Il Generale di Brigata Piera Gatteschi Fondelli è l’unico Generale di brigata donna che le forze armate abbiano avuto in Italia. Piera Gatteschi Fondelli è rimasta nella memoria di chi le è stata vicina soprattutto per il suo fascino, la sua eleganza, il suo coraggio e il suo entusiasmo. Piera nasce a Pioppi in Toscana all’ inizio del Novecento, in una di quelle belle famiglie allargate di una volta. Suo padre muore prima della sua nascita; tuttavia la bambina ha un ottimo rapporto con la mamma con la quale si trasferisce a Roma alla vigilia della grande guerra. Le vicende del dopoguerra la coinvolgono a tal punto che, fin dal 1921, si iscrive al Fascio di combattimento di Roma; il 19 ottobre 1922 prende parte al congresso che si svolge a Napoli e il 28 ottobre la ventenne Piera è a capo di un gruppetto di venti donne che formano la “squadra d’onore di scorta al gagliardetto” e con loro partecipa alla Marcia su Roma. Le sue doti organizzative la portano a diventare ispettrice della Federazione dell’Urbe, occupandosi dell’Opera nazionale maternità e infanzia, della Croce Rossa, delle colonie estive. Ma sulla politica prevale l’amore: nel 1936 lascia tutto per seguire in Africa l’ingegner Mario Gatteschi che ha sposato e che dirige i lavori della strada Assab-Addis Abeba. Quando, tre anni dopo, rientra in Italia, Mussolini la nomina Fiduciaria dei Fasci femminili dell’Urbe che conta 150.000 iscritte. Nel 1940 diventa ispettrice nazionale del partito. Caduto il fascismo, Piera si rifugia dai suoceri nel Casentino, mentre il marito, tornato in Africa come combattente, è in Kenia prigioniero dagli inglesi. Ma non è da lei nascondersi e stare in disparte: quando viene informata che Mussolini è stato liberato e ha fondato la Repubblica sociale italiana nel Nord, Piera si trasferisce a Brescia e avvia una nuova collaborazione con Alessandro Pavolini, il segretario del partito. Qui, alla fine del 1943, la Gatteschi manifesta al Duce il desiderio delle donne fasciste di avere un ruolo più incisivo nella difesa del paese. Il progetto è appoggiato da Pavolini e accettato da Graziani. Servono uomini per la guerra e le donne diventano necessarie per assisterli e per sostituirli nei tanti ruoli non di prima linea.

Il 18 aprile 1944 nasce il Servizio Ausiliario Femminile (SAF) nel quale affluiscono giovani donne di tutte le condizioni sociali. Il regolamento voluto da Piera, nominata generale di brigata, è rigido: niente pantaloni, niente trucco, niente fumo, nessuna concessione al cameratismo. La Gatteschi vuole che nessuno pensi alla sue ragazze come a delle esaltate o le ritenga di facili costumi: patriottismo e moralità sono le basi su cui intende costruire la nuova realtà delle donne soldato che però vuole molto femminili. «Non volevo un esercito di amazzoni» dirà molti anni dopo «ma di ausiliarie, di sorelle dei combattenti». Le ausiliarie prestano assistenza infermieristica negli ospedali militari, lavorano negli uffici e alla propaganda, allestiscono posti mobili di ristoro per la truppa. Nell’arco di dodici mesi 6.000 giovani donne partecipano ai sei corsi di addestramento, che si svolgono prima a Venezia e poi a Como; soltanto dopo venivano assegnate ai Comandi. Dopo il 25 aprile 1945 il Saf si dissolve e Pavolini suggerisce di distruggere tutta la documentazione per evitare vendette. Piera cerca di mettere in salvo le sue ragazze, ma lei stessa vive in clandestinità per circa un anno, prima in un convento, poi in un manicomio, trasferendosi successivamente in Abruzzo con il marito, nel frattempo tornato dalla prigionia e che morirà nel 1947. A lei resta la nipote Teresa Tirinnanzi, che aveva perso entrambi i genitori e che considera una figlia. Negli anni Sessanta si dedica all’organizzazione di viaggi turistici per i giovani del Movimento sociale italiano. Legge molto, ha una vasta cultura ed è appassionata di pittura. Tenta anche la gestione di un ristorante ma senza successo. Quando muore, nel 1985, Mia Pavolini, che era stata la più giovane ausiliaria della Rsi, scrive: «Se la vita è movimento, lotta, delusioni, entusiasmo, fede, tenerezza, rabbia o dolore, interessarsi a tutto, sapersi meravigliare, estasiare, commuovere, e saper capire ed aiutare con amore, saper ridere e saper piangere, se tutto ciò è vita, tu eri la vita

S.A.F.

Servizio Ausiliario Femminile

Il decreto legge che ha consentito alle donne d’intraprendere la carriera militare nelle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana, ha avuto un gran risalto in questi ultimi tempi, ma i mass media hanno tralasciato di menzionare il Servizio Ausiliario Femminile durante la seconda guerra mondiale.

Questo è un fenomeno rimasto unico nella nostra storia, e accadde nell’ultimo periodo del secondo conflitto mondiale, quando le truppe angloamericane risalivano la penisola italiana.

Ad eccezione delle crocerossine e delle “vivandiere”, impiegate già durante la Grande Guerra, non esistevano precedenti con donne in mezzo ai soldati.

Nel nostro paese, fin dall’inizio della guerra, l’apporto femminile era limitato a quelle mansioni da sempre ritenute più adatte al gentil sesso: visite ai feriti negli ospedali militari, confezione d’indumenti e pacchi dono per i soldati, attività di sostegno morale per i combattenti, per il più esplicata in forma epistolare (lettere) dalle cosiddette “madrine di guerra”.

Le donne, nate e cresciute durante il ventennio fascista, si sentivano preparate ad affrontare prove più impegnative, e parecchie di loro, soffrivano di questa non parità con gli uomini che combattevano per la Patria. Fin da bambine avevano militato nelle organizzazioni civili delle Figlie della Lupa e Piccole Italiane, apprendendo il senso del dovere, del sacrificio, della disciplina ma soprattutto dell’amor di patria. I disagi della guerra (il razionamento dei viveri, le restrizioni di vario genere, l’oscuramento, i frequenti bombardamenti) avevano contribuito a temprarle, rendendole consapevoli di vivere un gran momento storico.

