CONSULTA LINK
https://eleuthera.it/files/materiali/bakunin_pezzica_cronologia.pdf
Quando il rivoluzionario russo incontrò l’“eroe dei due mondi”. | ||||||
Cheta è la notte e un placido G. Salvi, Una notte a Caprera, 1891.
Il cielo stellato e il mare calmo promettevano un viaggio tranquillo e senza pericoli. A bordo della nave passeggeri con destinazione Sardegna nessuno conosceva quell’uomo alto e grosso, che con la giovane moglie era diretto all’isola della Maddalena. Forse solo il comandante del traghetto aveva intuito la vera destinazione di quello straniero dalla folta barba nera e dall’abbigliamento alquanto trasandato. Da quando, quattro anni prima, erano partiti in mille da Quarto e in pochi mesi avevano fatto l’Italia, dal porto di Genova erano passati un po’ tutti: re, ministri, rivoluzionari, poeti e avventurieri d’ogni genere. Irriducibile rivoluzionario L’uomo con la barba era, infatti, il pericoloso e irriducibile rivoluzionario Michail Bakunin, da poco tempo evaso dal domicilio coatto di Irkutsk, un gelido e povero paese siberiano di circa 25.000 abitanti. La polizia zarista, dopo averlo inseguito per anni e averlo condannato a morte per ben due volte, era riuscita ad arrestarlo e ad imprigionarlo quale irriducibile terrorista, capace di sollevare le masse popolari con il suo entusiasmo e la sua forbita eloquenza.
Il socialista Filippo Turati, che ebbe modo di incontrarlo diverse volte e in seguito di polemizzare anche aspramente con lui, ha tracciato un ritratto dell’uomo non tanto diverso da quello precedente:
Fuggito dal domicilio coatto grazie alla complicità di alcuni amici locali, dopo un lungo e rocambolesco viaggio che lo aveva portato dal Giappone all’America del Nord, Bakunin era finalmente giunto a Londra il 27 dicembre 1861. La notizia della sua fuga dalla lontana Siberia e l’arrivo in Europa si diffuse rapidamente anche in Italia, grazie soprattutto alle notizie riportate dal giornale milanese “L’unità Italiana”.
Il generale Garibaldov La permanenza in territorio inglese si era rivelata quanto mai produttiva e culturalmente stimolante. A Londra era stato aiutato e ospitato da alcuni amici della numerosa comunità russa in esilio. Furono loro a trovargli una decorosa sistemazione alla periferia della città e a fornirgli il sostentamento economico necessario per continuare l’attività politica. Fra i tanti incontri da lui avuti con intellettuali, filosofi e politici, non c’è dubbio che quello con Giuseppe Mazzini e Aurelio Saffi rivestì una particolare importanza.
Per realizzare quel desiderio, che rappresentava anche una sua pressante necessità politica, in precedenza aveva inviato diverse lettere al Generale, che allora si trovava nella sua amata isola di Caprera.
Dai compagni genovesi apprese della critica e complessa situazione economico-politica italiana, ricavandone la convinzione che il popolo, specie quello di Roma, non aspettasse altro che un segnale per riprendere la strada della libertà. Finalmente a Caprera Dopo essere sbarcato alla Maddalena, raggiunse finalmente Caprera, grazie a una piccola imbarcazione presa a noleggio da un pescatore locale. Ad attenderlo sulla banchina, se così possiamo chiamare quella del piccolo attracco all’isola, c’era il Generale in persona con la classica camicia rossa. Lo accompagnava il suo inseparabile segretario particolare Giovanni Basso. Un caloroso e commosso abbraccio segnò il loro primo incontro quella mattina del 20 gennaio 1864.
Anche l’arredamento, coerentemente con il carattere del Generale, era spartano. La stanza da letto di Garibaldi serviva anche da studio. C’era un letto di ferro, uno scrittoio, due librerie, un cantaràno e un camino costantemente acceso per ridurre l’umidità. Alle pareti erano appesi i suoi ricordi più cari: una treccia dei capelli di Anita, il ritratto della piccola Rosita, morta a Montevideo e altre fotografie di amici.
Generale e agricoltore Uomo umilissimo e poliedrico, Garibaldi si era immediatamente trasformato da marinaio a muratore, da generale ad agricoltore, dimostrando sempre grande entusiasmo e disponibilità per ogni tipo di lavoro. Quest’ultima sua esperienza, quella d’agricoltore, trovò compimento negli appunti e nelle annotazioni dei suoi Quaderni agricoli, che ancora oggi rappresentano una fonte importante per conoscere meglio l’uomo Garibaldi, quello lontano dai campi di battaglia. Per i polacchi, contro i russi Bakunin oltre alla curiosità di conoscere l’eroe, che aveva infiammato i cuori anche dei suoi connazionali, sentiva di avere una missione politica da compiere. Aveva bisogno di lui e doveva convincerlo a prendere posizione a favore dei polacchi nella loro lotta contro i russi, magari organizzando una spedizione di volontari.
I due parlarono a lungo di politica, si scambiarono opinioni e speranze circa le sorti dell’Europa e del popolo italiano oppresso dalla miseria e dall’ignoranza. Per tre giorni i due amici immaginarono sollevazioni delle popolazioni in tutta Europa, ponendo, nello stesso tempo, le basi per imminenti azioni rivoluzionarie volte a liberare Roma dal potere temporale del papa e farne la capitale d’Italia.
Quel che divideva i due rivoluzionari non era dunque il carattere quanto le letture e gli studi filosofici, che certo Garibaldi non poteva vantare come il suo interlocutore. La svolta decisiva Il 1864 segnò una svolta decisiva nel pensiero politico di Bakunin. A partire da quell’anno, infatti, il rivoluzionario russo si dedicò completamente alla causa del socialismo rivoluzionario.
Un ricordo emozionante La sera del giorno 23 gennaio 1864 Bakunin e sua moglie Antonia presero congedo da Garibaldi, per iniziare un altro lungo viaggio nel resto dell’Italia, che, oggi sappiamo, avrebbe cambiato profondamente il corso della storia e degli uomini. Il viaggio a Caprera, pur non avendo prodotto nulla di politicamente importante, almeno dal punto di vista pratico e immediato, non deluse il rivoluzionario russo, che conservò a lungo il ricordo di quel loro primo incontro come uno dei più emozionanti della sua vita. L’abbraccio Ciò che accadde al congresso stupì tutti. Bakunin, ormai ai ferri corti con quelli dell’Internazionale (marxista), entrò nell’aula fra l’imbarazzo generale. A quel punto Garibaldi, che era il presidente dell’assemblea, non esitò a scendere dal palco per abbracciarlo fra gli applausi generali. Bakunin poté così svolgere tranquillamente il suo intervento e, nonostante le premesse, riscuotere non pochi apprezzamenti.
