La Morte Nera, chiamata anche Peste Nera o Grande Morte, è stata una delle pandemie più devastanti che l’uomo abbia mai conosciuto. Quando la malattia si diffuse in Europa, tra il 1347 e il 1353, uccise circa 20 milioni di persone, un terzo della popolazione totale. Le persone che contraevano la malattia molto spesso morivano in brevissimo tempo. I sintomi solitamente erano: febbre alta, vomito, sanguinamento dai polmoni, oltre che da dolorosi bubboni (macchie scure e livide) e i metodi utilizzati dai medici erano al quanto terrifcanti da sembrare addirittura peggiori della malattia stessa.
Uno dei tanti rimedi è la Teriaca. La Teriaca fu uno dei rimedi più dolci fra quelli trovati. La melassa, uno sciroppo che si ottiene dalla lavorazione dello zucchero, era la composizione di un farmaco di origine antica, la Teriaca appunto (dal greco Thériakè-antidoto), composto da tanti ingredienti il cui destino era curare infinità di malattie. Fu considerata una cura anche per la Peste Nera, ma per funzionare il preparato doveva avere almeno dieci anni, perché lo sciroppo avesse il tempo di far maturare i lieviti e altre colture che lo rendevano efficace per molte altre patologie. Il rimedio però non era in nessun modo efficace contro la peste.
Un altro metodo utilizzato fu il salasso di sangue. Il salasso risale all’800 a.c, ed è stato utilizzato per una vasta gamma di disturbi. Le sanguisughe si sono dimostrate un aiuto medico affidabile e vengono utilizzati ancora oggi nella medicina moderna. Il salasso con le sanguisughe è una tecnica indolore, ma all’epoca della Peste Nera non tutti potevano permetterselo. Ecco perché molte persone utilizzavano un metodo più pericoloso: tagliarsi le vene e drenare il sangue in una ciotola. Il dolore non era il problema maggiore, rappresentato dal rischio di infezioni, amplificato anche dalle scarse condizioni igieniche dell’epoca.
Il terzo metodo utilizzato è la polvere di smeraldo. La polvere di smeraldo era una cura destinata ai Re. Il metodo era semplice: sbriciolare questa pietra preziosa in un mortaio, miscelare con acqua e poi bere come una pozione. A volte la preziosa polvere veniva mescolata con il cibo o ingerita.
Il quarto metodo utilizzato fu l’applicazione di pasta di escrementi umani. Questo metodo è probabilmente il più disgustoso, una cura dall’inferno: si aprivano i linfonodi infiammati, sotto le ascelle o nell’inguine, dei malati di peste, per permettere alla malattia di “lasciare” il corpo, e poi veniva applicata, direttamente sulla ferita, una miscela composta da resina, radici di fiori ed escrementi umani. Le zone “trattate” erano poi avvolte da bende. L’intero processo fu probabilmente un buon punto di partenza per nuovi contagi.
Il quinto metodo utilizzato fu fare il bagno nelle urine. L’urina è un’altra di quelle sostanze considerate una panacea per tutti i mali, utilizzata per il trattamento di qualsiasi tipo di problema di salute. Le persone colpite dalla peste credevano che fare il bagno nelle urine un paio di volte al giorno sarebbe stato utile per alleviare i sintomi della malattia. Anche berne un bicchiere o due era raccomandabile. Durante gli anni della Peste Nera l’urina non infetta veniva raccolta e data o venduta alle persone malate.
Rimedi definitivi non ce n’erano per questo vi erano soltanto consigli generali, ovvero quello di difendersi dal freddo e mettersi al riparo dall’umido. Bisognava anche evitare alcuni cibi come frutta, pesce e latticini, inoltre era consigliato profumare la casa e gli abiti, masticare erbe, bagnarsi con aceto, utilizzare spezie, digiunare e conversare l’uno lontano dall’altro.
SITOGRAFIA:
https://www.vanillamagazine.it/6-terrificanti-cure-medioevali-contro-la-peste-nera/amp/
http://www.archiviodistatopiacenza.beniculturali.it/getFile.php?id=125
ARTICOLO DI RUBY LOYOLA DELLA CLASSE III I DEL LICEO LINGUISTICO
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