Dopo l’8 settembre 1943, quando fu annunciato l’armistizio e fu chiaro il tradimento della Monarchia Sabauda e di Badoglio nei confronti dell’alleato germanico, in molte giovani esplose vivissima l’indignazione che alimentò quel fermento patriottico, incanalandolo verso una più concreta forma di ribellione e di partecipazione alla difesa della nostra Patria. L’adesione al ricostituito governo di Mussolini fu entusiastica ed immediata.

Durante la Repubblica Sociale Italiana, le future ausiliarie non si sentivano più paghe nel ruolo d’appassionate assistenti, che offrivano ai soldati soltanto un aiuto morale.

Spetta al Ministro Segretario del P.F.R., Alessandro Pavolini, il merito di aver favorito l’attuazione di un Servizio Ausiliario Femminile e di aver scelto per realizzarlo nel più breve tempo possibile una donna di comprovata esperienza, Piera Gatteschi Fondelli, Ispettrice Nazionale dei Fasci Femminili.
Non c’erano precedenti, il S.A.F. era tutto da inventare, eppure Piera Gatteschi (Comandante Generale, unica donna col grado equiparato a Generale di Brigata), avvalendosi delle proprie notevoli capacità e circondandosi di collaboratrici più che valide, riesce in breve e nelle condizioni eccezionali dovute allo stato di guerra, a dar vita ad un corpo che lo stesso Pavolini definiva “una delle istituzioni più serie ed utili fra tutte quelle che abbiamo”.

Piera Gatteschi nasce a Pioppi in Toscana all’inizio del Novecento. Suo padre muore prima della sua nascita; si trasferisce a Roma con la mamma alla vigilia della Grande Guerra. Le vicende del dopoguerra la coinvolgono a tal punto che, fin dal 1921, s’iscrive al Fascio di Combattimento di Roma; il 19 ottobre 1922 prende parte al congresso che si svolge a Napoli e il 28 ottobre la ventenne Piera è a capo di un gruppetto di venti donne che formano la “squadra d’onore di scorta al gagliardetto” e con loro partecipa alla Marcia su Roma. Le sue doti organizzative la portano a diventare ispettrice della Federazione dell’Urbe, occupandosi dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, della Croce Rossa, delle colonie estive.

Nel 1936 parte per l’Africa con l’ingegner Mario Gatteschi che ha sposato e che dirige i lavori della Strada Assab-Addis Abeba. Tre anni dopo, quando rientra in Italia, Mussolini la nomina Fiduciaria dei Fasci Femminili dell’Urbe che conta 150.000 iscritte. Nel 1940 diventa Ispettrice Nazionale del Partito. Caduto il fascismo, Piera si rifugia dai suoceri nel Casentino, mentre il marito, tornato in Africa come combattente, è in Kenia prigioniero degli inglesi. Quando viene informata che Mussolini è stato liberato e ha fondato la Repubblica Sociale Italiana nel Nord, Piera Matteschi si trasferisce a Brescia e avvia una nuova collaborazione con Alessandro Pavolini, il segretario del partito. Qui, alla fine del 1943, la Gatteschi manifesta al Duce il desiderio delle donne fasciste di avere un ruolo più incisivo nella difesa del paese. Il progetto è appoggiato da Pavolini e accettato da Graziani. Servono uomini per la guerra e le donne diventano necessarie per assisterli e per sostituirli nei tanti ruoli lontani dalla prima linea.

Il Decreto Legislativo che istituisce il S.A.F. porta la data del 18 Aprile 1944 – XXII – n.447 ed è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1 agosto 1944. L’arruolamento è assolutamente volontario, numerosi i requisiti richiesti, particolarmente rigida la disciplina.

L’iniziativa mussoliniana riscosse un grande successo: presentarono domanda di arruolamento nel S.A.F. oltre 6.000 donne appartenenti ad ogni ceto sociale e provenienti da ogni parte dell’Italia: c’erano tante ragazze quasi maggiorenni, molte spose, parecchie madri.. All’interno del S.A.F. ogni dipendente era soggetta alla giurisdizione penale militare. Le reclute prestavano giuramento, secondo la formula stabilita per le forze armate, in seguito erano impiegate in servizio effettivo presso i reparti di destinazione, che prendevano in forza le ausiliarie, sia amministrativamente, che disciplinarmente. Le ausiliarie erano infatti militarizzate a tutti gli effetti, i loro fogli matricolari erano regolarmente trasmessi ai distretti militari e costantemente aggiornati. Lo stipendio oscillava tra le 700 Lire del personale di concetto e le 350 Lire del personale di fatica.

Si trattava in sostanza di tre grandi filoni: il Servizio Ausiliario Femminile, le Brigate Nere e la Decima Mas, nella quale ci si poteva arruolare anche avendo solo quindici anni. La Xa Flottiglia Mas ebbe il S.A.F. autonomo da quello per l’Esercito e per la Guardia Nazionale Repubblicana; fu inquadrato alle dipendenze del Sottosegretario alla Marina da Guerra Repubblicana.

I Corsi di addestramento organizzati dal Comando generale S.A.F. di Piera Gatteschi furono sei (Italia, Roma, Brigate Nere, Giovinezza, Fiamma e 18 Aprile) ed ognuno veniva frequentato da circa trecento reclute che, preordinate alla loro missione e prestato giuramento, venivano dislocate nei Centri militari e nei Reparti per essere scelte.

II 1° corso “Italia” del 1 maggio 1944 ed il 2° “Roma” del 1 luglio durarono 48 giorni, il 3° “Brigate Nere” 65 giorni e si svolse al Lido di Venezia (presso l’Hotel Dees Bains), ma venne concluso a Como, dove si tennero poi il 4° “Giovinezza” del 5 novembre (43 giorni), il 5° “Fiamma” del 1 gennaio 1945 (58 giorni) ed il 6° “18 Aprile” del 1 marzo (48 giorni). Nel 1944 a Trieste nacque la Brigata Nera “Norma Cossetto” dal nome della studentessa di Parenzo uccisa dai partigiani jugoslavi di Tito. Le brigatiste indossavano la camicia nera con un teschio sul petto.