Intanto, mentre Bakunin, nel marzo 1864, si trovava a Firenze ed era intento ad organizzare le prime associazioni di libertari, Garibaldi iniziava un trionfale viaggio a Londra in cerca di nuovi fondi per le sue future imprese. diFabrizio Montanari
Nello Rosselli, Mazzini e Bakunin, Einaudi, 1973;
|
ITALIANI! Gli eventi precipitano, la bancarotta dello Stato si avvicina da un lato e dall’altro la rivoluzione procede inesorabile.” No, non è Beppe Grillo. Sembrerebbe impossibile leggere l’Italia di oggi attraverso cose scritte centocinquant’anni fa da un anarchico russo che ha vissuto nel nostro paese solo per pochi anni. Eppure negli scritti italiani di Michail Bakunin, raccolta davvero freschissima e sorprendente curata da Lorenzo Pezzica e pubblicata da Elèuthera con il titolo Viaggio in Italia (144 pagine, 12 euro), si trova molto di quello che ancora oggi costituisce l’assetto politico e culturale di questo benedetto paese.
L’anarchico russo, prima amico e poi nemico giurato di Marx e fondatore dell’anarchismo moderno si era trasferito nel nostro paese nel 1864, poco dopo l’unificazione a opera di Garibaldi e Cavour e dopo aver viaggiato, in manette, da fuggitivo o per inseguire le rivoluzioni d’Europa, dalla Russia alla Francia, dalla Germania alla Siberia, dal Giappone agli Stati Uniti. Bakunin visse a Napoli, Firenze e Ischia prima di ricominciare le sue peregrinazioni per l’Europa e infine morire nel 1876 in Svizzera. Aveva 62 anni. Il periodo italiano è fecondo politicamente, e nel libro sono raccolti saggi brevi e lettere private, oltre che una biografia di Bakunin che rende giustizia alla sua incredibile dimensione internazionale. La forma degli scritti e i temi affrontati, è spontaneo, fanno pensare a Gramsci, alle sue lettere e ai suoi quaderni in cui tutto, dalla dimensione più personale all’analisi della politica italiana era sempre legato strettamente a una capacità di descrivere in profondità le culture del nostro paese.
“ITALIANI! La consorteria è una classe ai cui figli vanno tutti i più importanti e lucrosi incarichi negli apparati dello Stato; anzi, è la casta statale per eccellenza. Non riconosce altra patria al di fuori della speculazione mondiale e ciascuno dei suoi membri sfrutterebbe e deprederebbe altrettanto volentieri qualsiasi paese come la sua cara Italia.” Bakunin descrive una società italiana divisa in caste impermeabili al cambiamento e restie a mollare il potere. Il meridione è frustrato da uno stato che lungi dall’impegnarsi a risollevarne le sorti aumenta i suoi problemi. Annota il modo in cui il potere viene amministrato, la forza preponderante di chi gode della rendita – che sia fondiaria o politica – e la divisione tra il popolo e gli strati più ricchi e privilegiati della società.
Ammettiamolo. Certo Marx esagerava quando ha definito Stato e anarchia, l’opera della maturità di Bakunin, “un’asineria da scolaro”. E poi aveva ragioni politiche per distanziarsi il più possibile dagli anarchici, che ancora insidiavano la sua egemonia sull’Internazionale. Ma il paragone con Gramsci non regge, se non nella forma e nelle tematiche che tratta: il ruolo della chiesa, la grande borghesia, i problemi del popolo. Però siamo su livelli molto diversi. In fondo Bakunin era un politico, un agitatore, un corpo e una mente in balìa del susseguirsi delle rivoluzioni che attraversavano il continente. Le parti migliori di questo libro sono quelle in cui racconta gli incontri con Mazzini e con Garibaldi, in cui emerge la rabbia con cui perseguiva lo scopo della giustizia sociale. Gramsci arriverà più di mezzo secolo dopo. Di Mazzini e di Garibaldi non ne esistevano più. A pensarci bene non è che oggi se ne vedano molti in giro. Forse questo libro va letto per capire l’Italia appena unificata. Quella di oggi è troppo deprimente.
Nel gennaio1864Bakunin viene in Italia. Mazzini e Saffi241 – che ha conosciuti in Inghilterra e che lo sanno un ferventedemocratico – gli hanno procuratobiglietti di presentazione per gli uominipiúinfluenti della Sinistra242.
A GenovaincontraAgostinoBertani, che piútardigiudicherà una delle teste migliori del partito d’azione243e che ora gli facilita una gita a Caprera per conoscereGaribaldi244.
Giungeinfine a Firenze e vi si trattienefino all’agosto. Di questo primosoggiorno in ItaliaBakuninapprofitta per maturaredefinitivamente il suo programmasociale: fino allora ha dedicatogranparte della sua attività alla battaglia per la libertà in Russia e per il dirittonazionale in Polonia; adesso si trova in un paese che, risolto il problema delle libertàcostituzionali e della indipendenzanazionale, è ben lungi dall’avere raggiunto un definitivoassestamento; un paese in cui la rivoluzionepolitica non è stata affatto seguita da un progressoimmediato, visibile, della maggioranza della popolazione. L’osservazione di questo fattoesercita una decisivainfluenza sul suo spirito.
A Firenze egli annoda numeroserelazioni, specie nell’ambientedemocraticomassonico; conosceAlbertoMario, LodovicoFrapolli, LuigiCastellazzo, BeppeDolfi, GiuseppeMazzoni, EttoreSocci, AndreaGiannelli, Berti Calura, De Gubernatis; rivedeLudmillaAssing. Frequenta quel circolo di scienziati positivisti, che si raggruppa attorno ad UgoSchiff e ad AlessandroHerzen (figlio del rivoluzionariorusso suo intimoamico) e che allora, in Firenze, è molto in vista245.
Vuol farsi un’idea del valore dei partitipoliticiitaliani, soprattutto di quello di sinistra, che è il piú vicino alle sue idee. «Presso noi – scrisseAndreaGiannelli – Bakunin fece tesoro della sua amicizia con G.Mazzinialtamentelodandone le qualitàpolitiche tanto ch’egli riuscí ad attirare le nostre simpatie»246.
La sua prima impressione della lottapolitica in Italia non è buona. «Come vedete – scrive il 4 marzo1864agli amiciHerzen e Ogarëv – qui e in tutta l’Europa vi è un terribileimbroglio; nessuna questione viene postanettamente e chiaramente. Ma l’elettricità si vaaccumulando nell’aria e l’atmosfera ne diventa sempre piúsatura. L’uragano è imminente. Può darsi che l’esplosione avvenga piútardi, ma mi sembra che il riflusso sia finito e che stia per cominciare l’altamarea»247.
Lo urtano le tergiversazioni della Sinistra, il suo rivoluzionarismotemperato e conciliante, le mille tendenzeparticolari nelle quali si divide e che la rendonopraticamente poco efficace. Però sintomirivoluzionari nel paese ci sono, o cosí gli sembra, e tanto basta: bisogneràcoltivarli e prima o poi si tradurranno in fatti.
