La Costituzione della Corsica del 1755, detta anche Costituzione paolina dal nome del suo estensore, Pasquale Paoli, fu la prima costituzione al mondo scritta secondo i principi dell’Illuminismo, e comprendeva la prima implementazione del suffragio femminile, rappresentando anche il primo esempio nella storia moderna di una Carta d’impronta democratica, precedente alle Costituzioni rivoluzionarie americane e francesi.
La Costituzione del Regno di Corsica venne redatta nel 1794, fu giurata dal ministro plenipotenziario del Regno Unito, Gilbert Elliot e fu controfirmata da Pasquale Paoli e Carlo Andrea Pozzodiborgo), venne redatta in italiano, prevedeva per la Corsica una monarchia costituzionale sotto protezione britannica (de facto una colonia inglese), il suffragio maschile censitario (molto allargato per l’epoca), poi prevedeva la divisione in pievi per l’elezione di un parlamento con due deputati per pieve. Il parlamento corso aveva la durata di due anni. Inoltre prevedeva la divisione della Corsica in 9 giurisdizioni con tutte a capo un presidente e un avvocato, veniva decretata la libertà di stampa e si definiva la Corsica una nazione con religione ufficiale il cattolicesimo e tollerava gli altri culti.
La Repubblica Corsa
Tra i periodi di autonomia ed indipendenza degli isola- ni si ricorda quello repubblicano, compreso tra il 1755 e 1769. Durante gli anni della lotta contro Genova e poi contro la Francia, la Corsica indipendente di Pasqua- le Paoli, anche per la sua Costituzione della Repubblica Corsa del 1755, favorevole alle prime modernizzazioni, si guadagnò la simpatia dei più illuminati intellettuali euro- pei, da Rousseau a James Boswell a Voltaire, che celebrò ammirato l’eroismo mostrato dai còrsi.
Un ritratto di Pasquale Paoli ad opera di Henry William Beechey.
Nel 1755 vi fu un’insurrezione popolare contro il do- minio della Repubblica di Genova, guidata dal patriota illuminista corso Pasquale Paoli. Quest’ultimo istituì la Repubblica Corsa, il primo Stato europeo dotato di una Costituzione democratica e moderna, compreso il diritto
di voto alle donne già dal 1755; scritta in italiano, defini- ta la lingua “colta”, tale Costituzione fu in parte ispirata dalle idee di Rousseau e dalle idee illuministe dello stesso Paoli, che si era formato all’Università di Napoli.
Dopo alcuni anni d’indipendenza corsa, nel 1764 la Repubblica di Genova chiese aiuto al Re Luigi XV di Francia per riconquistare l’isola, fino ad indebitarsi gra- vemente con gli stessi francesi. I diritti sull’isola furono quindi ceduti a questi ultimi (con facoltà di riscatto) per due milioni circa di lire dell’epoca, attraverso il Trattato di Versailles del 1768.
3.2 1768-1769: annessione alla Francia
Un anno dopo, l’8 maggio 1769, con una schiacciante su- periorità militare francese nella Battaglia di Ponte Nuo- vo (1769), segnante la fine dell’effimero (1755-1769) ge- neralato paolino della Repubblica Corsa, l’esercito fran- cese guidato dal Conte di Vaux completò la conquista dell’isola.
3.3 Tessuto socio-politico
Geografia ed orografia in Corsica hanno avuto conseguen- ze storiche forse più spiccate che altrove. Contraddistinta da una relativa scarsità di approdi e, soprattutto, di pianu- re, la Corsica è un’autentica “montagna in mezzo al mare” attraversata com’è, da nord-ovest a sud-est, da un formi- dabile sistema di catene montuose le cui cime superano spesso i 2.500 metri. Tali cime culminano nei 2 706 me- tri del monte Cinto, la cui vetta – spesso innevata anche d’estate – dista solo 28 km dal mare a ponente, illustrando così assai bene lo sviluppo verticale più che orizzontale di questa terra.
Questo sistema montuoso ha da sempre diviso la Corsica in due parti: avendo come riferimento la penisola italia- na, quella a Nord-Est (oggi Haute-Corse), detta storica- mente “Banda di dentro”, “Di qua dai monti” (Deçà des Monts) o “Cismonte”, e quella a Sud-Ovest (oggi Corse du Sud), detta “Banda di fuori”, “Di là dai monti” (Delà des Monts) o “Pumonte”. I passi che attraversano le mon- tagne – molti dei quali sono situati oltre i 1.000 metri – erano bloccati anche per settimane dalle nevicate, venen- do così a costituire, assieme ai monti, più una barriera che un vero collegamento tra le due sub-regioni. Anco- ra, le ripide vallate, spesso prive di collegamenti tra loro anche nell’ambito della stessa Banda, tracciano come una ragnatela a compartimenti stagni nell’entroterra còrso.