Non essendo possibile per motivi logistici far frequentare a tutte le volontarie i Corsi Nazionali, vennero attivati numerosi Corsi Provinciali nelle città in cui esse già prestavano servizio. Contemporaneamente ai corsi di Venezia, l’Opera Ballila – di cui era a capo il Generale Renato Ricci – istituì, per le ragazze non ancora diciottenni tre corsi di addestramento nazionali: uno a Noventa Vicentina (VI), uno a Castiglione Olona (VA) e il terzo a Milano. Un corso si era tenuto anche a Moncalieri (TO), su istanza della professoressa Anna Maria Bardia, un corso per volontarie che vennero impiegate presso la Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) di Frontiera, la cosiddetta “Confinaria”.

Anche la formazione militare comandata dal Principe Junio Valerio Borghese, la DECIMA MAS, ebbe a fianco un nutrito drappello di volontarie.

Nella caserma S. Bartolomeo di La Spezia, il S.A.F. della Decima (1° marzo 1944) anticipò di cinquanta giorni l’istituzione legislativa del Servizio Ausiliario e, durante il periodo della R.S.I., arruolò 250 volontarie, che seguirono, a loro volta, i Corsi Autonomi di Addestramento denominati “Nettuno”, “Anzio” e “Fiumicino” che si svolsero a Sulzano (Bs), Grandola (Co) e Col di Luna (TV) con perfezionamenti nell’educazione fisica, in contegno e morale, nelle norme igieniche, di regolamento e disciplina, sino alla severità di un codice d’impegno che non consentiva deroghe. Alcuni reparti di ausiliarie (tra cui Fulmine, Nuotatori-Paracadutisti, Sagittario, Valanga e Nembo) della Decima erano armati, come nel caso del Barbarigo. Un nucleo di ausiliarie ha combattuto accanto ai marò del Battaglione Lupo per contrastare a Nettuno l’avanzata delle truppe anglo-americane che erano sbarcate ad Anzio.

Il Comandante Valerio Borghese designò alla sua guida Fede Arnaud Pocek (veneziana, classe 1921). Nel 1943 Fede Arnaud era già responsabile del settore sportivo femminile del G.U.F. (Gruppi Universitari Fascisti). Il 19 luglio di quell’anno si verificò il primo bombardamento di Roma che colpì, a San Lorenzo, case popolari intensamente abitate mietendo molte vittime. Fede Arnaud prese la direzione delle operazioni, ed organizzò i primi soccorsi trascinando con l’esempio gli uomini storditi ed esitanti. Instancabile ed efficiente, senza soste, partecipò, guidandolo, al lavoro di sterro per recupero di morti e feriti con grave rischio di crolli; ottenne e distribuì i primi aiuti stimolando capacità di resistenza e speranza nei sopravvissuti sconvolti dal dolore per i cari scomparsi ed i poveri beni perduti.

Fede Arnaud era nella Xa Mas quando il 18 febbraio del ’44, a Cuneo, la banda partigiana di «Mauri» cattura il tenente di vascello Betti, il sottotenente di vascello Cencetti, il guardiamarina Federico Falangola e un marò, tutti del «Maestrale» che sta completando l’addestramento per trasferirsi – cambiando il nome in «Barbarigo» – sul fronte di Nettuno. Al comando è Umberto Bardelli che tenta di evitare lo scontro fratricida per liberare i suoi uomini: accetta la proposta di Fede Arnaud che sola, si avvia alla ricerca dei partigiani. Finalmente, in un paesetto di montagna, incontra una prostituta che accetta di accompagnarla in prossimità della loro base a condizione di non riferire la fonte dell’informazione. Localizzati i partigiani si fa catturare e condotta davanti al loro capo, esegue un perfetto saluto romano. L’uomo è Folco Lulli, un toscano sanguigno, buon attore cinematografico, che aveva lavorato con lei, allora giovane aiuto-regista, prima della guerra. Lulli non è comunista, apprezza il coraggio di Fede Arnaud, accetta il confronto delle opinioni e degli ideali e decide di rilasciare i quattro prigionieri perché raggiungano il fronte con i loro compagni.

Dopo l’armistizio, divenne funzionario del Ministero dell’Economia Corporativa. Personaggio romantico, Fede Arnaud Pocek rimase al comando fino al 26 aprile del 1945 (dopo la guerra diresse una società di doppiatori cinematografici di attori americani). Dalla corrispondenza tra Fede Arnaud e il Comandante Borghese durante il suo esilio in Spagna e da documenti originali dell’epoca si rileva che dopo la condanna a dodici anni e la degradazione (che non può comprendere la revoca del conferimento della Medaglia d’Oro), si è tentato di distruggere la figura morale con un altro processo addebitandogli reati comuni di carattere amministrativo. Il Presidente del Tribunale giudicante si chiamava Renato Squillante ed il Pubblico Ministero Claudio Vitalone; questi si dimetterà poi dalla Magistratura per diventare stretto collaboratore di Giulio Andreotti, Ministro della Difesa in carica il 26 agosto 1974 quando, tornate da Cadice le spoglie mortali del Comandante, impediva che venissero resi gli onori che per legge spettano alle Medaglie d’Oro al Valor Militare.

Le volontarie fasciste prestavano la loro attività “militante” negli ospedali e negli uffici, nei presidi e nelle caserme, nei posti di ristoro e nella difesa antiarea, come aerofoniste e marconiste. Pubblicavano anche un loro periodico. “Donne in grigioverde”. Seguirono le truppe al fronte e combatterono contro gli invasori anglo americani a Nettuno o sulla Linea Gotica, così come contro i partigiani titini nella Venezia Giulia. Tra i loro compiti c’era anche quello casalingo di tener in ordine e rammendare le uniformi dei combattenti. Il fascismo non voleva che si dimenticasse completamente il ruolo della donna di casa. C’era nei confronti di questo esercito femminile l’ossessione della moralità. La divisa, era realizzata con panno grezzo grigioverde per l’inverno, tela kaki per l’estate, e doveva avere la gonna a quattro centimetri sotto il ginocchio. La giacca aveva il collo come quella degli uomini e due tasche alla sahariana. Il gladio era il simbolo a cui le ausiliarie erano più attaccate. In testa portavano un basco grigioverde con la fiamma ricavata in rosso. Le calze erano lunghe e grigioverdi, il cappotto di tipo militare.