Non sappiamo con certezza se Bakuninfosse o no ascritto alla massoneria; tra questa e le associazionipiú o meno segrete che egli creò allora e in seguito vi sono certo molti punti di contatto. Inoltre, si deve a lui un progettodi riforma della massoneria, che parrebbe provare la sua affiliazione248. Come Mazzini, egli spera di convertire al suo programma la potenteassociazione, la quale, secondo lui, non ad altro devetendere che alla emancipazionecompleta dell’uomo, alla costituzione di un’umanitàlibera sulle rovine d’ogni autorità249.
Il 23 maggio1866invita gli amiciHerzen e Ogarëv a lasciare «l’ideaassurda ch’io sia iscritto alla frammassoneria. Forse la frammassoneriapotrebbe ancora servirmi da maschera o da passaporto, ma il cercarviun’occupazioneseria sarebbe, per lo meno, puerile quanto il cercarconsolazione nel vino»250. Smentita cui si oppongono le testimonianzefiorentine, abbastanzaesplicite. Il De Gubernatisafferma che egli «avea pur dovutopassarvi (nella massoneria) perché gli forniva il modo di preparare altro»251; e il Giannelli, che «aveva fiducianella massoneria in genere, era esso stesso massone, ma s’ingannava, ritenendo che cotesta istituzione, guidataallora dal Frapolli in Italia, potesse neppure minimamentegiovare, accettare od appoggiare le sue ideenichiliste»252. Era, dunque, assai probabilmentemassone; forse, come autorevolmente suppone il Nettlau253, lodivenne a Firenze, con la speranza di acquistare in tal modolargheaderenze nell’ambientedemocratico e specialmente nella frazionemazziniana, allora in strettissimi rapporti con la massoneria254. Quello stato d’animoche Mazzini, col suo apostolato di trent’anni, aveva creato in molti giovani delle classimedie e in qualche operaiointelligente, era quello stesso sul quale poteva contareBakunin per la divulgazione della sua dottrinasociale in formazione.
Celebre per la fuga dalla Siberia, ammirato come irriducibile ribelle e veterano delle battaglie per la libertàdi tutti i popoli, Bakunin si mette dunque in contatto con gli elementipiúintelligenti e spregiudicati dell’estremaSinistra. Con i quali, massoni o non massoni, egli aveva già molti principî e molte idealitàcomuni; e intanto,fondamentali, la sensazione che il paese non avesse davveroraggiunto un assettodefinitivo; l’aspirazione in essi piuttostovaga, ma generalmentecondivisa, a una riformaprossima o lontana, totale o parziale, ma pur sempre a una riforma sulle basipolitiche e sociali dello Statoitaliano. Inoltre la convinzione che, nel rapidorivolgimentoche aveva portato alla formazione dello Statounitario e posto le fondamenta della prosperità della borghesia, troppo poco posto si erafatto ai desideri e al soddisfacimento dei bisogni, anche se inavvertiti o inespressi, delle classipovere; e perciò la volontà, piú o meno costante e spontanea, di andareincontro a quelle classi e di curarnel’elevazionemorale e materiale e di inserirle – per la prima volta nella storia – come forzecoscienti nella vita della nazione. Terzo e non ultimopunto di contatto fra loro la visione dell’avvenireeuropeo, che, pur prospettato sotto forme tutt’altro che identiche, si accordava nella comuneaspirazione a vederrispettate e promosse le libertànazionali dei singolipopoli. Alcuni fra quei democratici – citeròBertani, Mario e Macchi, che ebbero tutti, in quegli anni, relazioni con Bakunin – eran poi convintifautori del federalismo, come di quel principio che, intelligentemente applicato, avrebbe potuto rigenerar l’Italia e guarirne tanti malidovuti alla scarsaomogeneità dei suoi abitanti e alla affrettata unificazione; e ciò valeva a creare fra essi e Bakunin un terreno di facileintesa.
Ma tra il russo e una buonaparte dei democraticimilitanti italiani v’era ancora un altro elemento di accordodestinato, date le circostanze, ad avere la piúgrandeimportanza: la concezionereligiosa. Dal ’48 in poi la lotta per l’unità e l’indipendenzaitaliana si eraidentificata, almeno in parte, con una vivacissimacampagna contro il poteretemporale dei papi, che per il fatto stesso della sua esistenza e per la sua funzionepolitica, costituiva uno degli ostacolipiúgravi al raggiungimento degli obiettivinazionali; ma non soltanto contro il poteretemporale, bensícontro il cattolicismoufficiale che consacrava, insieme a quello, la legittimità degli Stati e di tutto un assettopolitico il cui abbattimento eracondizioneindispensabile alla unità.
Il nostro Risorgimento, insomma, se non nelle premesse, certo nei mezziusati ad attuarlo e negli immediatiresultati, fu pienamente avverso alle esigenze del cattolicismo e noi lo vediamooggiimpostato – o cosí ci sembra – come uno sforzo di liberazione dal conservatorismo antiunitario della Chiesa.
Gli uomini che avevano abbracciato il programma di Mazzini o di Cattaneo o comunque contribuito allaformazione dell’Italia eran perciò, in notevolemaggioranza, dei ribelli anche nel camporeligioso; e, o si limitavanoa voler la distruzione del poteretemporale, pronti, poi che si fosseottenuto questo intento, a far atto di ossequioall’autoritàspirituale del pontefice; o rilevavano la insufficienza della religioneufficiale, sognandone una nuova, piúadatta alle necessità dello spiritomoderno, che integrasse l’insegnamentocristiano; o, sordi ad ogni concezionespiritualistica della vita, si disinteressavano del problemareligioso, limitandosi a ribadireripetutamente il loro anticlericalismo; o, infine, a riflesso di un nuovomovimentofilosofico e scientifico che si andavaaffermandosempre piúvigorosamente fuori d’Italia, si accostavano a quella concezionepositivistica che sembravacorrispondere, nel campospeculativo, alla tendenzaemancipatrice, allora trionfante in quello politico.
Questi uominiformatisi nelle battaglie del periodo1848-59 erano poi gli stessi che riempivano la scenapolitica del decenniosuccessivo; sí che può dirsi che le primefondamenta del nuovoedificionazionalecostruitosui detriti dei vecchiregimi vennero gettate da una generazionecomposta in buonaparte di elementi che con la religioneufficiale avevano tutti qualche conto da saldare, e molti addirittura con qualunque disciplina e concezionereligiosa.
La religiosità del Mazzini non solo non riusciva ad attirare questi transfughi del cattolicismo, ma neanche a permeare di sé la maggioranza dei mazziniani; molti dei quali seguitavano a professarsi tali, pur discordando dal maestro nel puntocentrale, anzi in quel che era il verodeus-ex-machina di tutto il suo sistema. Il positivismoinvece presesaldaradice in Italia proprio negli anniimmediatamentesuccessivi al ’60, coincidendo con un intensorisveglio di attivitàscientifica.
