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Quando il rivoluzionario russo incontrò l’“eroe dei due mondi”.

Cheta è la notte e un placido
Blando chiaror di luna
Luneggia di Caprera
Sulla scogliera bruna.
Ed io fra sogni ruvidi
Calpesto il mio sentier
Parmi calcar solingo
Fra l’ombra e fra mister.

G. Salvi, Una notte a Caprera, 1891.

 

Il cielo stellato e il mare calmo promettevano un viaggio tranquillo e senza pericoli. A bordo della nave passeggeri con destinazione Sardegna nessuno conosceva quell’uomo alto e grosso, che con la giovane moglie era diretto all’isola della Maddalena. Forse solo il comandante del traghetto aveva intuito la vera destinazione di quello straniero dalla folta barba nera e dall’abbigliamento alquanto trasandato. Da quando, quattro anni prima, erano partiti in mille da Quarto e in pochi mesi avevano fatto l’Italia, dal porto di Genova erano passati un po’ tutti: re, ministri, rivoluzionari, poeti e avventurieri d’ogni genere. 
Tutti volevano andare a far visita all’Eroe dei Due Mondi. Questi, infatti, ancora convalescente dopo gli scontri dell’anno prima con il regio esercito sull’Aspromonte, si era ritirato sulla sua piccola e inospitale isola di Caprera. Non sorprese dunque nessuno sentire quell’uomo parlare con la sua giovane donna ora in russo ora in inglese. Egli non poteva che essere uno dei tanti ammiratori del Generale. Nonostante i modi un po’ sbrigativi e il tono alto della voce, si capiva che era un uomo colto, deciso e probabilmente con un’importante missione segreta da compiere. Quella notte fu visto pensieroso scrutare il mare, scrivere in coperta e fumare enormi sigari fino a notte fonda, quando, vinto dalla stanchezza, si assopì per alcune ore. 
La traversata fu, secondo le previsioni, senza sorprese. Le stesse forti correnti delle Bocche di Bonifacio non diedero problemi. In meno di dodici ore il vapore arrivò a Cala Gavetta, il piccolo porto della Maddalena. Era la mattina del 20 gennaio 1864. La temperatura dell’aria era particolarmente mite e certo non paragonabile a quella cui la coppia era abituata nella lontana Siberia.

Irriducibile rivoluzionario

L’uomo con la barba era, infatti, il pericoloso e irriducibile rivoluzionario Michail Bakunin, da poco tempo evaso dal domicilio coatto di Irkutsk, un gelido e povero paese siberiano di circa 25.000 abitanti. La polizia zarista, dopo averlo inseguito per anni e averlo condannato a morte per ben due volte, era riuscita ad arrestarlo e ad imprigionarlo quale irriducibile terrorista, capace di sollevare le masse popolari con il suo entusiasmo e la sua forbita eloquenza. 
Di nobile e ricca famiglia, il padre era stato addetto alle legazioni russe a Firenze, Napoli e Torino negli ultimi anni del Settecento, aveva abbandonato la carriera militare per dedicarsi con passione agli studi filosofici, abbracciando ben presto le idee politiche più radicali. Prima di essere catturato e condannato al domicilio coatto, aveva girato mezza Europa occidentale e stretto amicizia con molti rivoluzionari del vecchio continente. Ora tornava, dunque, in Inghilterra dopo quasi dieci anni di forzato esilio con una rinnovata volontà di accendere cospirazioni un po’ ovunque e fondare sette rivoluzionarie per sollevare il popolo contro ogni forma di tirannia. 
Al momento le sue erano ancora idee di rivolta piuttosto generiche, lontane da quelle che in seguito avrebbe maturato e che sarebbero state alla base del nascente movimento anarchico internazionale. 
L’amico e compatriota Alessandro Herzen nelle sue memorie ci ha lasciato un ritratto alquanto colorito e del tutto corrispondente alla personalità del personaggio:

Bakunin si riprese in mezzo a noi dopo nove anni di silenzio e di solitudine. Egli discuteva, predicava, dava ordini, urlava, decideva, organizzava, esortava l’intero giorno, la notte intera, per le intere ventiquattro ore. 
Nei pochi momenti che gli rimanevano, si gettava sul tavolo, lo ripuliva del tabacco e della cenere, e scriveva cinque, dieci, quindici lettere a Semipalatinsk e a Arad, a Belgrado e a Costantinopoli, in Bessarabia, Moldavia e Russia Bianca. 
La sua attività, la sua pigrizia, il suo appetito, il suo disordine, come tutte le altre sue caratteristiche, compresa la gigantesca statura e il continuo trasudare, erano di proporzioni sovrumane. Era ancora, a cinquant’anni, uno studente vagabondo, un bohémien senza casa.

Il socialista Filippo Turati, che ebbe modo di incontrarlo diverse volte e in seguito di polemizzare anche aspramente con lui, ha tracciato un ritratto dell’uomo non tanto diverso da quello precedente:

Alto, fronte vasta, grande testa leonina, biondo, occhi azzurri, zigomi pronunciati, negletto nell’abito oltre ogni dire, ogni suo lineamento così come ogni azione ispira la larghezza, la benevolenza e la forza. 
La sua vita è irregolare, vive di the e di tabacco e veglia notti intere a tavolino scrivendo lettere, opuscoli, con vena indiavolata, tenendosi in rapporti con i rivoluzionari di tutto il mondo. Nulla gli sfugge, tutto assimila, tutto trasforma nel moto perpetuo del suo cervello, sempre aperto alla confidenza, sempre pronto all’azione…

Fuggito dal domicilio coatto grazie alla complicità di alcuni amici locali, dopo un lungo e rocambolesco viaggio che lo aveva portato dal Giappone all’America del Nord, Bakunin era finalmente giunto a Londra il 27 dicembre 1861. La notizia della sua fuga dalla lontana Siberia e l’arrivo in Europa si diffuse rapidamente anche in Italia, grazie soprattutto alle notizie riportate dal giornale milanese “L’unità Italiana”.

Giuseppe Garibaldi (1807-1882)

 Il generale Garibaldov

La permanenza in territorio inglese si era rivelata quanto mai produttiva e culturalmente stimolante. A Londra era stato aiutato e ospitato da alcuni amici della numerosa comunità russa in esilio. Furono loro a trovargli una decorosa sistemazione alla periferia della città e a fornirgli il sostentamento economico necessario per continuare l’attività politica. Fra i tanti incontri da lui avuti con intellettuali, filosofi e politici, non c’è dubbio che quello con Giuseppe Mazzini e Aurelio Saffi rivestì una particolare importanza. 
Questi gli avevano illustrato la situazione italiana in continuo fermento e la necessità di proseguire la lotta per liberare Roma e cacciare i Savoia. Ma, al momento, il suo desiderio più grande era di conoscere l’altro grande mito rivoluzionario italiano, l’uomo forse più conosciuto e popolare al mondo, quello il cui nome aveva sentito pronunciare molte volte perfino nella lontana Russia: il generale Garibaldov. 
In un suo manoscritto del 7 gennaio 1872 il rivoluzionario russo aveva infatti annotato:

Mi trovavo nella capitale della Siberia orientale, a Irkutsk, al tempo della memorabile campagna di Garibaldi in Sicilia e a Napoli. Ebbene posso affermare che tutta la gente di Irkutsk, quasi senza eccezione, mercanti, artigiani, operai, perfino i funzionari, prendevano appassionatamente le parti del liberatore contro il re delle Due Sicilie, fedele alleato dello Zar! 
La posta arrivava allora a Irkutsk due volte alla settimana, il telegrafo ancora non esisteva, e bisognava vedere con quale accanimento si arraffavano i giornali e con quale entusiasmo si festeggiava ogni nuova impresa del generale liberatore! 
Negli anni 1860-63, quando il mondo rurale russo era in profonda agitazione, i contadini della Grande e della Piccola Russia attendevano l’arrivo di Garibaldov, e se si domandava loro chi fosse, rispondevano “È un grande capo, l’amico della povera gente, e verrà a liberarci”.