Il rispetto della disciplina era considerato fondamentale ed il Generale di Brigata Piera Gatteschi Fondelli, a cui era stato affidato il comando delle 6.000 donne, aveva personalmente elaborato un regolamento comportamentale. Il regolamento voluto da Piera, nominata generale di brigata, è rigido: niente pantaloni, niente trucco, niente fumo, nessuna concessione al cameratismo. Era inoltre d’obbligo il “voi” che Mussolini aveva istituito in luogo del “lei”. La Gatteschi vuole che nessuno pensi alla sue ragazze come a delle esaltate o le ritenga di facili costumi: patriottismo e moralità sono le basi su cui intende costruire la nuova realtà delle donne soldato che però vuole femminili. Alle ausiliarie venivano affidate anche vere operazioni di sabotaggio. Molti uomini e donne di questo corpo vennero, alla fine della guerra, fucilati o condannati a morte. Durante il corso di addestramento tenuto dai Tedeschi, si mostravano filmati, s’istruivano sulle divise del nemico, sul tipo d’armamento, sui carri armati, si allenavano agli interrogatori, a rispondere sulle false identità, si spiegava come reagire alla tortura ed alle altre sevizie e come si potesse tentare un’evasione. Le “Volpi Argentate” era un servizio speciale di guastatori, sabotatori ed assaltatori. Il loro nome nacque dall’insegna che era posta all’ingresso del comando di reparto a Milano: Allevamento Volpi Argentate del Dottor De Santis (colonnello che comandava il servizio, vera identità Tommaso David). Uno dei loro compiti era quello d’individuare l’entità e le caratteristiche delle forze alleate, specie per quanto riguardava mezzi motorizzati e corazzati. Le “Volpi Argentate” e gli altri reparti dove trovavano impiego le reclute Secondo il decreto firmato da Mussolini, i compiti delle ausiliarie (che dovevano essere italiane, ariane, di età fra i 18 ed i 45 anni) erano modesti: pulitrici e cuciniere, dattilografe, infermiere, telefoniste. Questo non toglieva che il loro addestramento e la loro disciplina fossero militarmente duri. Dopo il 25 aprile 1945 il S.A.F. si sciolse, e Pavolini suggerì di distruggere tutta la documentazione per evitare vendette. Piera Matteschi cercò di mettere in salvo le sue ragazze, ma lei stessa visse in clandestinità per circa un anno, prima in un convento, poi in un manicomio. Si trasferirà successivamente in Abruzzo con il marito, nel frattempo tornato dalla prigionia; il coniuge morirà nel 1947. Negli anni Sessanta si dedicò all’organizzazione di viaggi turistici per i giovani del Movimento Sociale Italiano. Era solita leggere molto; ebbe una vasta cultura e fu appassionata di pittura. Tentò anche la gestione di un ristorante ma senza successo. E’ deceduta nel 1985.

Quante furono le ausiliarie? In un rapporto al Duce, la Comandante Gatteschi, il 28 ottobre 1944, fa presente che 1.237 si trovano già in servizio, mentre 5.500 sono in addestramento nei vari corsi provinciali. Se a queste aggiungiamo gli ultimi tre corsi nazionali, le ausiliarie della Xa MAS e delle altre formazioni autonome, si può stimare il loro numero a circa 10.000. Mussolini aveva la massima fiducia nel Servizio Ausiliario, come testimoniano le parole rivolte alle volontarie del corso “Giovinezza”, adunate nel Castello Sforzesco di Milano il 18 Dicembre 1944, per prestare giuramento in sua presenza. Consapevoli di essere pari a i combattenti della R.S.I., le ausiliarie ne condivisero le sorti fino all’ultimo giorno. Come gli uomini, subirono prigionia e campi di concentramento – quelle catturate dagli americani furono considerate a tutti gli effetti P.O.W. (Prisoner of War). Com’è noto dopo il 25 aprile, a guerra finita ed armi deposte, si scatenò contro gli aderenti alla R.S.I. tutta una serie di vendette, in quelli che ormai sono definiti “i giorni dell’odio”; in proporzione al numero degli effettivi, il S.A.F. è stato il reparto che ha pagato il più alto tributo di sangue.

L’albo d’oro delle ausiliarie si fregia di due medaglie alla memoria: una d’oro a Franca Barbier, Medaglia d’oro al Valor Militare, 20 anni, nata a Saluzzo, figlia di un colonnello degli alpini in Dalmazia, sorella di un volontario della R.S.I., uccisa con un colpo alla nuca dal comandante partigiano “Mèzard” a Champorcher (Valle d’Aosta) il 25 luglio 1944 dopo che il plotone d’esecuzione si era rifiutato di eseguire l’ordine di fuoco. Una d’argento ad Angelina Milazzo, uccisa a Garbagnate Milanese il 21 gennaio 1945 durante un attacco aereo nemico a un treno delle Ferrovie Milano Nord, mentre faceva scudo con il proprio corpo ad una giovane donna incinta. Inoltre 14 proposte di medaglie al valore. Questo per il periodo che va dall’aprile ‘44 all’aprile ‘45.

LA “COMANDANTE”

“Avevo un’unica preoccupazione, che diventò ben presto un punto irrinunciabile, l’unico punto irrinunciabile della mia missione. Le ragazze non avrebbero dovuto andare mai al combattimento. Per nessuna ragione. Anche se molte di esse lo desideravano. Non volevo un esercito di amazzoni, ma, appunto, di ausiliarie, di aiutanti, di collaboratrici, di sorelle dei combattenti”

(Piera Gatteschi Fondelli in: Luciano Garibaldi, Le soldatesse di Mussolini, Milano 1995)



 

LE AUSILIARIE DEL S.A.F.

UNICHE A VESTIRE LA DIVISA GRIGIOVERDE SUBIRONO GRAVI PERDITE NELLA GUERRA CIVILE CHE INSANGUINÒ L’ITALIA DAL ’43 AL ’45 

(DA LE SOLDATESSE DI MUSSOLINI», A CURA DI LUCIANO GARIBALDI (MURSIA), PUBBLICHIAMO UN BRANO RELATIVO A PIERA GATTESCHI FONDELII, COMANDANTE DELLE AUSILIARIE DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA – R.S.I.). 