Accanto a Cattaneo – discepolo di Romagnosi – che in ogni campo della sua sconfinata attività aveva portato lo stesso metodo di indaginespassionata e realistica, lo stesso spiritolucido e concreto e che, col suo Invitoalli amatori della filosofia (1857) – esortazione ad abbandonare lo sterileastrattismo per dedicar l’ingegno allo studio e all’incremento delle scienze – aveva dato in certo senso la squilla al movimentopositivistico italiano; troviamo il Ferrari, solitario pensatore, teorico del fenomenismo, per tanti punti nei suoi studistorici e filosoficiprecursore del nuovoorientamentospirituale; il Macchi, formatosi alla scuola del Cattaneo, razionalistaconvintoed assoluto, fervidopropagandista delle sue idee; AlbertoMario, fedeleseguace del programmapolitico diCattaneo e liberopensatore; AusonioFranchi, transfuga del cattolicismo, teorico di un razionalismo integrale e fondatore del giornale «La Ragione» (1854-57) e poi PasqualeVillari, il Trezza, AristideGabelli e NicolaMarselli, nomiillustri o nella storia o nella filosofia, teorici del positivismo. E, dietro a loro, tutta una schiera di pensatori e di scrittori di secondagrandezza, attivissimi nella divulgazione dei risultati del nuovoindirizzoscientifico: come LuigiStefanoni, traduttore di Feuerbach, di Büchner, di Herzen, di Fontenelle, oltre che mediocre ma vivacecultore di studistorici e politici; Filippo De Boni, LevinoRobecchi, GuidoBazzoni, GiuseppeRicciardi, LuigiBertagnoni e moltissimi altri, ai quali si deve una fervidissima propaganda del liberopensiero, propaganda che si estrinsecava nella fioritura di numerosissimesocietà di liberipensatori255, promotrici di conferenze, riunioni,pubblicazionivarie e giornali. Fra questi ultimi, notevole «Il LiberoPensiero» (tramutatosi poi nel «LiberoPensatore») che si pubblicò prima a Parma, poi a Firenze e a Milano dal 1866 al 1875.
Nelle Università, intanto, nei gabinetti scientifici trionfava l’indirizzomaterialistico di quasi esclusivaimportazionestraniera. Basteràricordare il Moleschott, lo Schiff, lo Herzen, CesareLombroso, SalvatoreTommasi. Il clamoredestato dai loro studivaleva a dare a tutto il movimento del liberopensiero, che dei risultati di quegli studi si faceva divulgatore, generalizzatore ed esageratore entusiasta, un tono di vivacità e nello stesso tempo di serietà che gli conciliavano sempre piúlargasimpatia e adesioni.
Le file democratiche si eran lasciateprofondamentepermeare da questo nuovospirito tanto che si può direche, fra di esse, quelli che n’eran rimastiestraneiformavano una piuttostoesiguaminoranza. Lo seguivaperfino – e con quanto fervore – il caporiconosciuto del movimentodemocratico, GiuseppeGaribaldi; il quale, movendo da un anticlericalismoistintivo ed ostinatissimo, che non di rado lo portò a trascendere ogni limite negli attacchiquotidiani alla religioneufficiale dello Stato, eragiunto a un suo culto della ragione che, per esser teoricamentevago e indistinto, non per questo era meno saldo e ribadito e ostentato.
In questo ambiente di mazzinianiortodossi e di mazzinianidissidenti sul problemareligioso, di positivistimisurati e serii, di materialisti, di razionalisti e di liberipensatori tra i quali si potrebbe distinguere tutta una gamma di interpretazioni e di atteggiamentidiversi che andavano dalle logichededuzioni delle nuovecorrentiscientifiche a una giovanilesuperficiale ribellione contro la visionetradizionale dei sommiproblemi, si infiltrò il decisoateismo di MicheleBakunin.
Resosi conto delle tendenzeprevalenti nella Sinistrademocratica, il russo, insinuandovisi, lavoròsoprattutto su quei puntiintorno ai quali esistevan già evidentipossibilità di accordo: tentando cioè di sfatare le illusioni sulle possibilità di una lentariforma in sensodemocratico della costituzionepolitica e di sostituire alblando rivoluzionarismomazziniano la sua idea di rivoluzioneesclusivamentesociale, non italiana, ma europea, basata sull’immediatoraggiungimento di un generalelivellamento di classi; dimostrando la inanità del movimentooperaio quale eraandatofino allora svolgendosi e la necessità di pensare a una organizzazionegenerale di tutta la massalavoratrice; criticando il concetto di unità quasi forzata, autoritaria, perché d’ispirazionedivina, che eracentro della dottrinamazziniana, e dimostrando ai federalisti che il loro principioandavaapplicato non alla solaorganizzazionepolitica del paese, ma al disegno di una riformatotalitaria nella costituzione della societàumana; facendo leva sull’atteggiamentolibertarioassunto da moltissimi democratici di fronte al problemareligioso e sostenendoessereillogico e irrazionale non mantenerlo di fronte a ogni altro problemaspirituale o materiale, individuale o collettivo.
Con questa operapersonale di persuasione, Bakunin si riprometteva di formare una élite di uominiintelligenti e attivi che costituissero lo statomaggiore dei prossimimotisociali. Era un lavoropreparatorio lento e paziente, ben difficileoggi a documentare. Poiché non in altro consisteva che in conversazioni, riunionisegrete e poco numerose, nelle quali si preparavano vastiprogettidestinati a crollare al primocontatto con la realtà; non ne poteva restarericordo che negli scritti di Bakunin e in quelli dei suoi primiseguaciitaliani: ma Bakunin è statosingolarmenteparco di notizie su questo periodo della sua attività; gli altri, che allora subirono il suo fascinopersonale e si lasciaronoandare a entusiasmi presto sbolliti ed a promesse presto ritirate, ne parlarono, in seguito, il meno possibile. Ci restano, è vero, alcuni manifesti, programmi, progetti; ma bisogna dare a questi documenti unvalore molto relativo: dietro di essi non c’è che un’ombra di quel vastomovimento che vorrebbero rappresentare. La grafomania fu una tra le caratteristiche di Bakunin: e chi, dall’abbondanza di statuti e progettiarguisse una largafortunata propaganda, sarebbe quanto mai lontano dalla verità.
I fruttiimmediati dell’attivitàbakunistica in Italia, tra il ’64 e il ’67, furono in realtàscarsissimi. Ma era la prima volta che agli occhi di molti, avvezzi a considerare il mazzinianismo come la soluzionepiúrivoluzionariapossibile dei problemiitaliani, si apriva un orizzontenuovo e, almeno in apparenza, infinitamentepiúvasto. Mazzinierastatoconsiderato da tutti, in Italia, come il rivoluzionarioper antonomasia. A lui si erano accostati tutti quei giovani – dei quali l’Italia ha sempre avuto dovizia – che, assillati dalla volontà di agire, bramavano di sfogarein qualche modo quel bisogno di novità e di opposizione all’ordinecostituito che è comune e naturale nella gioventú; tutti quei giovani che, tra i recentissimi ricordi delle cospirazioni, delle rivolte, dei martiri, degli eroismi, si erano educati a sognare una vita di avventure, di gloria, di sacrificio ed erano pronti a buttarsi in questa correntepolitica che promettesse piúnovità, piúmutamenti, piúrumoroso impiego della loro quasi sempre effimera, ma pur sempre impetuosainquietudine.