Se da un lato queste caratteristiche del terreno hanno re- so lungo e difficile il compito agli invasori, rendendone lenta la penetrazione (e abituando la popolazione a fare di guerra e guerriglia il proprio pane quotidiano per se- coli), dall’altro hanno contribuito decisivamente a tenere sempre relativamente bassa la densità di popolazione e a separare gli isolani tra loro.
Il versante settentrionale, rivolto all’Italia, ha subito una maggiore influenza dalla penisola, sia sul piano politico- sociale, sia su quello linguistico, mentre la parte sud- occidentale ha mantenuto un’originalità più spiccata (ma goduto di un minore progresso politico, almeno sino al periodo francese), mentre il radicamento della popola- zione nelle vallate montane – tutte le maggiori città sul mare sono state fondate o sviluppate dagli invasori – ha generato e diffuso ovunque una tendenza al particolari- smo a volte spinta sino a sfociare in una sorta di isolazio- nismo, la cui conseguenza forse più drammatica fu il dif- fondersi e l’affermarsi, per secoli, della piaga della vendet- ta (simile alla disamistade diffusa nella vicina Sardegna ed alla faida nell’Italia meridionale e in Sicilia) quale si- stema sommario di giustizia e del diffuso fenomeno del banditismo.
La grande divisione orografica longitudinale e quelle (mi- nori, ma a volte non meno importanti) trasversali, più marcate nella zona sud-occidentale, hanno dunque con- tribuito a creare nell’isola confini ideali, sociali, lingui- stici e politici. Tali confini, filtrati dalla storia, si sono tradotti nelle suddivisioni amministrative che, con poche variazioni, sono rimaste immutate sino ai giorni nostri. I due dipartimenti (Départements 2A/2B), reintrodotti dal- la Francia nel 1975 (dopo un’analoga parentesi tra 1793 e 1811), ricalcano i confini storici di Pumonte e Cismon- te, mentre gli attuali Cantoni (Cantons) corrispondono in buona parte all’antico sistema delle Pievi (suddivisione amministrativa del territorio delle parrocchie), sviluppato durante i secoli del dominio genovese (1284-1768).
La polverizzazione del tessuto socio-politico, oltre a ge- nerare la citata piaga della vendetta ed a prevenire il de- collo dell’economia (rimasta in buona parte autarchica si- no al XX secolo), ha forgiato il carattere della popolazio- ne, fortemente legata ad un’organizzazione per clan fami- liari raramente alleati tra loro oltre i confini di una singola Pieve.
Questa situazione, sfruttata sia dai Signori locali (a vol- te diretti responsabili di interventi stranieri, invocati per risolvere i conflitti locali), sia da entità amministrative esterne, ha contribuito in modo decisivo ad impedire lo sviluppo di un disegno politico condiviso di unificazione davvero radicato e coerente, rendendo vani od effimeri tutti i tentativi di indipendenza.
Per secoli questo stato di cose spinse i còrsi all’emigrazione, prima come coloni verso la Sarde- gna, specialmente in Gallura, poi soprattutto come soldati di ventura (per secoli – e da prima dell’istituzione della Guardia Svizzera – la Guardia Corsa costituì la truppa scelta del Papa), infine trovando sbocco soprat- tutto nell’amministrazione statale e coloniale francese (furono numerosissimi i còrsi emigrati in Algeria, in Indocina e nelle altre colonie francesi). La forte emi- grazione ha portato alla creazione di una vasta diaspora, tanto che oggi essa conta più còrsi nati o residenti fuori dall’isola di quelli presenti in Corsica stessa.
3.4 Tra bonapartismo ed emigrazione
Considerata la circostanza della nascita di Napoleone in Corsica in coincidenza con l’occupazione francese dell’isola – e coerentemente con il proprio disegno unifi- catore già delineato dalla Rivoluzione – la Francia applicò il proprio modello amministrativo, culturale e, per cer- ti versi, di sviluppo economico all’isola, considerata sin dall’Impero come territorio metropolitano. I còrsi si inte- grarono lentamente alla Francia più per le possibilità lo- ro offerte dalla metropoli e dalla sua espansione colonia- le che per le sirene della retorica nazionalista d’oltralpe. Sino a oltre metà Ottocento, l’Italiano continuò ad esse- re la lingua – anche scritta – più diffusa nell’isola (e lo era sempre stata, sin da quando aveva sostituito il Lati- no); l’uso del francese dovette essere imposto per legge. Quando, nel 1889, le ossa di Pasquale Paoli furono trasla- te dall’Abbazia di Westminster, dove il patriota còrso era stato sepolto essendo morto in esilio a Londra nel 1807, nella tomba di famiglia presso la casa natale a Stretta di Morosaglia (in còrso Merusaglia), la lapide fu scritta in italiano. Con l’avvio del processo di unificazione italia- no, Napoleone III proibi l’uso dell’italiano sull’isola, onde evitare eventuali rivendicazioni future.
