La Repubblica (in greco: Πολιτεία, Politéia) è un’opera filosofica in forma di dialogo scritta approssimativamente tra il 390-360 a.c. dal filosofo greco Platone. L’ opera si presenta come un’opera organica, enciclopedica e circolare, concernente il rapporto tra universale e particolare. La Repubblica è strutturata in dieci libri e ha per protagonista Socrate, ma un Socrate che, è decisamente diverso da quello degli altri dialoghi, Socrate è infatti portato ad abbracciare a poco a poco delle tesi che non sono sue, di natura piuttosto platonica, e legate soprattutto al momento storico che Platone viveva.
Il dialogo si apre con il racconto di Socrate il quale, mentre torna in compagnia di Glaucone dalle celebrazioni per la dea Bendis, si imbatte lungo la strada in Polemarco, Adimanto e nei loro amici, i quali invitano i due a recarsi a casa di Cefalo e Polemarco per partecipare ai festeggiamenti previsti per la serata. È quindi in casa di Cefalo e Polemarco che ha luogo la lunga discussione narrata nella Repubblica, in cui Socrate dialoga dapprima con Cefalo e Polemarco e poi con Trasimaco, e infine, dal Libro II al X, discute con Glaucone e Adimanto. Dal punto di vista del contenuto, nel dialogo si possono individuare due blocchi connessi tra di loro: i Libri I-V e i Libri VIII-IX sono di carattere etico-politico e trattano il tema della giustizia, mentre il blocco che va dalla seconda metà del Libro V ai Libri VI-VII tratta di argomenti più squisitamente filosofici. Il Libro X, infine, che riprende i temi dell’educazione e dell’arte, e narra il celebre mito di Er.
Libro I: sulla giustizia
All’inizio del primo libro Socrate chiede dunque ai presenti che cosa sia per loro la giustizia e domanda se questa sia più o meno conveniente rispetto all’ingiustizia. La prima definizione di giustizia, proposta da Polemarco, è che la giustizia sia fare il bene per gli amici e il male per i nemici. In seguito interviene l’irruente Trasimaco, sostenendo che la giustizia sia l’utile di chi è più forte. Socrate interviene una prima volta, dicendo che se i più forti al potere fossero tiranni, potrebbero fare il male di tutti e lo contraddice ancora, arrivando alla conclusione che l’ingiustizia vuole predominare sia sull’ingiusto che sul giusto, perché molto facilmente con l’ingiustizia si ha il controllo. La giustizia allora sarebbe qualcosa all’infuori delle umane capacità. Infatti la giustizia è virtù dell’anima, come dice Socrate che, al contrario di Trasimaco, vede l’ingiustizia una virtù.
Libri II-III: la fondazione dello Stato ideale
Il problema della giustizia viene esteso, all’ambito della costituzione e della struttura della città; dunque Socrate si assume il compito di indagare su che cosa sia la giustizia all’interno di uno stato così da rendere più facile capire che cosa sia per i singoli cittadini; inoltre si impegna a dimostrare che non è praticabile che gli uomini assumano comportamenti politici in contrasto con le loro aspettative di felicità perchè prima o poi questi si orienteranno verso ciò che li rende felici, trascurando tutto il resto, stato compreso. Si entra così nel vivo del dialogo. Glaucone, divide i beni in tre parti: desiderabili per sé, desiderabili per sé e per i vantaggi che portano, desiderabili solo per i vantaggi che portano. Mentre la maggior parte degli uomini inserirebbe la giustizia nel terzo gruppo, Socrate la inserisce nel secondo poiché, a suo dire, non porta bene soltanto agli altri ma anche a sé stessi. Successivamente, viene chiesto a Socrate di cercare di definire la giustizia in sé, cercando inoltre di dimostrare che essa è sempre più vantaggiosa dell’ingiustizia. Tuttavia, Socrate si trova in difficoltà, perché non riesce a circoscrivere la giustizia nell’individuo: si appresta allora a ricercarla all’interno dello Stato, ritenendo di poter