Qui sta tutta l’importanza della propaganda di Bakunin. Il quale inizia una campagna contro Mazzini non dal consuetopunto di vista dei conservatori o dei moderati, dei costituzionali o dei cattolici, ma da quello ultrarivoluzionario; affrontaMazzini sul suo stesso terreno di lotta e mostra ai giovani non quello che egli dice diessere, ma quello che – secondo lui – egli è in realtà: insufficiente, tiepido, dogmatico e, quanto al nascentemovimentooperaio, prodigo somministratore di soporiferi di pretta marca borghese.
Alcuni giovanirestanoscossi da questa propaganda e inclinano ad accogliere il novissimo verbo, che apretutte le possibilità e non preclude nessuna via alla loro smania rinnovatrice. Altri, turbati anch’essi, oscillano ormaiincerti tra il socialismorivoluzionario e il mazzinianismo, incapaci di una risoluzionenetta e definitiva256.
Nell’autunno1864, compiendo un breveviaggio in Inghilterra, Bakunin s’incontra a Londra con CarloMarx. I due uomini sono divisi oltre che da divergenti vedute e oppostitemperamenti, da acri questionipersonali; ma finiscono con l’intendersi per la lotta contro Mazzini in Italia e, in generale, per la diffusione della neonataInternazionale.
Sui primi di novembre il russo è di ritorno fra noi. Ha anche ricevuto l’incarico di consegnare a Garibaldil’indirizzoinaugurale dell’Internazionale257. A Genova gli è facileintrodursi nell’elementooperaiograzie a un biglietto di Mazzini a FedericoCampanella: «Di’ a Mosto che andrà a cercarlo un amico mio russo con la moglie: che mi preme sia ben accolto dai nostri; che lo facciaconoscere ai coniugi Sacchi e Casaccia per gli operai… Starà pochissimo in Genova. Questo russo ti darà una prima letterarussa, in francese. È lavorointeressante assai»258.Bakunin si serve dunque di Mazzini per iniziare i suoi contatti con l’elementooperaio, quando già a Londra ha concordato con Marx l’azioneantimazziniana!
Da Genovaritorna a Firenze. Qui, sul cadere del 1864, getta le basi di una societàsegreta, che ora è dettaAlleanza della democraziasocialista, oraSocietà dei legionari della rivoluzionesocialeitaliana, piúspessoFratellanza. La nascita di questa societàsegretacoincide, per il tempo, col precisarsi nello spirito di Bakunin delle nuoveteorierivoluzionarie; egli ha bisogno di concretare il suo pensiero, di tradurlo immediatamente in azione, perché ormai non ha fede che «nella rivoluzione fatta dal popolo per la sua positiva e completaemancipazione, rivoluzione che costituirà l’Italialiberarepubblica di libericomuni nella liberanazione, liberamenteuniti fra loro». Cosíscrive il 7 febbraio1865259.
In un altro scritto, Bakunincosíchiarisce gli scopi della Fratellanza: «Bakunin, con alcuni amiciitaliani, fondò un’alleanzasegreta soprattutto come mezzo per combattere l’Alleanzarepubblicana, che Mazzini avevafondato poco innanzi con una tendenzateologica e un finepuramentepolitico». La Fratellanza fu insomma «creatacome affermazione del socialismo in contrapposto al dogmatismo religiosopolitico di Mazzini»260.
Il programma della Fratellanza si compone di dodiciarticoli che contemplano l’abolizione del dirittodivino, la rinunzia ad ogni propagandanazionale, la libertà dell’individuo nel comune, la liberafederazione dei comuninella provincia e nella nazione, l’abolizione dell’attualedirittopubblico e privato, l’eguaglianzapolitica di tutti i cittadini, l’abolizione di ogni privilegio, e quindi l’emancipazione del lavoro dal capitale, la proprietà della terra ai contadini e degli strumenti del lavoro agli operai261. L’eguaglianza e la libertà sono i prepotentibisogni, l’aspirazionepiúalta di tutti gli uomini e verranno raggiunte «con la forzaselvaggia e legittima del popolofinonelle loro ultimeesplicazioni»262. Pochi legionari, la cui personalità sarà circondata dal piúprofondomistero, ai quali sarà solennementevietato di mettersi in comunicazione gli uni con gli altri, devono esser messi a parte di questo programma e diventarne propagandisti. I componenti il Comitatocentrale, supremodirigente, dovrannoanche procurarsi tutte quelle nozioni militari che li mettano in grado di guidareeventualimotiarmati. Penetremende sono comminate ai traditori, agli apòstati, e una severitàgrandissimadevepresiedere alla accettazione di nuovifratelli.
Di questa societàsegretadà qualche notiziaAngelo De Gubernatis che fu tra i primi, a Firenze, a subire il fascino di Bakunin e che, per dedicarsi alla propaganda e per adattare la sua vita ai nuoviprincipîrivoluzionari, volle rifiutare ogni privilegio e presentò le dimissioni da professoreuniversitario (ben presto però si pentí del suo entusiasmo e tornò ai piúpacificistudi del sanscrito): «si doveva fra lui [Bakunin] e me stabilire un cifrariomisterioso ch’egli ed io soli avremmo dovutoconoscere… Prima di esserericevuto nel consesso, sarebbe statonecessario che, in casa del fornaioBeppeDolfi, io mi sottoponessi a un interrogatorio il quale sarebbe fatto da uno dei triumviri della Repubblicatoscana del 1848, GiuseppeMazzoni di Prato»263. De Gubernatis si trovava allora in uno stato d’animo di esaltazionegiovanile per cui sarebbe statoriconoscente a chi gli avesse offerta «un’occasionedi morir presto, di morirbene, di morir solo, rumorosamente, per tutti»264. La dottrina di Bakuninrispondevapienamente a queste sue ingenue aspirazioni.
Non appena cominciò a lavorare, il suo entusiasmo si raffreddò: «vedevointorno a me solo generaliavidi di comando e nessun soldato». Ma era quello appunto il programmainiziale di Bakunin: creare una minoranzadirigente e comunicarle la scintillarivoluzionaria: le masse sarebbero venute poi265.
