonando la figura del celebre pittore greco Apelle.
Il grande affresco di Raffaello è una sorta di “manifesto” del Rinascimento che pone l’uomo al centro dell’universo. L’essere umano domina la realtà, grazie all’intelletto, in continuità dall’antichità classica al cristianesimo.
Emblematica di questo senso di continuità, è la scelta del pittore di dare a molti dei “personaggi” rappresentati le sembianze di artisti suoi contemporanei, in modo da esplicitare l’idea degli umanisti come eredi naturali della cultura classica, capaci di fare dell’Italia una nuova Grecia. All’ interno della scena notiamo che solo due figure guardano l’osservatore, quella di Raffaello stesso che si ritrae nel gruppo a destra intorno a Zoroastro e quella centrale vestita di bianco molto controversa per la critica d’arte che dovrebbe essere Francesco Maria della Rovere. I due gruppi davanti costituiscono cenacoli quasi chiusi e assorbiti nei loro studi e si distinguono nei matematici teorici a sinistra e gli scienziati della natura e i geometri a destra.
I personaggi
L’affresco è l’esaltazione del Vero, quello ricercato dall’indagine filosofica e scientifica e viene effettuato prima delle altre stanze dove Raffaello cambierà stile anche dopo aver visto terminata la Cappella Sistina da Michelangelo. Il dipinto è in contrapposizione a quello della disputa del Sacramento con un tema legato all’ordinamento ideale della cultura umanistica, divisa in teologia, filosofia, poesia e giurisprudenza, a ciascuna delle quali è dedicata una parete dove invece si parla di fede e teologia.Uno degli elementi più significativi dell’affresco è dato dalla figura in bianco che si trova nel gruppetto di sinistra, per i più Francesco Maria della Rovere, il nipote di Giulio II e l’unico per il quale il papa ha fatto il peccato di nepotismo nominandolo capitano generale della Chiesa.Ma una parte di critica accreditata vede questa figura come Ipazia, una donna scienziato dell’antica Grecia neo-platonica, uccisa da una folla di cristiani facendola divenire una martire della libertà di pensiero.La presenza di ritratti di artisti contemporanei, tra i filosofi antichi e accanto a quelli di umanisti e principi della corte pontificia, non costituisce probabilmente la semplice ripresa di una consuetudine. Particolarmente conosciute sono le raffigurazioni di Michelangelo nella figura di Eraclito (aggiunta in un secondo momento, forse un omaggio fatto da Raffaello dopo la scopertura parziale degli affreschi della Cappella Sistina).
Leonardo da Vinci come Platone e Bramante come Euclide. La sfondo della scena è costituito da un’architettura grandiosa priva di copertura, si intravede un cielo limpido che richiama le forme e le decorazioni degli edifici di età classica. Al centro del gruppo di pensatori e di uomini di scienza dell’antichità, rappresentati nel loro incedere solenne, figurano Platone e Aristotele che rappresentano simbolicamente i due pilastri del pensiero occidentale. Alcune figure sono facilmente riconoscibili. Al centro della scena c’è Platone, con le sembianze di Leonardo, che punta il dito verso il cielo alludendo al Bene e al mondo delle idee, mentre con una mano regge il Timeo. Accanto a lui l’artista pone Aristotele – il cui volto sembra ricordare quello del Maestro di prospettive Bastiano da Sangallo – che, volgendo il palmo della mano verso terra indica, al contrario, il principio razionalista della sua filosofia. Platone è facilmente riconoscibile in quanto ha in mano una sua opera molto studiata dagli umanisti, il Timeo, e indica il cielo con un dito, alludendo al mondo delle idee di cui è stato
il primo grande teorico. La lunga barba capelli bianchi sono i tratti somatici che richiamano un famoso autoritratto di Leonardo da Vinci. Anche Aristotele regge una sua opera celebre, l’Etica, e rivolge il palmo della mano verso terra, riaffermando in contrapposizione a Platone il primato della realtà empirica su quella ideale. Entrambi i pensatori incarnano quindi, anche visivamente, i tratti distintivi dei loro sistemi filosofici. Attorno a loro, collocati su entrambi i lati, si dispongono i massimi artefici della cultura antica. Nel gruppo di sinistra si distingue Socrate grande filosofo dell’antichità greca e maestro di Platone, in una veste dal colore verde bottiglia, che sembra incitare al dialogo i suoi giovani discepoli. Sempre a sinistra troviamo Pitagora, matematico e filosofo intento a scrivere su un libro,che nel dipinto è assistito da un fanciullo che sorregge una tavola con le notazioni musicali, mentre il pensatore scrive su grande volume; ed Eraclito, il filosofo del panta rei (tutto scorre) che colse
il continuo mutare della realtà, raffigurato appoggiato a un blocco di pietra in atteggiamento riflessivo. Nella parte destra del quadro,Diogene sdraiato sulla scalinata quasi in simmetria con Eraclito, in una posa allusiva ai suoi atteggiamenti anticonformistici. Il pensatore sosteneva che l’uomo dovesse liberarsi da tutti i bisogni indotti dalla società (come il desiderio di gloria e di ricchezza). È riconoscibile per la sua veste lacera, ma anche per la ciotola a cui è legato un famoso aneddoto: la ciotola, infatti, era una delle poche cose che aveva conservato dopo aver abbandonato tutti i suoi beni, ma se ne liberò subito quando vide un bambino bere con le mani. Sempre sulla parte destra, in primo piano si trova un gruppo centrato su Euclide (secondo alcuni studiosi si tratterebbe di Archimede) intento a spiegare un teorema tracciando figure geometriche, attorniato da allievi; alcuni decori sulla sua tunica sono stati interpretati come la firma di Raffaello, mentre l’uomo che regge un globo e che vediamo di fronte è un astronomo, forse Zoroastro
quello che invece vediamo di spalle è quasi sicuramente Tolomeo, il grande geografo e astronomo. Vicino troviamo due personaggi di profilo, in vesti contemporanee, in cui si è soliti identificare l’autoritratto di Raffaello e il ritratto, meno certo, dell’amico e collega Sodoma. L’opera è una grande narrazione in cui gli ideali della classicità si fondono, visivamente e concettualmente, con quelli degli umanisti in cui trovano una sintesi irripetibile l’arte rinascimentale, la filosofia neoplatonica e la tradizione religiosa cristiana.
