La parola favola deriva dal latino fabula che, a sua volta, deriva dal verbo fari ‘parlare’.
La favola è una breve narrazione, per lo più in versi, in cui agiscono e parlano animali, piante o altri esseri inanimati e che racchiude un insegnamento morale, spesso dichiarato esplicitamente dall’autore.
Simile è anche la fiaba anche se il confine tra esse è incerto, tanto che le due parole sono talvolta impropriamente usate l’una per l’altra. La fiaba, infatti, è in prosa: ha come protagonista di solito l’uomo nelle cui vicende intervengono spiriti benefici o malefici, demoni, streghe, fate e altro ancora.; ha uno sviluppo narrativo e un carattere più dichiaratamente fantastico; non ha necessariamente un fine morale e ammaestrativo; ha un’origine popolare e uno sviluppo per tradizione orale.
Quando si parla di favola come genere letterario, essa deve racchiudere una verità morale o un insegnamento di saggezza pratica e, al suo interno, agiscono uomini, animali o esseri inanimati sempre tipizzati che diventano quasi stilizzazioni di vizi e virtù umane. Tuttavia, all’avvicinarsi dell’epoca moderna, l’animale iniziò sempre più a perdere la caratterizzazione psicologica peculiare per introdurre la conclusione morale.
I caratteri fondamentali della favola furono segnati da Esopo che ne viene considerato il creatore. Si deve precisare che nel periodo classico gli autori greci e latini si occuparono sporadicamente di questo genere. Fedro ha il merito di aver creato nella letteratura romana il genere della favolistica. Egli ebbe l’ambizione di fare opera originale, ma in realtà è un rielaboratore di Esopo che talvolta allargò comprendendo anche l’aneddoto storico, la scenetta sentimentale ed epigrammatica, il quadro simbolico mentre talvolta appesantì la composizione dando troppa parte alla morale. Esopo era il favolista di un mondo contadino mentre Fedro era il favolista di uno Stato evoluto dove dominano l’avidità e la sopraffazione, dove il prepotente trionfa sempre sul più debole che viene invitato alla rassegnazione o a cercare un compromesso accettabile nei rapporti col potere. Inizialmente non ebbe molta fama. Solo durante il medioevo iniziò a essere apprezzato infatti in quel periodo le “favole esopiche” ossia le favole provviste di “ morale” di cui sono protagonisti gli animali che parlano e si comportano come gli uomini erano molto popolari. La tradizione favolistica medievale si fonda attraverso le raccolte di manoscritti e di rifacimenti delle sue favole sotto il titolo di Romulus .L’autore Romulus affermava di aver tradotto le favole da Esopo per farle conoscere al figlio Tiberino.
Centro principale di diffusione della favolistica medievale – nei secoli tra il 7° e il 14° – fu la Francia del Nord. Il documento più cospicuo è Roman de Renard di Pierre de Saint-Cloud, Richard de Lison e altri autori anonimi.
Nel XV secolo troviamo anche quattro favole di Leonardo da Vinci il quale scrisse: “Il cedro superbo”, “La fiamma e la caldaia”, “Il granchio” e “Il ragno e l’uva”.
Nel 1495 venne pubblicata una raccolta di 100 favole di Lorenzo Bevilacqua in un libro intitolato “Hecatomythium“. Si trattava di favole inventate dall’autore e in parte che l’autore fingeva essere frutto di traduzioni dal greco Esopo. Nel 1536 veniva pubblicata una seconda raccolta di favole che conteneva la prima e comprendeva anche favole di Lorenzo Valla, Erasmo da Rotterdam, Aulo Gellio ed altri autori vari.
A partire dal 1668 La Fontaine pubblicò le sue meravigliose Fables tra le quali: “Il corvo e la volpe”, “Il leone e l’agnello”, “La cicala e la formica”, “La volpe e l’uva” (che troviamo anche il Esopo), “La gallina dalle uova d’oro”, “Il cervo che si specchia nell’acqua”, “Il ragazzo e il maestro di scuola”, “la morte e il boscaiolo” ecc.
In tempi relativamente più recenti anche Leone Tolstoj scrisse 4 favole.
Brevi cenni sugli autori e le loro favole
ESOPO
frigio di origine, visse come schiavo a Samo nel 6° sec. a.C. anche se pare fosse già popolare ad Atene nel 5° sec. a.C. si dice che fosse gobbo e balbuziente, che viaggiasse in Oriente, a Babilonia, in Egitto, in Grecia ed in particolare a Delfi.
Fu considerato il creatore e divulgatore delle antiche favole di animali con allegorie riferibili al mondo umano.
Le sue favole sono brevi e asciutte, per la maggior parte di animali, parecchie con uomini o dei e poche con piante come personaggi. La morale è semplice, contadina.
Presso i Romani la favola di Esopo, volgarizzata da Fedro, servì a usi scolastici.
Il cervo alla fonte e il leone. Un cervo si specchia nelle acque limpide di un lago: prova grande ammirazione per le sue corna e cerca di nascondere le sue sottilissime gambe. Viene però avvistato da un leone a cui riesce a sfuggire proprio grazie alle sue gambe. Purtroppo le corna si impigliano in un cespuglio ed il leone lo raggiunge ed uccide.
FEDRO – favolista latino del 1° sec. d.C. – originario della Macedonia fu liberto di Augusto. Sotto il regno di Tiberio compose due libri e subì un processo dal quale uscì indenne in quanto si sa che continuò a scrivere anche sotto il regno di Claudio.
Ha scritto 5 libri di favole da lui stesso dette esopiche perché sono traduzioni o rifacimenti di quelle greche attribuite a Esopo.