Per realizzare quel desiderio, che rappresentava anche una sua pressante necessità politica, in precedenza aveva inviato diverse lettere al Generale, che allora si trovava nella sua amata isola di Caprera. 
Il primo messaggio del 31 gennaio 1862, affidato al fratello Aleksandr in partenza per l’Italia, conteneva l’invito a lottare ad oltranza contro l’Austria, a sconfiggere la Russia e a favorire la Federazione dei popoli slavi. Si trattava in sostanza del suo credo politico, che si concludeva con l’accorato invito all’eroe dei Due Mondi perché continuasse la lotta per la libertà di tutti i popoli oppressi. Poi seguirono almeno altre due lettere datate 10 maggio 1862 (sequestrata dalla polizia austriaca a Peschiera, in seguito all’arresto del suo latore, il russo Andrej Niciporenko) e 9 gennaio 1863. 
Esattamente un anno dopo, il 10 gennaio, dopo una breve sosta a Torino, giunse dunque in Italia attraverso il passo del Cenisio con credenziali di Mazzini e Saffi per conoscere Garibaldi e, tramite lui, prendere contatto con gli altri patrioti italiani. 
A Genova, grazie ad una lettera di presentazione di Mazzini e Saffi, incontrò Agostino Bertani, il patriota che, grazie alle sue frequentazioni nel mondo democratico socialista e la sua personale conoscenza di Garibaldi, facilitò la realizzazione del suo progetto. Tutto l’ambiente repubblicano genovese lo accolse con calore, e lo protesse dalle spie della polizia, messe in allarme dalle autorità inglesi. D’altra parte,stando a diverse testimonianze di amici, Bakunin condusse gran parte della sua esistenza

sprovvisto di mezzi di sussistenza, sopravvivendo grazie alle risorse che gli fornivano i suoi amici più prossimi; vivendo più che modestamente, utilizzando la maggior parte della sua magra disponibilità in denaro per pagare l’affrancatura della sua voluminosa corrispondenza.

Dai compagni genovesi apprese della critica e complessa situazione economico-politica italiana, ricavandone la convinzione che il popolo, specie quello di Roma, non aspettasse altro che un segnale per riprendere la strada della libertà.

 Finalmente a Caprera

Dopo essere sbarcato alla Maddalena, raggiunse finalmente Caprera, grazie a una piccola imbarcazione presa a noleggio da un pescatore locale. Ad attenderlo sulla banchina, se così possiamo chiamare quella del piccolo attracco all’isola, c’era il Generale in persona con la classica camicia rossa. Lo accompagnava il suo inseparabile segretario particolare Giovanni Basso. Un caloroso e commosso abbraccio segnò il loro primo incontro quella mattina del 20 gennaio 1864. 
I due erano quasi coetanei: Bakunin aveva cinquant’anni, Garibaldi cinquantasette. 
Il Generale aveva scelto di stabilirsi a Caprera circa dieci anni prima. Grazie all’eredità di suo fratello Felice e su consiglio dell’amico sardo Pietro Susini, nel 1855 aveva acquistato metà di quell’arido scoglio. 
L’altra metà l’acquistò qualche anno dopo grazie alla colletta promossa dalla sua “fidanzata” inglese Emma Roberts, dal Duca di Sutherland e dagli amici Julei Salis Schwabe e Clarence Paget. Gli inglesi, dunque, si dimostrarono ancora una volta affascinati dall’uomo e pronti, per ragioni politiche evidenti, ad assecondare le sue imprese antiaustriache e antifrancesi. Una volta perfezionato l’atto d’acquisto, iniziò subito i lavori per rendere il posto vivibile per sé e la piccola corte che lo seguiva ovunque. 
Il suo impegno personale nella realizzazione dell’opera fu totale e, con l’aiuto del figlio maggiore Menotti e di pochi altri amici garibaldini, restaurò una casa diroccata e abbandonata, già di proprietà di un pastore locale, iniziando contemporaneamente a coltivare l’arida terra circostante. 
Nel corso degli anni, ne trascorsero almeno cinque, nacquero la Casa Bianca, la dimora principale, la Casa di Ferro, in realtà di legno e adibita ad alloggio per gli ospiti, la stalla, i magazzini e un piccolo mulino a vento. 
La Casa Bianca fu costruita in blocchi di granito locale rivestiti dentro e fuori con intonaco e calce. Essa era composta da quattro stanze, poste tutte a piano terra, sormontate da un tetto bianco. In attesa che la costruzione fosse terminata, Garibaldi aveva vissuto, senza mai lamentarsi, sotto una tenda militare da campo con il figlio Menotti e altri pochi volontari. 
La storica Fernanda Poli, nel suo prezioso lavoro di presentazione del Museo Garibaldino di Caprera, così la descrive:

Presenta tutte le caratteristiche di una dimora ottocentesca, planimetricamente articolata in una successione di vani intercomunicanti disposti intorno ad un piccolo ambiente privo di finestre che accoglie la scala d’ingresso alla terrazza…le stanze della casa possono assumere elasticamente funzioni diverse in relazione alla variabilità dei componenti della famiglia, nucleo tanto dilatato da accogliere nel suo interno amici e collaboratori.

Anche l’arredamento, coerentemente con il carattere del Generale, era spartano. La stanza da letto di Garibaldi serviva anche da studio. C’era un letto di ferro, uno scrittoio, due librerie, un cantaràno e un camino costantemente acceso per ridurre l’umidità. Alle pareti erano appesi i suoi ricordi più cari: una treccia dei capelli di Anita, il ritratto della piccola Rosita, morta a Montevideo e altre fotografie di amici.

Michail Aleksandrovic Bakunin (1814-1876)

 Generale e agricoltore

Uomo umilissimo e poliedrico, Garibaldi si era immediatamente trasformato da marinaio a muratore, da generale ad agricoltore, dimostrando sempre grande entusiasmo e disponibilità per ogni tipo di lavoro. Quest’ultima sua esperienza, quella d’agricoltore, trovò compimento negli appunti e nelle annotazioni dei suoi Quaderni agricoli, che ancora oggi rappresentano una fonte importante per conoscere meglio l’uomo Garibaldi, quello lontano dai campi di battaglia. 
Il novello Cincinnato tentò anche di trasformarsi, non senza qualche soddisfazione, in un apicoltore e in un botanico. Come ci ricordano i suoi tanti biografi, Garibaldi vestiva sempre uguale: portava calzoni grigi legati in vita con una cinghia, indossava una camicia rossa, il poncho o una giacca da caccia, portava un cappello a larghe tese o la tipica papalina, calzando sempre stivali ferrati. 
Nel corso degli anni aveva fatto amicizia con diversi pastori sardi, con i quali andava spesso a caccia o a pesca, partecipava a feste popolari, a matrimoni e a battesimi in molti villaggi. In tutte quelle occasioni era Lui l’invitato d’onore, la celebrità che dava lustro alla festa.
Uno dei suoi più cari amici era il pastore Ignazio Sanna di Li Muri, piccola località presso Arzachena. Ogni volta che il Generale arrivava, la moglie di Ignazio, Maria Prunedda, gli faceva gran festa e preparava per l’occasione una ricca cena a base di cacciagione. 
A Caprera era circondato da diverse persone: il segretario Giovanni Basso, i garibaldini Giovanni Froscianti, Luigi Gusmaroli (ex prete), Giuseppe Nuvolari, Francesco Bideschini, Jacopo Sgarallino, Felice Orrigoni, i figli Menotti e Ricciotti e il genero Stefano Canzio, il marito della figlia Teresita. Vi era poi Francesca Armosino, giunta per seguire i figli e i nipoti, che in seguito divenne sua moglie. 
L’isola era diventata il centro morale d’Europa. Si assisteva a un pellegrinaggio continuo di emissari del re, di Cavour, di Mazzini. Arrivavano rivoluzionari di ogni paese d’Europa, delle associazioni operaie e di mutuo soccorso, intellettuali, giornalisti, pittori, poeti, ministri e perfino nobili. 
Lo stesso ufficio postale della Maddalena dovette essere rafforzato per accogliere e smistare tutta la posta che giungeva da tutto il mondo. 
Dal piroscafo una volta al mese, venivano scaricati alla Casa Bianca quintali di pacchi e di lettere. Di queste ultime molte non erano affrancate perché gliele mandavano poveri emigranti, contadini e operai. Lui o il suo segretario rispondevano a tutti con grande dispendio di denaro e di energie.
Grazie a quelle lettere e ai giornali che quotidianamente era solito leggere, era al corrente di tutto ciò che accadeva in Italia e nel mondo. Un visitatore, Candido Augusto Vecchi raccontò che il generale cenava verso le sei per poi ritirarsi nella sua camera da letto e, dopo aver letto i giornali, dormire non più tardi delle dieci. 
La figlia Teresita spesso allietava le serate suonando il piano e cantando arie di opere popolari. Agli ospiti venivano offerti ricchi pranzi a base di pesce mentre le cene terminavano con l’immancabile sigaro. 
L’eroe dei Due Mondi stava, dunque, a Caprera circondato dall’affetto della sua famiglia e dei suoi fedelissimi ed era oggetto delle speranze dei democratici di mezza Europa e dei timori dei governi che, stando alle mille voci in circolazione, lo davano presente o pronto a partire ora per i Balcani, ora per la Polonia o magari per Venezia, ancora in mano gli austriaci. 
Le ferite subite sull’Aspromonte, che l’avevano costretto per tutto il 1863 ad usare una carrozzina per i suoi spostamenti, ora, seppur lentamente, stavano guarendo e il desiderio di lasciare l’isola per un nuovo campo di battaglia, in effetti, cresceva giorno dopo giorno.