Il personaggio sulla sinistra, di fianco a Parmenide, dai tratti efebici, biancovestito e con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, è di identificazione controversa, anche se una identificazione generalmente accettata è quella di Francesco Maria Della Rovere, duca di Urbino e nipote del papa Giulio II, che all’epoca del dipinto si trovava a Roma e ai cui servigi Raffaello doveva forse la venuta a Roma. Secondo l’ipotesi di Giovanni Reale questa figura biancovestita è un simbolo emblematico dell’efebo greco ovvero della “bellezza/bontà”, la Kalokagathia: L’interpretazione di questa figura è particolarmente difficile, e da alcuni è stata del tutto fraintesa in vari sensi. Una tradizione ci dice che Raffaello avrebbe riprodotto il viso di Francesco Maria della Rovere; ma alcuni interpreti contestano la veridicità di questa tradizione. Ciò che occorre comprendere non è tanto se Raffaello abbia riprodotto le sembianze di Francesco Maria della Rovere, ma piuttosto che cosa abbia voluto esprimere con quel personaggio. una corrispondenza (non solo nella configurazione ma anche nella posizione) di questo personaggio con quello dell’angelo senza ali in vesti umane nell’affresco della Disputa. […] Il bel giovane biancovestito, in atteggiamento quasi ieratico, è un simbolo emblematico dell’efebo greco che coltiva la filosofia e incarna la greca kalokagathia, ossia la “bellezza/bontà”, ideale supremo di uomo virtuoso per lo spirito ellenico.Ad analoghe conclusioni era giunto il noto storico d’arte austriaco Konrad Oberhuber: Il cartone dimostra fuori da qualsiasi discussione che si tratta di una figura ideale e non di un ritratto […]. Il discepolo in bianco, che ci fissa con i suoi strani occhi e ci si libra dinanzi quasi irreale, è l’espressione viva di quell’ideale del Bello e del Buono, e perciò stesso del Vero, nucleo centrale delle correnti filosofiche. L’improbabile identificazione con Ipazia (matematica di Alessandria d’Egitto del IV-V secolo) non risulta suffragata da nessuna fonte o saggio critico attendibile. Tuttavia risulta negli ultimi anni così ampiamente diffusa che non è possibile non darne conto.
All’estrema sinistra, attorno alla base di una colonna, Zenone di Cizio vicino a un fanciullo, che regge il libro letto secondo alcuni da Epicuro incoronato di pampini di vite. Sull’identificazione di quest’ultima figura, interpretata da Giovanni Reale come un rito orfico,si esprime così:
«Si tratta di un particolare molto spesso frainteso, e non poche volte interpretato come raffigurante addirittura Epicuro per un errore ermeneutico assai grave. Si crede che la corona di pampini richiami il piacere del vino e in generale il piacere che Epicuro poneva alla base della vita. Invece la corona del sacerdote orfico fa richiamo a Dioniso, il dio degli Orfici per eccellenza […] Il vecchio con accanto un infante (raffigurazione emblematica che chi sostiene altra interpretazione non riesce in alcun modo a spiegare) rappresenta la credenza nella metempsicosi, ossia la reincarnazione delle anime […] Il giovane sui trent’anni con gli occhi socchiusi concentrato, sembrerebbe in particolare colpito dal messaggio di fondo dell’Orfismo: “da uomo ritornerai dio”. La base della colonna su cui il sacerdote appoggia il libro da cui legge, è come una metafora di una verità storica fondamentale, ossia del fatto che gran parte della grande colonna del pensiero greco si basa sull’idea di fondo dell’Orfismo […] Il rubicondo sacerdote è il ritratto (trasfigurato) di Fedra Inghirami (…), un grande mentore di Raffaello che -con grande competenza- lo ha avviato alla comprensione dei pensatori greci. Si tratta dunque di una raffigurazione poetica stupenda di un rito orfico, che solo Raffaello, che aveva alle spalle informatori di alta classe, poteva raffigurare» |
Averroè col turbante, che si china verso di lui, e un vecchio che prende appunti, identificato con Boezio o Anassimandro. Il gruppo a destra di Aristotele è di difficile interpretazione. L’uomo stante, vestito di rosso, dovrebbe essere Plotino,in silenzioso isolamento. Situato allo stesso livello prospettico di Platone, per l’importanza che gli venne attribuita nel Rinascimento, Plotino è raffigurato significativamente ai piedi della statua di Atena, dea della filosofia presso i neoplatonici.
ARTICOLO DI SARA RE DELLA CLASSE III I DEL LICEO LINGUISTICO
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