Fedro ha il merito di avere creato, nella letteratura romana, il genere della favolistica.
La rana e il bue. Un giorno, in un prato, una rana vide un bue. Le sembrò magnifico e provò una profonda invidia per la sua imponenza.
Incominciò così a gonfiarsi quanto più poteva. Interrogò poi i suoi piccoli chiedendo loro se fosse più grande del bue. Essi risposero di no.
Subito tese la pelle con sforzo maggiore e chiese di nuovo chi fosse più grande. I figli risposero: – Il bue! –
Sdegnata, la rana si gonfiò ancora di più e alla fine scoppiò.
Quando i piccoli vogliono imitare i grandi finiscono male.
LONARDO DA VINCI – nato a Vinci nel 1452 morto ad Amboise nel 1519
Oltre a esser stato un inventore, artista e scienziato scrisse anche 4 favole: Il cedro superbo, Le fiamme e la caldaia, Il granchio, Il ragno e l’uva.
Il granchio. Un granchio che si era accorto che molti pesciolini preferivano aggirarsi attorno ad un masso, durante la notte, si nascose sotto il masso e da quel nascondiglio acciuffava e mangiava i poveri pesciolini che li passavano accanto. Il masso aveva brontolato col granchio perché si approfittava di lui per uccidere quei poveri innocenti. Ma il granchio non lo aveva nemmeno ascoltato e aveva continuato a mangiare quei pesciolini prelibati. Un giorno però arrivò una piena del fiume che investì con forza il masso che rotolò nel letto del fiume schiacciando il granchio che gli stava sotto.
Il ragno e l’uva. Un ragno si accorse che le mosche accorrevano specialmente verso un grappolo d’uva dagli acini dolcissimi. Con un filo si calò fino al grappolo e si mise in una celletta nascosta tra gli acini. Da lì assalì e uccise molte povere mosche che non sospettavano la sua presenza. Ma venne il tempo della vendemmia e il contadino colse anche il grappolo nel quale si trovava il ragno e lo pigiò insieme agli altri grappoli. L’uva così fu il fatale tranello per il ragno ingannatore che morì insieme alle mosche ingannate.
JEAN DE LA FONTAINE – nato a Chateau-Thierry, Champagne nel 1621 e morto a Parigi nel 1695 – poeta e favolista – Scrisse una prima serie di favole Fables choisies nel 1668 e Fables nouvelles et autres poésies nel 1671. Gli animali che egli mette in azione sono altrettante piccole maschere, figurine tipiche in cui si trovano i caratteri e le manie dell’umanità. La Fontaine è attento nel descrivere lo sfondo naturale in cui si svolgono le favole e dipinge un mondo ozioso in modo arguto, familiare e bonario.
Alcune favole: “La lepre e la testuggine”, “La canna e la quercia”, “La volpe e il becco”, “L’airone”
La volpe e il becco
La Volpe, che in materia furberia
è vecchia patentata,
andava un certo dì per una via
in compagnia d’un Becco, un animale
che avea più corna in testa che non sale.
Morti di sete, scendono per bere
in un pozzo, e ciascuno si ristora,
ma poi disse la Volpe: – Ora, messere,
ch’abbiam bevuto, il punto più difficile
è quello di andar fuora.
Mi par che tu dovresti alzare i piedi
ed appoggiar le corna accanto al muro,
sì ch’io possa aggrapparmi alla tua schiena
e uscir prima al sicuro.
Quindi anche te saprò cavar di pena.
– Per la mia barba! – disse il buon caprone, –
questo si chiama avere del talento.
Una macchina simile né in cento,
né in trecent’anni non avrei trovata
sì bene congegnata -.
Uscì la Volpe ed al grullo bestione,
rimasto in fondo, volle per zimbello
recitar la moral con un sermone:
– Abbi pazienza; non saresti in molle,
se avessi meno barba e più cervello.
Addio, bello, per me mi accuso fuori.
In quanto a te provvedici, se puoi,
io vo per un affare di premura -.
In tutti i casi tuoi
sempre alla fine di guardar procura.
LEONE TOLSTOJ nato a Jasnaja Poljana nel 1828 e morto nel 1910 a Lev Tolstoj
Scrisse, oltre a “Anna Karenina”, 4 favole: Il corvo ed il piccione, Il corvo e i suoi piccoli, I due cavalli, Il re e gli elefanti.
Il corvo e il piccione. Un corvo osservò che i piccioni vivono contenti e sono ben nutriti perché l’uomo pensa a dar loro da mangiare. Si tinse le penne di bianco e penetrò in una piccionaia. Dapprima i piccioni credettero che fosse uno di loro e lo lasciarono entrare ma il corvo dimenticò per un attimo del suo travestimento e gracchiò come un vero corvo. Allora i piccioni lo buttarono fuori. Ritornò dai corvi, ma questi, spaventati dalle sue penne bianche, lo cacciarono via come avevano fatto i piccioni.
I due cavalli. Due cavalli tiravano ognuno il proprio carro. Il primo cavallo non si fermava mai ma l’altro sostava di continuo. Allora tutto il carico fu messo sul primo cavallo. Il cavallo che era dietro e che ormai tirava un carro vuoto disse sentenzioso al compagno: “Vedi? Tu ti affatichi e sudi! Ma più ti sforzerai, più ti faranno faticare” Quando arrivarono a destinazione il padrone si disse:” Perché devo mantenere due cavalli! Mentre uno solo basta a trasportare i miei carichi? Meglio sarà nutrire bene l’uno e amazzare l’altro; ci guadagnerò la pelle del cavallo ucciso”. E così fece.
ARTICOLO DI MIRELLA CORDARO DELLA CLASSE III B DEL LICEO CLASSICO
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