Quanti e chi furono i primiaffiliati? De Gubernatis non dà che notizievaghe, parlando quasi sempre di sé. Egli rammenta un’assemblea, tenuta a Firenze, a cui preseroparte una trentina di fratelli e accenna, abbiam visto, a Dolfi e Mazzoni, come a personaggiinfluenti; ma il bakunismo di questi due mazziniani non dovetteessere di lungadurata; in casodiverso, ne sarebbe rimasta qualche altra testimonianza. Certo è che molti mazziniani si avvicinarono a Bakunin per impulso proprio e, fors‘anche, per incoraggiamento di Mazzini stesso che non poteva supporre che il russoperseguisse lo scopoprecipuo di scalzare il suo prestigio in Italia. Lo confessaAndreaGiannelli, ma aggiunge: «fu cosa minima». Si rammenti però che Giannelliscrive parecchi annidopo, quando non dovevaesserepiacevole per un mazzinianoammettere che alcuni tra i piúinfluenti del partito, e Mazzini stesso, s’eran lasciatiingannare da Bakunin e lo avevano aiutato a creare un organovolto, in sostanza, a combattere il mazzinianismo. Anche il Giannelli, del resto, «pur disputando continuamente con lui», rimase «suo personaleamico»266.
Ad ogni modo, non sembra che la Fratellanzaincontrasse soverchia fortuna a Firenze. Tanto che Bakuninnella primavera del 1865lasciò questa città, trasferendosi nei dintorni di Napoli.
Debolitracce della influenza da lui esercitata nell’ambientedemocratico in Firenze si posson forse ravvisarenella fondazione del settimanale «Il Proletario», che vi iniziò le pubblicazioni il 20 agosto1865, diretto da NicolòLo Savio, massone, amico del Dolfi267, insegnante di economiasociale nelle scuole della Fratellanzaartigiana.
«Il Proletario» è interessante soprattutto perché si rivela come un quid medium tra il mazzinianismo e il socialismo.
Sul troncomazziniano (fiduciasmisurata nell’associazioneoperaia, nella cooperazione, inviolabilità del principio della proprietàprivata), «Il Proletario», giornale «economicosocialista per la democrazia», innestò infatti qualche principio di provenienza bakunistica: primopunto, non fece mai parola del problemapolitico; inoltresostenne apertamente il concetto della societàdivisa in classiantagonistiche, la necessità di uno sforzotenace da parte della classeoperaia per raggiungere la propria emancipazione senza l’aiuto della borghesia; e infineaffermòche la ricostituzione sociale avrebbe dovutobasarsi sull’eguaglianza di tutti i cittadini.
Forse perché «Il Proletario» non si occupava di politica, le autorità non lo videro di malocchio, lo lasciaronotranquillamenteprosperare fino a raggiungere un 1500abbonati e poi (7 gennaio1866) morire di mortenaturale268.
Gli scarsisuccessiincontrati nell’ambientedemocraticoitalianoimpressionarono assai pessimisticamenteBakunin sugli uomini del partito d’azione. Questo pessimismo si mantiene per tutto il 1865 e il 1866: la nostrademocrazia non è buona che a parole; in praticaimpotente, supinamente asservita non alle idee ma alle persone dei suoi campioni: Mazzini e Garibaldi.
«Che malinconica cosa questa democraziaitaliana – scrivescoraggiatoBakunin nel novembre ’65. – A malapenariunendo tutte le sue ricchezzeintellettuali, essa riuscirà a mettere al mondo un’idea: pretendeviveresempre di sentimento, d’istinti e di non darsi che delle arie di bravura. Tutto questo non va. Bisogna pensare, se si vuol progredire. Ma in questo paese, che dà la mano al papa, pare si sia messo il pensiero all’indice. La democraziaperciò si trova qui (a Napoli) come dappertutto in Italia, in uno stato di prostrazione, di ristagnodifficili a descriversi, e di equivococronico e perpetuo»269.
La gioventúborgheseitaliana è infinitamentepiúarretrata di quella d’altri paesi e assolutamenteinadeguatoè in Italia lo sviluppo della scienza: solo pochissimi seguono quelle correntiscientifiche che, trasportate nel campoeconomico e filosofico, trionfano all’estero e formano la base e la conferma del socialismo.
Inviando agli amiciHerzen e Ogarëv i programmi della Fratellanza, Bakunin si scusa dei troppi particolarisuperflui che essi contengono. «Ma ricordatevi – spiega – che ho scritto questo programma in ambienteitaliano in cui evidentemente le ideesociali sono quasi sconosciute»270.
Si è formata in Italia una consorteria la quale, impadronitasi di ogni impiegolucroso, taglieggia il paese. Meno di cinque anni di indipendenza sono «bastati» egli nota «per rovinare le sue finanze, per precipitare tutto il paese in una situazioneeconomica senza uscita, per uccidere la sua industria, il suo commercio»: e, quel che duolesopra ogni altra cosa, per distruggere nella gioventúborghese quello spirito di eroica devozione che per piú ditrent’anni ha servito di potenteleva a Mazzini271. I repubblicani si sfogano ad attribuire ogni malanno al governomonarchico. Ma la colparicade tutta sulla borghesia, che in Italia è nella piúcompletadecadenza. In nessun luogoci si può renderconto altrettanto chiaramente del vuoto che nasconde il principio della rivoluzioneesclusivamentepolitica. In nessun luogo è piúarbitraria la identificazione che comunemente si fa di «rivoluzionario» e di «patriota».
A Napoli o in quel di NapoliBakunin si trattienefino al settembre del 1867; e impiega tutto il suo temponella propaganda a favore della Fratellanza che gli sta molto piú a cuore dell’Internazionale.
Anche qui i primiresultati non sono troppo brillanti. Scrive il Giannelli che le cose non gli vannomeglioche a Firenze; «non è affatto vero che gli affiliati alla Falangesacra si fossero lasciatipersuadere da lui»272.
Bakunin si insinua nell’ambientedemocratico-massone e avvicina soprattutto giovanigaribaldini: giovaniromantici sui quali lo spregiudicatoradicalismo del rivoluzionariorussoesercita una veraattrazione, giovaniscontenti, ché la patria non ha piúbisogno di loro, e anzi rifiuta i loro servigi e teme le loro agitazioni: essi cominciano ad intravedereideali che presuppongono la già compiutaunità e indipendenza della patria e che della patriasuperano i confini.
Tra le primeconoscenze del Bakunin si ricordano GiuseppeFanelli273, SaverioFriscia274, deputati al Parlamento; l’avvocatoCarloGambuzzi – che abbiamo trovatomazziniano al recenteCongressooperaio di Napoli275 – Tucci, Dramis, De Luca, Mileti, Sebastiano di Lucca276.
S’intende che giovano assai al Bakunin, in questi primicontatti, le relazioni, finoraottime, che egli mantiene con Garibaldi.
Il fogliogaribaldino «Il Popolo d’Italia», che si stampava a Napoli sotto la direzione, allora, di GiorgioAsproni277, aprí – secondoassicura il Giannelli – le sue colonne alla collaborazione di Bakunin; il quale vi stampò«alcuni articoli sulla morale, intesa a suo modo». Erano scritti in francese e furono tradotti in italiano dalla Asstinge dal Giannelli stesso278.