assistere, parallelamente alla nascita di uno Stato, anche alla nascita della giustizia, in una versione “ingrandita” che permetterà di giungere più facilmente alla risposta. Socrate inizia a delineare la nascita di uno Stato Ideale e perfetto storicamente edificabile, imponendo al cittadino di fare il solo mestiere che gli è stato attribuito direttamente dallo stato poichè i cittadini non sono in grado d sopperire da sé ad ogni esigenza, e sono costretti a collaborare e dividersi i compiti: per questo motivo, ognuno dovrà specializzarsi in una techne ed eseguire solo quella. Socrate crea tre classi di cittadini, queste classi-funzione sono dinamiche, e non attribuite alla nascita: durante l’educazione selettiva viene determinato che cosa l’individuo sia più adatto a fare e in base a questo l’individuo viene inserito all’interno di una di queste tre classi: i governanti o filosofi , gli unici in grado di poter governare lo Stato con morigerata saggezza.; i guerrieri che invece dovranno proteggere lo Stato e infine i lavoratori e commercianti, dediti alla produzione delle ricchezze. Questa tripartizione delle classi costituenti lo Stato corrisponde alle tre anime dell’individuo rispettivamente dalla sapienza, dal coraggio, dalla temperanza. Virtù suprema è la giustizia. I membri delle due classi superiori devono essere educati al più totale disinteresse e al superamento degli egoismi vivendo in una specie di collettivismo, avendo in comune ogni proprietà, compresa la famiglia così da non essere corruttibili. I bambini non venivano cresciuta dalle proprie famiglie ma veniva dallo allo stato il compito di crescerli che, dopo aver sottoposto il giovane ad una prima educazione, comprendente la ginnastica e l’educazione al combattimento, la musica, se l’educando si dimostra all’altezza veniva privilegiato ed educato alla matematica, col fine di diventare stratega, e all’astronomia, disciplina solo teorica il cui fine era elevare l’animo. Infine, tra i migliori venivano scelti coloro che, per diventare buoni governanti, intraprendevano o studio della filosofia, della dialettica e della massima scienza.
Libri IV-V: l’armonia delle parti
Rispondendo a un’obiezione di Adimanto, secondo cui i guardiani non sono felici poichè, di fatto, l’educazione, la socializzazione e l’organizzazione economica della loro vita rendono loro impossibile perseguire interessi personali connessi alla proprietà, alla libertà di movimento e al tipo di relazioni con gli altri. Socrate risponde che la felicità per il guardiano consiste proprio nell’assolvere il suo dovere poiché egli è stato generato proprio per questo particolare ruolo: garantire la perpetuazione della giustizia. Trovata la giustizia nello stato giusto, viene ricercata nell’uomo giusto: Socrate dimostra che la giustizia nello Stato è la stessa che nell’individuo, in quanto la struttura dell’anima è analoga a quella della città, anzi dipende da essa. Vengono quindi distinte le tre facoltà dell’anima: facoltà razionale, concupiscibile, impulsiva. L’uomo è giusto quando la parte razionale dell’anima, sostenuta da quella impulsiva, comanda su quella concupiscibile; in caso contrario si ha l’ingiustizia.
Socrate affronta la “prima onda”, ossia l’identità di compiti e di educazione tra uomini e donne, e spiega che la
differenza di sesso non implica una differenza di attitudini, benché le donne siano più deboli. Viene quindi affrontata la “seconda onda”: la regolamentazione dei matrimoni e delle nascite. I matrimoni dovranno avvenire tra i cittadini migliori, per mantenere costante la qualità e il numero degli abitanti. I bimbi saranno condotti appena nati in nidi d’infanzia; bisogna inoltre stabilire un’età per la procreazione ed evitare matrimoni tra consanguinei. Solo questo può garantire la concordia interna e la felicità dei cittadini.