IL LINGUAGGIO DEL NOSTRO GIORNALE, “DONNE IN GRIGIOVERDE”, MI RACCONTAVA PIERA GATTESCHI, FU CHIARO E UNIVOCO FIN DAL PRIMO NUMERO. SAPEVAMO QUEL CHE VOLEVAMO. NELL’ARTICOLO DI FONDO DEL PRIMO NUMERO, DAL TITOLO “CHIARIFICAZIONE”, DI FRONTE AL MOLTIPLICARSI DI CASI DI DONNE ARRUOLATE E ARMATE DALLE FORMAZIONI AUTONOME E DALLE VARIE BANDE CHE COSTITUIRONO SEMPRE LA VERA SPINA NEL FIANCO DELLA RSI, LA MIA VICE-COMANDANTE CESARIA PACHERI RIAFFERMAVA CON CHIAREZZA IL RUOLO. “L’AUSILIARIA”, SCRIVEVA, ” È UNA RAGAZZA SERIA. PER MESI HA DETTO SIGNORSÌ ED HA OBBEDITO À UN RIGIDA DISCIPLINA. SIAMO RAGAZZE SEMPLICI E LA DIVISA ESPRIME LA SERIETÀ DEL NOSTRO INTENTO. ABBIAMO DEL COMBATTENTE LA DECISIONE, LA NOSTRA CASA È L’ACCANTONAMENTO,IL NOSTRO AVERE È AFFARDELLATO SULLE SPALLE. LA DIVISA NON È APPARENZA MA ESPRESSIONE DELLA NOSTRA ANIMA. IN CAMICIA NERA O IN GRIGIOVERDE, CIÒ CHE DÀ A NOI UNA FISIONOMIA NETTA E INCONFONDIBILE È LA DISCIPLINA.SI ALLONTANINO DUNQUE DA NOI LE ESALTATE CHE NON CONOSCONO I PROPRI LIMITI E GIOCANO ALLA GUERRA IN PANTALONI E MITRA.NON ABBIAMO ARMI, NÉ CERCHIAMO FOGGE MASCHILI. LA NOSTRA FORZA STA NELLA FEMMINILITÀ, CHE CI IRRIGIDISCE NEL DOVERE E SI TRAMUTA IN AZIONE “.«QUESTO SPIRITO POLEMICO, QUESTA DIFESA GELOSA DELLA NOSTRA NATURA, SI MANIFESTAVANO A OGNI OCCASIONE. “CRITICI. IMPROVVISATI CI ESORTANO A FACILITARE L’ACCESSO AI CORSI, A PRODIGARE IL GRIGIOVERDE ALLE DONNE. NON SIAMO DI QUESTO PARE. NOI SIAMO POCHE MIGLIAIA; INESORABILMENTE ALLONTANEREMO DA NOI CHI NON RITENIAMO DEGNE DI ESSERE CON NOI”. NON MANCAVANO LE PROTESTE PER UN TALE ATTEGGIAMENTO ORGOGLIOSO E UN PO’ ELITARIO, PROTESTE CHE “DONNE IN GRIGIOVERDE” PUBBLICAVA NELLA MASSIMA LIBERTÀ. NATURALMENTE, IL “FEMMINISMO” DELLE AUSILIARIE NON ERA INCONDIZIONATO. CREDO ANZI CHE LE POLEMICHE PIÚ ASPRE FOSSERO QUELLE CHE AVEVANO PER OBIETTIVO UNA CERTA FEMMINILITÀ TUTTA ITALIANA, FATTA DI AGNOSTICISMO, DI MAMMISMO E SUPERFICIALITÀ. «LA DONNA ITALIANA, SCRIVEVA ORNELLA PUGLISI, UNA DELLE “PENNE” PIÙ AGGUERRITE DEL GIORNALE, NON É ANCORA IN LINEA. II SACRIFICIO E LO SFORZO DELLE MILLE E MILLE AUSILIARIE, CHE SONO, OLTRE CHE INFATICABILI LAVORATRICI, ANCHE UN SIMBOLO DI FEDE, NON VENGONO APPREZZATI, MA SPESSO, PURTROPPO, TRAVISATI E DERISI. DONNE ITALIANE D’OGGI, AL QUINTO ANNO DI GUERRA: PELLICCE, SCARPE DI CUOIO A CARRO ARMATO, PROFUMI, LABBRA SCARLATTE O, SECONDO L’ULTIMO GEMITO DELLA MODA, VIOLA-CADAVERE, APERITIVI, SIGARETTE E VUOTO, VUOTO NEGLI OCCHI E NEL CUORE”».«PER CINQUE MESI, LA RUBRICA “LA NOSTRA POSTA” FU UNA PALESTRA ASSOLUTAMENTE LIBERA, A VOLTE COMMOVENTE, ALTRE VOLTE INFUOCATA E INTRANSIGENTE, DEI SENTIMENTI DELLE AUSILIARIE. ECCO LA LETTERA DEL L’AUSILIARIA BIANCA P. AI GENITORI DOPO CHE, A MODENA, I PARTIGIANI LE AVEVANO UCCISO IL FRATELLO E LA COGNATA: «CORAGGIO, È NECESSARIO ESSERE E FORTI, SPECIALMENTE ADESSO CHE ABBIAMO DA PENSARE ALL’AVVENIRE DEI QUATTRO ORFANI CHE ESSI CI HANNO LASCIATO.CORAGGIO, MAMMINA CARA, PENSA A NOI, I RIMASTI, CHE IN QUEST’ORA DI DOLORE, CI STRINGIAMO FORTI A TE». 