La sua propaganda nel Mezzogiorno d’Italiasembravasingolarmentefavorita dalle condizioni di quelleregioni, affatto arretrate sotto il punto di vista dello sviluppoindustriale, senza grandicentrioperai (unicaeccezioneNapoli), ancora profondamenteturbate dal grandesconvolgimento del 1860. Le simpatie di Bakunin non si rivolgono affatto alle masseoperaie della grandeindustria, use alla disciplina e alla compattezza, ossia allamancanza di libertà, a quelle masse cui non ripugna l’idea dello Stato, sia pure di uno Stato di lavoratori. Il suo cuore è tutto per le grandimasseagricole, forti di un secolaremalcontento, proclivi, nella loro ignoranza, a quei mezzi di lotta che il suo romanticismo socialetrova i piúsani e i piúproficui. La politica non interessa i contadini, ma basta una scintilla per far prorompere il loro odio contro il proprietario, il borghese, la città. Ecco quel che Bakuninscrive nel 1870, esaltando il rivoluzionario «in potenza» che si cela sotto i cenci di ogni contadinoitaliano: «Risvegliate soltanto l’istintoprofondamentesocialista che è sopito nel cuore di ogni contadinoitaliano; rinnovate in tutta l’Italia, ma con un finerivoluzionario, la propaganda che il cardinaleRuffo aveva fatto inCalabria, sulla fine del secoloscorso; gettatesoltanto questo grido: la terra a chi lavora con le sue braccia! e vedrete se tutti i contadiniitaliani non sorgeranno per fare la rivoluzionesociale»279.
Il contatto con la borghesia ha rovinato gli operai, affermaBakunin; il patriottismo dei borghesi li ha contaminati; e forse egli ha presente la grandeSocietàoperaia di Napoli, dominata da elementidemocraticiborghesi, che ha fattovoti per la liberazione di Roma e di Venezia; probabilmente gli amicinapoletani lo hanno informato dell’andamento di quel Congresso di Napoli, che ha ripetuto le mille volte agli operaiessere loro primodovere la liberazione delle province ancora soggette allo straniero. Il patriottismo è un veleno, che Mazzini eGaribaldi hanno inoculato negli operaiitaliani: i quali «sono schiacciati sotto il peso di un lavoro che basta appena a nutrire loro, le loro donne, i loro fanciulli, maltrattati, malmenati, morenti di fame, e spinti, diretti, lasciandositrascinareciecamente dalla loro borghesiaradicale e liberale, parlano di marciare su Roma, come se dal Colosseo e dal Vaticano possano venir loro la libertà, il riposo e il pane… Queste preoccupazioniesclusivamentepolitiche e patriottiche sono molto generose, senza dubbio, da parte loro. Ma bisogna anche confessare che sono moltostupide»280. – Il veleno del patriottismoborghese non è penetrato invece nelle masseagricole, sí che queste serbanointatto l’istintorivoluzionario: «Sotto il rapporto della rivoluzionesociale, si può dire che le campagned’Italia sono anche piúavanzate delle città»281.
Bakunin è in ordine di tempo il primo in Italia che si occupi delle masseagricole del Mezzogiorno, senza considerarle strumenti di reazione e non deplorando l’avvenutaunificazionenazionale. Mazzini non ha mai pensatoseriamente ai contadiniitaliani. Anzi Bakuninricorda quel che Mazzini gli rispose, a Londra, una volta che egli gli osservò esser necessariorivoluzionare i contadiniitaliani. «Per ora nulla vi è da fare nelle campagne; la rivoluzionedovrà farsi prima esclusivamente nelle città; poi, quando l’avremo fatta, ci occuperemo delle campagne!»282.
Ma non bisogna dare troppa importanza alle paginevibranti di entusiasmo che Bakunindedica ai contadiniitaliani; le parolerimaseroparole; gli incitamenti alla rivoluzione non conquistarono che un piccoloentourage di giovanotti borghesi e, in un secondotempo, di operai e d’artigiani.
Fino a tutto il 1865Bakunin poté svolgeretranquillamente la sua attività, senza incontrareresistenze troppo gravi: troppo modesta ancora per destarepreoccupazioni nell’ambienteborghese e nelle autorità, essa si giovavadel fatto che il mazzinianismo non era mai penetrato a fondo nel Mezzogiorno; non si trattava perciò tanto discalzarlo o, per dirla con Marx, di minargli il terreno, quanto di prevenirlo nella diffusione di un programma di rinnovazione sociale che alleasse al proletariatoelementiintelligenti e disinteressati della borghesia, pronti a sacrificare all’emancipazione di quello i privilegitradizionali della loro classe.
Ma sul cadere del 1865Mazzini, compreso della necessità di trovare una piúlargabase al suo movimento e forse anche avvertito del lavorio che Bakuninandavacompiendo, si accinse precisamente a intensificare lapropaganda nel Mezzogiorno. «Mi son dato con volontàferoce, superiore alle mie condizionifisiche a conquistarci, con intenzionipratiche, il Mezzogiorno», scrive, il 2 dicembre1865, a FedericoCampanella283.
Se ne sente il contraccolpo nelle lettere di Bakunin, purtroppo quasi unicoinsufficientissimo documento di una attività che, per tanti rispetti, meriterebbe d’essere un poco piúnota.
2 marzo1866: «L’Italiaunificata si sfascia. L’opposizione contro il governo si accentua di piú in tutte le province. Il deficit, la paura di nuoveimposte, il ribasso dei terreni, l’oppressione e i cavilli della burocrazia, l’arrestarsi di tutti gli affari, tutto questo, riunito, provoca, finalmente, una irritazione nella popolazione ed eccitaanche i piúindifferenti, i piúapatici»284.
19 luglio1866: (quando già Mazzini, riprendendo la intransigenzarepubblicana, ha fondato la suaAlleanza) «Sono statoobbligato a lavorareenormemente, soprattutto contro le idee e le passionicosídettenazionali, contro l’odiosa teoria del patriottismoborghesediffusa da Mazzini e Garibaldi. Ma, dopo un penosolavoro di tre anniconsecutivi, comincio ad ottenere dei risultatipratici… La maggiorparte delle organizzazionimazziniane dell’Italiameridionale, della Falangesacra, sono passate dalla parte nostra». E piú oltre: «soprattutto nell’Italiameridionale, il bassopopoloaccorre in massa verso di noi, non ci mancadavvero la materia prima, mapiuttostomancanouominiistruiti e intelligenti che agiscano con franchezza e che siano capaci di dare una forma a questa materia prima. Il lavoro da fare è enorme; gli ostacoli da superareinnumerevoli, le risorsefinanziariemancanoassolutamente. Nonostante tutto, nonostante questo importantediversivo militare (la guerraantiaustriaca), non ci perdiamo di coraggio, non manchiamo di pazienza. Certo bisogna averne una doseabbondante, ma, per quanto con lentezza, pureprogrediamo tutti i giorni… In un manifestoindirizzato ai suoi amicidi Napoli e di Sicilia, Mazzini mi denunciòformalmente, sempre dandomi il titolo di il mio illustreamicoMicheleBakunin285. Non eracomodissimo per me; la denunzia poteva compromettermi sul serio, visto che le falangimazziniane, soprattutto in Sicilia, abbondano di spiepagate dal governoitaliano. Per mia grandefortunaquest’ultimo non si rende ancora conto del movimentosocialista nel paese, e non nutre perciò timori al riguardo. Decisamente, ciò dimostra la sua grandebestialità, perché dopo il naufragio che hanno fatto in Italia i diversipartitipolitici, e la fine delle loro idee e dei loro scopi, non resta in questo paese di vitale e di possibile che una forzasola: la rivoluzionesociale»286.