Si arriva così al problema più arduo, la “terza onda”: una tale città implica che i filosofi governino o i governanti
pratichino la filosofia. Dopo aver definito il filosofo come colui che ama la verità pura, Socrate traccia la differenza tra ignoranza, scienza e opinione: l’ignoranza è mancanza di conoscenza, la scienza è conoscenza dell’essere, l’opinione è uno stato intermedio.
Libri VI-VII: la metafora della linea e il mito della caverna
Adimanto fa notare a Socrate che la sua teoria del governo dei filosofi contrasta l’opinione comune, secondo la quale le persone che non praticano la filosofia solo da giovani, ma continuano a dedicarcisi, diventano dei grandi originali, del tutto inutili alla polis. Socrate risponde all’obiezione ricorrendo a una similitudine: si pensi a una nave, il cui capitano è più grande e più forte di tutti i marinai, ma – pur non essendo cattivo – è di vista corta, un po’ sordo e inesperto di cose nautiche. I membri della ciurma stanno a litigare fra loro, contendendosi il timone, pur essendo anch’essi inesperti di marineria; anzi, affermando che quest’arte non sia insegnabile, fanno continue pressioni sul comandante per ottenere il timone. E non riuscendo a ottenerlo con le preghiere, ammazzano o buttano fuori bordo i concorrenti, o drogano il capitano. Esaltando chi li aiuta in queste loro intraprese trattandolo come un esperto pensando che l’arte del pilota si acquisisca semplicemente prendendo il governo della nave. Il pilota competente, il quale sa che ci si deve preoccupare dell’«anno e delle stagioni, del cielo e degli astri», viene trattato come un inutile chiacchierone con la testa fra le nuvole. In questa immagine, la ciurma allude ai moralisti tradizionali, i retori e i sofisti, per i quali la politica si riduce all’arte di manipolare il popolo, qui rappresentato dal capitano, non cattivo ma ignorante, sordo e miope.Un pilota competente deve osservare il cielo e preoccuparsi delle stagioni; deve quindi guardare lontano, al di là della nave e delle sue relazioni interpersonali. Queste cose sono apparentemente inutili, per chi pensa che ciò che conta sia il mondo ristretto dell’imbarcazione, ma essenziali, per chi sa che la nave deve navigare in un ambiente molto più ampio e incerto.
Così la filosofia speculativa, che guarda oltre e lontano, fa cose apparentemente senza senso, a meno che le società umane non siano in realtà racchiuse in un mondo molto più grande di quello della propria cultura , che ne determina le condizioni e i limiti, e che sfugge al controllo della retorica. Si capisce allora – prosegue Socrate – perché i migliori fra i filosofi sono considerati inutili: la gente, semplicemente, non ne sente il bisogno. I filosofi, dal canto loro, non vogliono imporre la loro competenza a persone che non ne avvertono il bisogno.
LA METAFORA DELLA LINEA A questo punto si rende necessaria la definizione dell’idea del bene, di cui Socrate coglie l’analogia con il sole: in quanto questo, pur dando vita, colore e nutrimento agli oggetti sensibili, non si identifica con essi, così il bene permette la visione del mondo intellegibile e lo trascende. L’analisi prosegue con l’immagine della linea “Considera per esempio una linea divisa in due segmenti disuguali, poi continua a dividerla allo stesso modo distinguendo il segmento del genere visibile da quello del genere intelligibile.” Ognuno dei due segmenti viene cioè diviso a sua volta in due sezioni, per ottenere in tutto quattro parti disuguali, che corrispondono ai quattro piani della conoscenza. Al livello più basso della conoscenza vi è l’opinione (doxa), la quale si rivolge agli oggetti sensibili, i quali non sono reali ma mere apparenze, ombre. La vera conoscenza è quella che si rivolge alla realtà in sé, non alle apparenze, ma agli oggetti reali di cui gli oggetti sensibili sono solo imitazioni. Solo la conoscenza intellegibile cioè concettuale assicura un sapere vero e universale; l’opinione invece, fondata sui due stadi inferiori del conoscere, è portata a confondere la verità con la sua immagine.