Almeno sino alla fine del XIX secolo, la penetrazione cul- turale ed economica francese – contrastata armi in pugno sino al primo ventennio dell’Ottocento, sia pure con for- za via via decrescente – nell’interno della Corsica rimase modesta e il francese non diverrà lingua veicolare diffusa ovunque sino a metà del XX secolo. A dispetto degli sfor- zi profusi soprattutto da Napoleone III per abbellire la ca- pitale dell’isola e provvedere alla creazione di infrastrut- ture di trasporto, il culto bonapartista, largamente inco- raggiato, è rimasto sempre sostanzialmente limitato alla zona di Ajaccio, dove è sopravvissuto sino ai giorni nostri. Non che ciò sia ragione di meraviglia, in considerazione dell’atavica rivalità tra còrsi già illustrata.
La prima guerra mondiale, cui i corsi pagarono un ri- levante tributo di sangue essendo caduti in decine di migliaia nel fronte franco-tedesco, ebbe un ruolo note- vole, assieme all’avvento dello sviluppo industriale ed all’apice raggiunto dall’espansione coloniale francese, nel perfezionare l’integrazione della Corsica nell’ambito della Francia: oltre al vistoso decremento demografico indotto dalla guerra, la conseguente crisi economica incrementò l’emigrazione dall’isola che vide ridursi sostanzialmente la propria popolazione e il proprio tenore di vita.
La Corsica fu coinvolta solo marginalmente nel processo di unificazione italiana, salvo l’eccezione di alcuni intel- lettuali locali che consideravano, come nei secoli passa- ti, terraferma l’Italia piuttosto che il continente francese. Né vi fu mai da parte del Regno d’Italia, molto legato al- la Francia sin dalla sua concezione, il minimo accenno concreto ad entrare in rotta di collisione con Parigi per la Corsica, neanche quando, con la caduta di Napoleone III nel 1870, Vittorio Emanuele II, non esitò a liquidare lo Stato Pontificio; ma non ci fu alcun tentativo per re-cuperare la Corsica e le altre terre italiane finite in mano francese (Nizza e Savoia), malgrado anche la sorprenden- te reazione dei nazionalisti francesi di cacciata contro il neoeletto Garibaldi (accorso dalla vicina Caprera a difesa della Francia distrutta dall’esercito prussiano e poi eletto deputato dai francesi).
Anche con il risorgere dell’autonomismo còrso all’alba del XX secolo e, soprattutto nel primo dopoguerra, con la fioritura di pubblicazioni in lingua corsa (tra tutte: A Muvra), la franca ripresa del culto Paolista e la fondazio- ne del Partitu Corsu d’Azione (analogo al Partito Sardo d’Azione), in Corsica non sorse nulla di simile ai movi- menti irredentisti che s’erano sviluppati in Trentino, in Venezia Giulia e in Dalmazia.
I pochi irredentisti (Petru Rocca e Petru Giovacchini tra gli altri) erano lacerati dallo spirito atavico che sempre legava la gente di Corsica alla sua terra, prima che ad ogni altra cosa.
In tale situazione l’Italia fascista tentò nel 1938 di far leva sul mai del tutto sopito sentimento antifrancese e sulla crisi diffusa in Corsica, per crearvi un sostegno alle pretese espansioniste mussoliniane (che rivendica- va all’Italia la Savoia, la Contea di Nizza e la Corsi- ca). Se alcuni intellettuali còrsi raccolsero l’appello (più per sentimento di estraneità al contesto francese che per adesione all’ideologia fascista), la maggioranza lo respin- se e la Francia sfruttò questa frizione tra filoitaliani e indipendentisti a proprio favore.
3.5 L’invasione fascista
L’occupazione militare italiana (novembre 1942 – set- tembre 1943) durante la Seconda guerra mondiale fu ab- bastanza pacificamente accettata dai Corsi che inizial- mente accolsero gli italiani come liberatori, alcuni, tra cui i “Gruppi di azione irredentista corsa” l’appoggiarono apertamente, chiedendo l’unione della Corsica al Regno d’Italia. Nell’estate del 1943 la Francia cercò di creare gruppi di resistenza antiitaliana, facendo leva su gruppi dissidenti e su corsi legati all’apparato burocratico fran- cese. Iniziò così l’attività partigiana e la repressione vio-
lenta della Resistenza operata in Corsica dall’OVRA che alienò le simpatie di molti corsi verso l’Italia.