L’ottimismo che traspare dalle parole di Bakunin è in connessione col crescentesviluppo della suaFratellanza. La quale, diffusa, se pur debolmente, in tutta Europa, ha messoradici anche nell’Italiameridionale. La frase «il bassopopoloaccorre in massa verso di noi» è piú l’espressione di un desiderio che della realtà; ma non v’èdubbio che qualche nucleo della Fratellanza venne fondato in quegli anni nel Mezzogiorno, come dimostra una circolarediretta da una sezionepalermitana ad altre sezioni287. A una sezionefondata a Napolifin dal 1866accenna una memoria della Federazionenapoletana dell’Internazionalepubblicata dieci annipiútardi288.
Si provvide anche alla necessità di un giornale che collegasse le sezioni e divulgasse le ideebakuniste: nell’ottobre1866apparve il primonumero della «Situazione», due paginette interamentescritte da Bakunin. Conteneva uno studio sulla condizione dei partiti in Italia, l’esame della situazione del popoloitaliano, della sua miseria, della sua potenzainsurrezionale, dei suoi nemici, ossia «la Chiesa, lo Statocentralista e i suoi necessarielementi – i privilegisociali»; inoltre un attacco a fondo contro Mazzini e Garibaldi289. Il secondonumero, a quanto pare, non uscí che nel 1868, a Ginevra290.
Importante soprattutto è la presa di posizione contro Garibaldi. All’atteggiamentoapertamenteantimazzinianoBakuninerastato, in fondo, costretto dalla scomunica che contro di lui aveva per primolanciataMazzini; ma l’attacco a Garibaldi – occasionato dalla sua partecipazione agli avvenimentipolitici e militari di quell’anno – costituiva per Bakunin una notevoledimostrazione di forza; egli sentiva di poter già, a tre anni appena di distanza dal suo primoarrivo in Italia, sostenere una parte nel movimentodemocraticoitaliano, pur schierandosicontro il caporiconosciuto di quel movimento.
Quel che lo urta in Garibaldi è la sua leggerezza291. Garibaldi infatti abbraccia con disinvoltura tutte le dottrine che mirano a un rinnovamento della vitapolitica, morale e sociale del paese: si dichiarafederalista,razionalista, socialista; ma non ne penetra a fondo nessuna e le sue dichiarazioni di adesione, spessoavventate e impulsive, nuocciono alla sua serietà e danneggiano i singolimovimenti. Il suo sistematico intervento in ogni episodio della vitapubblicaitaliana, la sua mania di aderire a ogni corrente d’opposizione, i suoi equivociperenni, le contraddizioni, i ripicchipersonalirendonodifficilissima la vita del partito d’azione.
Non meno confusionario appare a Bakunin il radicalismo dei garibaldini. Egli non riesce, per esempio, a capire come tre dei suoi piúfidiseguaci, Fanelli, Gambuzzi e Mileti, pur senza sconfessare la loro fede di rivoluzionarisocialisti, possano, nel ’66, piantare i lavori della Fratellanza e correre ad arruolarsi nelle schiere dei volontari per una guerra che è a tutto esclusivovantaggio della monarchia e che tende a consolidare quello stato di cose per la distruzione del quale la Fratellanza è sorta!
Il governo non si rendeva conto dell’incipientemovimentosocialista. Mazzini invece cominciava arendersene conto e non voleva si nominasse neppure il socialismo. «Non esprimeva che un desiderio – scriveva il 24 settembre al Campanella, alludendo a certi articolipubblicati sul Dovere» – s’evitasse un nome, socialismo, che per consenso di tutti ha un valore di sistema e di sistemi, che dànno una soluzionefalsa del problema e allarmatutta una classenumerosissima senza pro’»292. Il movimentooperaiodovevaseguire i binari sui quali Mazzini lo aveva instradato. Fuor di quelli era l’errore.
Si poteva evitare di nominarlo, il socialismo. Ma sapeva d’ingenuità da parte di Mazzini tale pretesa, mentre in tutta Europaprogrediva – come vedremo – il movimento dell’Internazionale, mentre in Italia si svolgeva, non senza qualche successo, la propaganda di Bakunin e – quel che era assai piúimportante – gli operaiinsistevanonella via delle agitazioni e degli scioperi.
Progredivasí, il movimentooperaio di mutuosoccorso (le società, nel 1865, salivano a 519)293; continuavalo sviluppo delle cooperative (7 cooperative di produzionefondate nel 1865294, 3 nel 1866295), ma intanto, nel maggio1865, tumultuavano i lavoranti delle ferrovie in Sardegna e nelle Puglie296 e gruppi di lanaioli disoccupatiinvadevano, ad Arpino, uno stabilimento, distruggendone le macchine297 e, nel giugno, i disoccupatiinscenavanodimostrazionipaurose a Como298 e in tutto il Piemonte i cappellaiminacciavano lo sciopero e pretendevanomiglioramenti299; e agitazioni e scioperi si seguivano e si moltiplicavano di mese in mese300. A questi preoccupantisegni di malcontento della massaoperaia, altri se ne aggiungevano, che davano la misura dello statod’animo dei contadini. In moltissime località si verificavano tumulti contro l’inasprimento delle tasse: come – per limitarsi al 1865 – a Sessa (Gaeta) in aprile, a SestriLevante nel maggio, a Legnano, a Verano (Milano), ad Arluno(Milano) nell’agosto, a Brescia, ad Albenga nel settembre301.
Mazzini, informato di tutto ciò, avrebbe dunque dovuto non soltanto non tacere del socialismo, maaffrontarlo in pieno, e impegnare fin d’allora la sua battaglia per tentare di arginarne i progressi. Ma la rinnovataattivitàpoliticaassorbí tutta la sua attenzione.
SoltantoBakunincontinuava nella sua propaganda, la quale assumeva di giorno in giorno un coloritosempre piúnettamenteantimazziniano. Ormai il russo non scriverà piú due righe sull’Italia, senza cacciarvi dentrouna tirata contro Mazzini; al quale attribuisce la colpa di aver rovinato la democraziaitaliana e di avere isterilito il movimentooperaio, propinandogli gli estratti del suo sistemaaddormentatore.
Commenti recenti