MITO DELLA CAVERNA Per chiarire ulteriormente il pensiero platonico riguardo alla conoscenza, Platone utilizza un mito: all’interno di una caverna stanno, incatenati sin dalla nascita, alcuni uomini, incapaci di vederne l’entrata; alle loro spalle arde un fuoco e, tra il fuoco e l’entrata della caverna, passa una strada con un muretto; per la strada passano diversi uomini, portando sulle spalle vari oggetti i quali proiettano le loro ombre sul fondo della caverna. Per i prigionieri le ombre che vedono sono la realtà. Ma se uno di essi fosse liberato e costretto a voltarsi e ad uscire dalla caverna, inizialmente sarebbe abbagliato dalla luce e proverebbe dolore; tuttavia, a poco a poco ci si abituerebbe, potrebbe vedere i riflessi delle acque, poi gli oggetti reali, gli astri ed infine il sole. Tornando nella caverna dovrebbe riabituare gli occhi all’oscurità e sarebbe deriso dai compagni qualora provasse a raccontare ciò che ha visto. Con questo mito Platone spiega la sua dottrina delle idee, secondo cui la realtà sensibile è paragonabile alle ombre che i prigionieri vedono sul fondo della caverna, mentre esiste in qualche luogo fuori dal tempo e dallo spazio il “reale”, che altro non è che “l’idea” (εἶδος). In questo mito, viene inoltre descritto il processo conoscitivo come un’ascesa abbastanza difficile e comunque graduale, secondo i gradi descritti nella metafora della linea: prima l’opinione, identificata nelle ombre sfocate, poi gli oggetti che fanno parte del mondo sensibile, poi i riflessi, identificabili con la matematica, fino ad arrivare alla conoscenza dell’idea del Bene che illumina tutte le altre (nel mito, è il sole).
Libri VIII-IX: la famiglia e lo Stato
Socrate annuncia di voler ritornare all’argomento principale della sua indagine, ossia la felicità del giusto e l’infelicità dell’ingiusto; a tal proposito esamina poi, con il rigore diagnostico di una vera e propria analisi sociologica della natura e delle degenerazioni del potere politico nella dialettica del suo esercizio istituzionale e sociale, le diverse forme di governo storicamente corrispondenti alle forme assunte come canoniche nel pensiero politico greco e, del resto, di fatto coincidenti con i principali generi di regime concretamente prodottisi nel mondo greco. Le quattro costituzioni sbagliate corrispondono a quattro tipi costituzionali storicamente esistenti in Grecia, che solitamente, dice Socrate, i più apprezzano in quest’ordine
– La timocrazia, la costituzione più vicina allo Stato perfetto, cioè all’aristocrazia, nasce dalla corruzione di quest’ultimo: ciò accade perché i guardiani non determinano con esattezza il “numero nuziale”, che regola il ciclo delle nascite. Socrate delinea il carattere del regime timocratico, dove regnano l’ambizione e un occulto amore per il denaro; di conseguenza l’uomo timocratico, la cui anima è guidata dall’elemento impulsivo, è ambizioso e avido.
– Quando l’amore per il denaro diventa palese nasce il regime oligarchico, basato sul censo e diviso al suo interno in Stato dei poveri e Stato dei ricchi. Anche nell’uomo oligarchico, parsimonioso e dedito agli affari, prevale l’elemento animoso.
– Dalla rivolta contro questo regime nasce la democrazia, caratterizzata da una libertà che degenera in anarchia, poiché sia lo Stato sia l’uomo democratico sono dominati dall’elemento concupiscibile; il popolo stesso fornisce al tiranno la possibilità di salire al potere.
