Aristocle, meglio noto come Platone a causa dell’ampiezza delle sue spalle dovuta alla pratica della ginnastica,nacque ad Atene nel 428 a.C. da una delle famiglie aristocratiche più autorevoli di quel tempo. Fu un allievo fidato di Socrate tanto che riportò nei suoi scritti la fine della vita del suo maestro ed utilizzò il suo metodo. Dal momento in cui Socrate aboliva la scrittura perché la definiva pigrizia, Platone riportò gli insegnamenti del suo maestro per evitare che questi andassero persi sotto forma di dialoghi, dai quali otteneva la partecipazione dell’interlocutore e un metodo dinamico, non statico.
Il Mito della Caverna è una delle allegorie più conosciute di Platone: è metafora della condizione umana rispetto alla conoscenza della realtà. Si trova all’inizio del settimo libro della “Repubblica”, vista come una sintesi dell’intero pensiero di Platone.
IL MITO:
All’interno di una caverna vivono fin dalla nascita dei prigionieri, legati in modo da non poter girare la testa: gli è consentito soltanto vedere il muro davanti a loro, dove vengono proiettate delle ombre di alcuni simulacra (statuette di argilla) portate da servi, che passano davanti all’entrata della caverna lungo un muricciolo alto quanto loro, facendo così in modo che il fuoco dietro al muretto proietti solamente l’ombra dei simulacra e non la loro. Questa scena rappresenta il mondo visibile percepito con i sensi e confuso con il mondo reale, perchè i prigionieri non si chiedono cosa stiano vedendo, semplicemente ci credono perchè non hanno visto altro durante la loro vita. Quando uno dei prigionieri (la cui identità varia in base alle diverse interpretazioni) riesce a liberarsi e sfuggire dalle catene, si accorge che le ombre in realtà sono solo proiezioni delle statuette, che crede quindi siano la realtà. Sbaglia di nuovo, perchè queste sono soltanto delle copie degli esseri reali. Il prigioniero, dunque, esce dalla caverna e viene accecato dalla luce e i suoi occhi non sarebbero abituati a riconoscere gli esseri veri e reali. Scambia quindi nuovamente il riflesso di un oggetto nell’acqua di un lago per un oggetto reale, ma riesce ad abituarsi lentamente alla luce del sole e comprendere che è questa l’unica in grado di mostrarci la verità.
Il mito rappresenta dunque il dualismo tra il mondo visibile e quello reale o intelligibile che sono totalmente separati e il secondo, il mondo esterno, inizialmente può intimorire e scoraggiare, ma quando il prigioniero si sarà abituato alla luce del sole non potrà più farne a meno.
Questo mito è ricco di allegorie:
- le catene rappresentano le abitudini che ci legano alla conoscenza sensibile, considerata l’unica conoscenza possibile, che ci impedisce di porci problemi e quesiti. È necessario che qualcuno sciolga queste catene dando inizio ad un processo di continua ricerca (principio di Socrate)
il sole, metafora principale del mito, rappresenta l’idea del bene. Essa è sia principio ontologico (“è la causa di tutto ciò che è buono e bello”), fondamento della conoscenza (“procura virtù e intelligenza”) e, infine, fondamento della morale (“ad essa deve guardare chi voglia avere una condotta ragionevole nella sfera pubblica e privata”)
IL RITORNO NELLA CAVERNA
Sempre secondo Platone colui che conosce il bene , ovvero il filosofo, ha il dovere di risvegliare i prigionieri e condurli fuori dalla caverna per fargli conoscere la verità. Il mito prosegue quindi con un ritorno nella caverna da parte del prigioniero liberato, che prova compassione per i suoi compagni; ma una volta rientrato, il filosofo non è più abituato al buio e all’oscurità e i suoi occhi fanno fatica a vedere con chiarezza e questo suscita l’agitazione e la destabilizzazione dei prigionieri, che preferiscono condannare colui che tentava di aiutarli (come successe per Socrate) e mostrar loro il vero, piuttosto che scappare e vivere in un nuovo mondo la cui idea li spaventava tanto.
Questo mito fa parte della Repubblica, il dialogo nel quale viene espresso il progetto platonico di una società giusta che, attraverso l’educazione, guidi i suoi cittadini verso il giusto. La “missione” del filosofo deve quindi essere affidata ad un ordinamento politico complessivo in uno Stato guidato da un re filosofo che formi i cittadini secondo la conoscenza e il bene.
SITOGRAFIA
ARTICOLO DI VALERIA MARTINELLI DELLA CLASSE III D DEL LICEO LINGUISTICO
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