SEMBRANO STORIE IRREALI, TANTO SONO LONTANE DA NOI, EPPURE SONO STATE VISSUTE DA MIGLIAIA DI DONNE ITALIANE, IN UN MISTO DI POESIA, DI ESALTAZIONE E DI TRAGEDIA. II DESIDERIO DIPARTIRE PER IL FRONTE ERA IN TUTTE. DORINA PAGANETTI SCRISSE AL COMANDANTE DELLA DIVISIONE MONTEROSA, E “DONNE IN GRIGIOVERDE” PUBBLICÒ LA SUA LETTERA: «SONO FIGLIA DI UN ALPINO DEL BATTAGLIONE TIRANO E LA MIA SIMPATIA NON PUÒ ESSERE CHE PER LE PENNE NERE. SONO DI SONDRIO E LE MONTAGNE SONO LE MIE COMPAGNE D’INFANZIA. VI PREGO CALDAMENTE DI RICHIEDERMI NELLA VOSTRA DIVISIONE, PERCHÉ SONO STANCA DI QUESTA VITA AVVILENTE, IN UFFICIO, A FIANCO DI GIOVANI VENT’ENNI E AZZIMATI UFFICIALI CHE NON VEDONO IN NOI CHE LA DONNA, MENTRE IL MIO PIÙ VIVO DESIDERIO È QUELLO DI ANDARE A DIVIDERE LA VITA DEI NOSTRI SOLDATI VERI, I LORO DISAGI E, SE OCCORRE, MORIRE CON LORO».OGNI OCCASIONE ERA BUONA PER FAR SENTIRE LA PROPRIA VOCE. COSÌ OGGI ERA UN ATTACCO AL VATICANO PER LA MESSA DI NATALE DI PIO XII AGLI AVIATORI DELLA R.A.F. CHE OGNI GIORNO MASSACRAVANO LE NOSTRE POPOLAZIONI, DOMANI UNO SBERLEFFO A CERTI FASCISTI ZELANTI CHE, ALLO ZOO DI MILANO, AVEVANO SOSTITUITO LA TARGHETTA “AQUILA REALE CON QUELLA “AQUILA REPUBBLICANA”.ERA UN GIORNALE VIVO, E MUSSOLINI VOLEVA SEMPRE LA PRIMA COPIA SUO TAVOLO.«MUSSOLINI, ALLA NOTIZIA DI QUALCHE AUSILIARIA UCCISA IN IMBOSCATE, PERDEVA LA CALMA E, QUANDO QUALCUNA VENIVA CATTURATA, NON STAVA TRANQUILLO FINCHÉ NON SE NE OTTENEVA LA LIBERAZIONE IN CAMBIO DI OSTAGGI. I PARTIGIANI LO SAPEVANO E AVEVANO INTENSIFICATO LA “CACCIA ALL’AUSILIARIA”: LA VITA DI UNA DI ESSE IN CAMBIO DELLA LIBERTÀ PERSINO PER QUINDICI DEI LORO. DURANTE I MIEI, FREQUENTI INCONTRI COL DUCE, SI PARLAVA QUASI ESCLUSIVAMENTE DI QUESTI DRAMMATICI EVENTI».«PURTROPPO NON SEMPRE SI RIUSCÌ A SALVARE LE AUSILIARIE CATTURATE. FRANCA BARBIER, 20 ANNI, CADUTA NELLE MANI DELLA BANDA PARTIGIANA DI «MÉZARD», IN VAL D’AOSTA, FU TRADITA DA UNO DEI SUOI CATTURATORI CHE, FINGENDOSI PENTITO, SI DISSE PRONTO AD AIUTARLA A FUGGIRE. PURTROPPO, SUBITO RIACCIUFFATA, ALLA RAGAZZA FURONO TROVATI INDOSSO DEI FOGLIETTI CON LA DISLOCAZIONE DELLE BANDE E I NOMI DEI CAPI. CONDANNATA A MORTE COME SPIA,FU MESSA AL MURO, MA IL PLOTONE D’ESECUZIONE RIFIUTÒ DI FAR FUOCO. DOVETTE UCCIDERLA IL COMANDANTE, CON UN COLPO DI PISTOLA ALLA TEMPIA. DI FRANCA BARBIER RIMANE LA SUA ULTIMA, TOCCANTISSIMA LETTERA, SCRITTA ALLA MAMMA POCO PRIMA DI ESSERE UCCISA. QUANDO CONOBBE LA TRAGEDIA DI FRANCA, MUSSOLINI DISPOSE CHE LE VENISSE CONCESSA LA MEDAGLIA D’ORO AL VALOR MILITARE.DALLE DIVISIONI SCHIERATE AL FRONTE FINO AI POSTI DI RISTORO, L’AUSILIARIA ERA DOVUNQUE. «LA PRESENZA DEL SAF, NARRA PIERA GATTESCHI NEL SUO MEMORIALE, «ERA COSTANTE E ORMAI EVIDENTE PER TUTTI, E, IN POCHI MESI, IL PRESTIGIO DEL CORPO ERA DIVENTATO TALE CHE PERSINO LE DONNE ITALIANE IMPIEGATE IN GERMANIA, INQUADRATE NELL’ARBEITSFRONT, CHIESERO, ATTRAVERSO IL MINISTERO DEGLI ESTERI, DI POTER RIENTRARE IN ITALIA E ARRUOLARSI NEL SAF. NATURALMENTE, ERO FELICISSIMA DI ESAUDIRE IL LORO DESIDERIO E DISPOSI CHE, A SCAGLIONI DI 50 PER VOLTA, FOSSERO SOTTOPOSTE ALLE SELEZIONI. PER OTTENERE L’AUTORIZZAZIONE DAI TEDESCHI, DOVETTI SOSTENERE, CON QUESTI ULTIMI, L’IMPELLENTE ESIGENZA DI RAFFORZARE IL SAF CON L’APPORTO DI QUELLE RAGAZZE. ALL’ULTIMO, I TEDESCHI STESSI MI CHIESERO DI INQUADRARE NEL SAF LE CIRCA 600 IMPIEGATE CIVILI PRESSO GLI UFFICI ITALIANI DELLA LUFTWAFFE. LA RICHIESTA MI GIUNSE L’11 APRILE 1945 DAL COLONNELLO HEGGENREINER, AIUTANTE TEDESCO DI GRAZIANI: TROPPO TARDI ». 