– Tirannide; una volta che ha il tiranno preso in mano lo Stato, opprime il popolo ed elimina i cittadini migliori; il tiranno è un pastore che può decidere se sgozzare o tosare il suo gregge.
Nel proseguire l’esame del carattere tirannico, Socrate pone l’accento sulla presenza in ogni individuo di desideri sfrenati e contrari alla legge, che si manifestano soprattutto nei sogni: il tiranno non si ferma di fronte a nulla pur di soddisfare tutti questi appetiti. Viene poi contrapposta la perfetta felicità dello Stato regio, cioè della città ideale,all’infelicità dello Stato tirannico, e si adducono le prove dell’infelicità del tiranno:
- La prima è di natura politica: l’uomo tirannico, come il regime che rappresenta, è schiavo, pieno di paura e di lamenti, perciò è sommamente infelice;
- La seconda prova concerne la divisione dei piaceri in tre specie, corrispondenti alle tre parti dell’anima; il filosofo si dedica solo ai piaceri della parte razionale, che sono superiori agli altri.
- La terza prova, di carattere metafisico, viene dall’esame della natura dei piaceri. Socrate fornisce una dimostrazione matematica della distanza che separa il re-filosofo dal tiranno, calcolata in 729 anni.
Socrate opta per una ripresa del tema originale della giustizia, al fine di dimostrare, la superiorità e la felicità del giusto rispetto all’ingiusto, in virtù del parallelismo stabilito, sul piano della forma di governo, con la relazione fra il sistema istituzionale più giusto rispetto all’ingiusto. Socrate conclude questa trattazione osservando che il sapiente si realizza non nella sua patria, ma nella città ideale
Libro X: il mito di Er
Alla fine dell’opera si trova il mito di Er. Attraverso il quale Platone intende argomentare intorno al concetto di anima, alle ricompense assegnate alla virtù dopo la morte, all’immortalità dell’anima, oltre che mostrare come nella vita dell’uomo coesistano il caso, la libertà e la necessità.
Nel mito Er, un soldato morto in battaglia che ha l’avventura di resuscitare, racconta che nell’al di là le anime vengono a caso sorteggiate per scegliere tra quali vite reincarnarsi. Chi è stato sorteggiato tra i primi è avvantaggiato, perché ha una scelta maggiore ma anche chi sceglie per ultimo ha molte possibilità di libera scelta perché il numero dei paradigmi di vita possibili offerto è più grande di quello delle anime e poi non è detto che la possibilità di scelta sia determinante poiché ciò che importa è che si scelga bene. Quindi il caso non assicura una scelta felice mentre determinanti potranno essere i trascorsi dell’ultima reincarnazione. Scegliere, nella visione platonica, significa infatti essere coscienti criticamente del proprio passato per non commettere più errori e avere una vita migliore. Le Moire renderanno poi la scelta della nuova vita immodificabile, nessuna anima, una volta operata la scelta potrà cambiarla e la sua vita terrena sarà segnata dalla necessità. Le anime si disseteranno con le acque del fiume Lete ma quelle che lo hanno fatto in maniera smodata dimenticheranno la vita precedente, mentre i filosofi, che guidati dalla ragione non hanno bevuto, manterranno il ricordo, solo un po’ attenuato, del mondo delle idee, alle quali, durante la nuova vita, potranno riferirsi per ampliare la loro conoscenza e vivere serenamente.
SITOGRAFIA:
https://it.wikipedia.org/wiki/La_Repubblica_(dialogo) http://www.filosofico.net/repub.html https://btfp.sp.unipi.it/dida/resp/index.xhtml http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/PlatoneRepubblica.pdf http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/05/10/politica-e-utopia-la-repubblica-di-platone-nel-xx-secolo/
ARTICOLO DI CECILIA CAMPRA DELLA CLASSE III B DEL LICEO CLASSICO
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