3.6 La Liberazione partigiana
Dall’8 settembre 1943 al 5 ottobre successivo, gli 80 000 militari delle forze italiane di occupazione ebbero – uni- co caso nel quadro del generale disastro di quei giorni – un ruolo decisivo nello sconfiggere e cacciare le trup- pe corazzate tedesche dall’isola, combattendo a fianco di circa 10.000 partigiani della resistenza còrsa e di circa 6.000 soldati coloniali francesi. Il sangue dei quasi 700 caduti italiani, tuttavia, non valse a sanare la ferita aperta dal proditorio attacco di Mussolini alla Francia. Anzi, lo sforzo nazionalista francese, impersonato da De Gaulle, nel celebrare la Corsica come “primo dipartimento fran- cese liberato”, ignorò il contributo di sangue versato dai soldati italiani per scacciare la Wehrmacht dall’isola.
3.7 Il dopoguerra e l’Algeria
Dopo la guerra, la Francia condannò a morte sette irre- dentisti filo-italiani fra i quali Petru Giovacchini che tut- tavia, come altri, sfuggì alla pena essendosi rifugiato in Italia. Altri irredentisti furono condannati a varie pene detentive, Petru Rocca a 15 di lavori forzati da scontar- si alla Caienna (Guyana francese). Il colonnello Simon Cristofini venne invece fucilato ad Algeri nel 1944 con l’accusa di tradimento e la moglie, Marta Renucci, pri- ma giornalista della Corsica, fu condannata a 15 anni di prigione.
Integrata nella repubblica francese, la Corsica dell’ultimo dopoguerra non ha trovato la pace malgrado il de- clino di lingua e tradizioni locali, accelerato dalla modernizzazione e dalla globalizzazione.
All’indomani dell’indipendenza dell’Algeria 1962 il go- verno di Parigi dispose il trasferimento in Corsica di decine di migliaia di rimpatriati franco-algerini (pieds- noirs), alterando significativamente il quadro demogra- fico ed economico locale. Questo evento, sommato ad una serie di scandali politici e finanziari, portò alla na- scita di movimenti regionalisti che presto si trasformano in autonomisti (1966-1973).
La mancanza di risposte politiche adeguate da parte del governo francese ai problemi che esso stesso aveva con- tribuito a creare finì per esasperare la situazione: così, nel 1975 (Fatti di Aleria), si giunse alla rinascita di movimen- ti indipendentisti e, nel 1976 alla lotta armata promossa dal FLNC (Fronte di Liberazione Naziunalista Corsu).
Mai del tutto esauritasi e caratterizzata da migliaia di at- tentati dinamitardi eseguiti in Corsica (ma anche in Fran- cia), la lotta armata indipendentista, sovente divisa al suo interno, si è data nel corso degli anni un volto politico e ha fatto sentire il suo peso utilizzando sempre più metodi pacifici e democratici.
Sostenuti alle elezioni da una parte sempre significativa (ma mai maggioritaria) della popolazione Còrsa, autono- misti e indipendentisti hanno ottenuto diversi successi, alcuni dei quali storici, come la riapertura (1981) a Corte dell’università di Corsica fondata da Pasquale Paoli (chiu- sa dallo Stato francese non appena ebbe il controllo pieno dell’isola e mai più riaperta).
3.8 I primi passi verso l’autonomia
Un anno dopo (1982) il Parlamento francese dotò l’isola di uno statuto particolare, che venne riformato nel 1991, con il trasferimento all’Assemblea di Corsica (eletta a suffragio universale) di numerose competenze in materia culturale, economica e sociale.
Inquinata dal perdurare della violenza (su tutti l’affare non del tutto chiarito dell’assassinio del prefetto Claude Eri- gnac il 6 febbraio 1998 ad Ajaccio), la lotta politica senza esclusione di colpi tra autonomisti ed indipendentisti da una parte, e uomini politici còrsi aderenti ai partiti nazio- nali francesi (sovente indicati in Corsica con l’appellativo dispregiativo di clanisti) dall’altra, ha tuttavia costituito un freno notevole alle realizzazione concrete promesse dalle riforme introdotte (incluso l’insegnamento facolta- tivo della lingua còrsa nelle scuole), e ancor oggi la Cor- sica è una delle regioni più depresse e afflitte da problemi sociali dello Stato francese.
Nel dicembre 2015 la coalizione Pè a Corsica (Per la Cor- sica) composta dagli autonomisti di Femu a Corsica e da- gli indipendentisti di Corsica Libera vince le elezioni re- gionali (Territoriali)[3] e conquista per la prima volta nella sua storia la guida della Collettività Territoriale di Cor- sica (CTC). Il leader autonomista Gilles Simeoni viene nominato Presidente del Consiglio esecutivo della Corsi- ca (giunta regionale) mentre quello indipendentista Jean- Guy Talamoni viene messo a presiedere l’Assemblea della Corsica (consiglio regionale).
Commenti recenti