«FIN DAL FEBBRAIO, VISTO L’ AGGRAVARSI DELLA SITUAZIONE AVEVO INVIATO A TUTTI I COMANDI PROVINCIALI DEL SAF UNA CIRCOLARE CON LA QUALE INVITAVO I COMANDI A LASCIARE LE AUSILIARIE LIBERE DI RESTARE FINO ALLA FINE O DI TORNARE A CASA. POCHE AVEVANO SCELTO DI LASCIARE IL SERVIZIO. VERSO METÀ APRILE, RIENTRATA A COMO DOPO UN GIRO DISASTROSO PER IL NORD ITALIA, RIUNII LE ALLIEVE DEL CORSO ” 18 APRILE” E RIPETEI L’INVITO. “CHI NON SE LA SENTE”, DISSI, “È ESENTATA DAL GIURAMENTO. LA SITUAZIONE È GRAVE, IL FRONTE HA CEDUTO E LA RSI PUÒ FINIRE DA UN MOMENTO ALL’ALTRO”. RIMASERO TUTTE. ERANO PRONTE PER LA CERIMONIA DEL GIURAMENTO, FISSATA PER LA MATTINA DEL 18 APRILE».QUELLA MATTINA, GIUNSE A COMO ALESSANDRO PAVOLINI. DOPO LA COMMOVENTE CERIMONIA, SI AVVICINÒ A PIERA GATTESCHI E LE DISSE, SOTTOVOCE: «BRUCIA TUTTO. METTI IN SALVO LE RAGAZZE. QUANTO A TE, TI DARÒ UNA PAROLA D’ORDINE».«CERCAI DI MASCHERARE ALLA MEGLIO IL SENSO DI ANGOSCIA CHE MI ATTANAGLIAVA», SCRIVE PIERA GATTESCHI NEL SUO MEMORIALE, «MENTRE GIÙ, NEL CORTILE DEL CONVENTO-CASERMA, LE RAGAZZE SI ABBANDONAVANO AL LORO ENTUSIASMO. PRIMA DI PARTIRE PER UN’ISPEZIONE IN VALTELLINA, PAVOLINI DETTÒ IL COMUNICATO STAMPA DA INOLTRARE AI GIORNALI, MA POCO DOPO TELEFONÒ, MENTRE ERA IN VIAGGIO, PER ORDINARMI DI BLOCCARLO: “MEGLIO LASCIAR PERDERE”, MI DISSE: “MEGLIO NON RICHIAMARE L’ATTENZIONE SUL SAF”.I GIORNI CHE SEGUIRONO, MI VIDERO IMPEGNATA AD ATTUARE GLI ORDINI DI PAVOLINI: METTERE IN SALVO LE AUSILIARIE. MISI IN ALLERTA LE COMANDANTI PROVINCIALI E, QUANTO ALLE ALLIEVE DEL CORSO “18 APRILE”, MI RIUSCÌ DI SISTEMARLE IN VARI OSPEDALI MILITARI, COME INFERMIERE, GRAZIE AD ACCORDI CON LE DELEGAZIONI PROVINCIALI DELLA CRI. L’OSPEDALE DEI MU¬TILATI DI LECCO E L’OSPEDALE MILITARE DI VARESE SI DICHIARARONO DISPOSTI AD ASSORBIRNE UN FOLTO GRUPPO. QUELLE CHE FOSSERO IN CONDIZIONI DI SFUGGIRE ALLE RAPPRESAGLIE E ALLE VENDETTE (PERCHÉ NESSUNO, NEI LORO PAESI DI PROVENIENZA, O TRA I VICINI DI CASA, AVEVA SAPUTO DELLA LORO SCELTA), SAREBBERO TORNATE PRESSO LE RISPETTIVE FAMIGLIE. QUANTO A ME, IL PREFETTO RENATO CELIO, CAUTAMENTE, MI ACCENNÒ ALL’IPOTESI DI UNA MIA SALVEZZA PERSONALE. “COME COMANDANTE GENERALE DELLE AUSILIARIE, SIETE ESPOSTA QUANTO PAVOLINI”. ‘NEANCHE PARLARNE”, TAGLIAI CORTO. E GLI ANNUNCIAI LA MIA INTENZIONE DI RECARMI, L’INDO¬MANI MATTINA, A MILANO. ERA IL 24 APRILE 1945».DA QUESTO PUNTO IN AVANTI, IL MEMORIALE DI PIERA GATTESCHI NARRA MINUZIOSAMENTE, ORA PER ORA, GLI AVVENIMENTI CHE PRENDONO IL VIA IL 25 APRILE, CON L’INSURREZIONE DI MILANO E LA FUGA DI MUSSOLINI A COMO, E SI CONCLUDONO IN UNA PICCOLA STANZA DI COMO, DOVE ELLA SI RIFUGIA ASSIEME ALLA VICE-COMANDANTE DEL SAF E ALTRE DUE DONNE, MENTRE, SULLA STRADA DI DONGO, SI COMPIE IL DESTINO DI MUSSOLINI E DEI MINISTRI FASCISTI. LE QUATTRO DONNE VIVONO GIORNATE E NOTTATE DI ESTREMA ANGOSCIA E, SINGOLARMENTE E QUASI MIRACOLOSAMENTE, RICEVONO LA PROTEZIONE DI UN VECCHIO PROFESSORE COMUNISTA, IL QUALE «NON SI ASPETTAVA UNA SIMILE CARNEFICINA». RAGGIUNTA AVVENTUROSAMENTE MILANO, PIERA GATTESCHI, IN PIENA CLANDESTINITÀ SI OCCUPA DI AIUTARE QUANTE PIÚ AUSILIARIE LE È POSSIBILE ATTRAVERSO I SACERDOTI DELL’ISTITUTO DON GUANELLA (CHE DURANTE LA RSI, AVEVANO MESSO IN SALVO CENTINAIA DI EBREI) E L’ASSISTENZA PONTIFICIA. PURTROPPO, NON SEMPRE SI ARRIVA IN TEMPO. NE FA FEDE L’ALTISSIMO NUMERO DI AUSILIARIE ASSASSINATE DOPO IL 25 APRILE, QUINDI DOPO ESSERSI ARRESE (BEN 88, VOLENDO LIMITARCI ALLE SOLE APPARTENENTI AL SAF, SENZA TENER CONTO, CIOÈ, DELLE AUSILIARIE AUTONOME DELLA DECIMA MAS DEL PRINCIPE JUNIO VALERIO BORGHESE), CHE VANNO AD AGGIUNGERSI ALLE 27 AUSILIARIE CADUTE E ALLE 8 DISPERSE DURANTE LA GUERRA CIVILE.IN ALCUNI CASI LA SORTE TOCCATA A QUESTE RAGAZZE È SPAVENTOSA. ECCO IL RACCONTO D’UN EPISODIO DI MORTE, TRATTA DAL MEMORIALE DI PIERA GATTESCHI: «LE OTTO AUSILIARIE DEL COMANDO PROVINCIALE DI PIACENZA, LA MATTINA DEL 26 APRILE, MENTRE VIAGGIAVANO SU UN AUTOCARRO ALLA VOLTA DI COMO, INCAPPARONO IN UN POSTO DI BLOCCO DI PARTIGIANI COMUNISTI A CASALPUSTERLENGO. CON LORO VIAGGIAVANO SEI SOLDATI DI SANITÀ, TUTTI DISARMATI.PORTATO ALLA TORRE, IL GRUPPO VI TRASCORSE L’INTERA GIORNATA E LA NOTTE, TRA LE URLA E GLI INSULTI DELLA DELLA FOLLA CHE CHIEDEVA GIUSTIZIA SOMMARIA. LA MATTINA DOPO FURONO FATTI SALIRE SU UNA CORRIERA, TRASPORTATI DAVANTI ALL’OSPEDALE E QUI SCHIERATI IN FILA DAVANTI AL MURO, MENTRE UN PLOTONE IMPROVVISATO SI ALLINEAVA DI FRONTE A LORO. FU A QUEL PUNTO CHE UNA DELLE AUSILIARIE, ADELE BUZZONI, SI MISE A URLARE SCONGIURANDO I “GIUSTIZIERI” DI SALVARE SUA SORELLA MARIA, CHE ERA NEL GRUPPO, PERCHÉ POTESSE AVER CURA DELLA LORO MADRE, CIECA E SOLA. MARIA BUZZONI FU AFFERRATA DA UN PARTIGIANO E SPINTA DA PARTE. SUBITO DOPO, IL PLOTONE APRÌ IL FUOCO. VEDENDO LA SORELLA CADERE ASSIEME AGLI ALTRI, MARIA GRIDÒ PER LA DISPERAZIONE CON QUANTO FIATO AVEVA IN GOLA. PER FARLA TACERE, UN PARTIGIANO LE SCARICÒ IL MITRA ADDOSSO, FREDDANDO ANCHE LEI. INTANTO UNA SCENA IRREALE, ALLUCINANTE, SI STAVA VERIFICANDO..; AUSILIARIA ANITA ROMANO, CHE ERA RIMASTA SOLTANTO FERITA, SI ALZÒ DAL MUCCHIO SANGUINANTE DEI FUCILATI, AVANZANDO VERSO I SUOI ASSASSINI. TRA LE AUSILIARIE C’ERANO ALTRE DUE SORELLE, IDA E BIANCA POGGIOLI. ANCH’ESSE ERANO RIMASTE SOLTANTO FERITE, E BIANCA POGGIOLI GRIDAVA: “UCCIDETEMI! UCCIDETEMI!”. MENTRE I PARTIGIANI SI PREPARAVANO A FINIRLE TUTTE, SI PRECIPITÒ DAVANTI A LORO PADRE PAOLO, DEL VICINO CONVENTO DEI CAPPUCCINI. “NO”, DISSE, “NON. LO FATE! STANNO MORENDO. ANDATE VIA. LE ASSISTERÒ IO FINO ALLA MORTE”. LIVIDI, SUDATI, I “GIUSTIZIERI” SI ALLONTANARONO. MA POCO DOPO TORNARONO SUI PROPRI PASSI, PENTITI DI AVER DATO RETTA AL FRATE. QUEI POCHI ISTANTI ERANO BASTATI A PADRE PAOLO PER TRASCINARE LE TRE SVENTURATE ALL’INTERNO DELL’OSPEDALE, E NASCONDERLE, CON L’AIUTO DELLE SUORE, IN UNO SCANTINATO. I COMUNISTI DIEDERO LORO LA CACCIA PER TUTTO IL GIORNO, POI SI STANCARONO. LE RAGAZZE POTERONO COSÌ ESSERE CURATE E SALVATE». A EPISODI DRAMMATICI COME QUESTO È DEDICATO UN INTERO CAPITOLO DEL MEMORIALE DI PIERA GATTESCHI (DALLE DUE AUSILIARIE TORTURATE CON GLI SPILLONI, VIOLENTATE E UCCISE SULL’ISOLA, BORROMEO, FINO AL MASSACRO DELLE AUSILIARIE AVVENUTO A NICHELINO, TORINO), CHE DICE : «TRADIREI I SENTIMENTI PIÙ SACRI DELLE AUSILIARIE CADUTE SE MI LASCIASSI TRAVOLGERE DAL RANCORE E DALLE RECRIMINAZIONI. ESSE, COME DIMOSTRANO LE LORO ULTIME LETTERE, FURONO LE PRIME A PERDONARE». PURTROPPO, LE LORO NOBILI PAROLE NON SONO STATE RACCOLTE. ANCHE PERCHÉ, PER 50 ANNI, IL SILENZIO PIÙ ERMETICO È CADUTO SU QUESTE SEIMILA PROTAGONISTE DELLA NOSTRA STORIA. UN SILENZIO CHE TERMINA SOLTANTO ADESSO. 

STAMPA SERA 22 APRILE 1945



Le soldatesse di Mussolini
con il memoriale inedito di Piera Gatteschi Fondelli, generale delle Ausiliarie della RSI
Luciano Garibaldi

Pagine: 144
Codice: 21518
EAN: 9788842522423
Collana: Testimonianze fra cronaca e storia – 1939-1945: Seconda guerra mondiale


 

 

I più famosi giornalisti e storici degli ultimi cinquant’anni che hanno dedicato le loro fatiche ai drammatici diciotto mesi della Repubblica Sociale Italiana (settembre 1943 – aprile 1945), se si escludono quelli di parte fascista, hanno stranamente omesso di parlare delle Ausiliarie. Esse, in numero di circa seimila, furono vere e proprie soldatesse volontarie inquadrate nell’esercito della RSI, con tanto di divise, mostrine e gradi.
Non uccisero mai, anche perché avevano il divieto di portare le armi. In compenso furono uccise, sia durante sia dopo la fine della guerra civile. Non di rado in maniera crudele.

Questo libro colma dunque una lacuna. E lo fa nella maniera più classica: dando la parola alla comandante del SAF (Servizio Ausiliario Femminile), generale di brigata Piera Gatteschi Fondelli (1902-1985), l’unico generale donna della storia d’Italia. Partecipò alla Marcia su Roma alla testa di venti ragazze squadriste.
Più tardi divenne ispettrice nazionale del PNF, la massima carica femminile del partito fascista.
Il 18 aprile 1944 Mussolini la chiamò a comandare il SAF, presso il quale affluirono a migliaia le volontarie.

Salvatasi avventurosamente nel crollo del fascismo a Como, rimasta vedova, visse una vita tranquilla e ritirata a Roma.
Tra il 1984 e il 985 dettò le sue memorie al giornalista e storico Luciano Garibaldi.