 Per i polacchi, contro i russi

Bakunin oltre alla curiosità di conoscere l’eroe, che aveva infiammato i cuori anche dei suoi connazionali, sentiva di avere una missione politica da compiere. Aveva bisogno di lui e doveva convincerlo a prendere posizione a favore dei polacchi nella loro lotta contro i russi, magari organizzando una spedizione di volontari. 
Il 23 gennaio 1863, infatti, i polacchi erano insorti contro i russi, suscitando l’entusiasmo di tutti gli altri popoli oppressi e in cerca di libertà. Garibaldi, in realtà, si era già espresso molto chiaramente in proposito in un appello Ai popoli d’Europa il 15 gennaio. Ma di questo Bakunin forse non era ancora a conoscenza. Nel suo appello-manifesto aveva gridato alto e forte “Non abbandonate la Polonia”.
Non pago di ciò, Garibaldi aveva anche incaricato Benedetto Cairoli e Antonio Mordini di trattare con i patrioti polacchi e ungheresi per organizzare un movimento rivoluzionario in grado di mettere in difficoltà gli austriaci. Infine pensò d’organizzare una spedizione che, partendo da Costantinopoli, fosse in grado di provocare la rivoluzione in Romania e nella Russia meridionale. 
Nonostante i suoi appelli però erano partiti per la Polonia solo pochi volontari, guidati da Francesco Nullo, che là, purtroppo, perse la vita. L’invito di Bakunin trovò dunque in Garibaldi un interlocutore attento e convinto, tanto che il russo annotò nelle sue memorie:

È chiaro che egli, con tutto il partito del movimento si prepara all’azione in primavera: in che cosa consista nell’azione è ancora difficile dire, gli ostacoli sono immensi. La guerra, o ciò che sarebbe meglio, la rivoluzione in Germania, potrebbero influire enormemente su tutto ciò.

I due parlarono a lungo di politica, si scambiarono opinioni e speranze circa le sorti dell’Europa e del popolo italiano oppresso dalla miseria e dall’ignoranza. Per tre giorni i due amici immaginarono sollevazioni delle popolazioni in tutta Europa, ponendo, nello stesso tempo, le basi per imminenti azioni rivoluzionarie volte a liberare Roma dal potere temporale del papa e farne la capitale d’Italia. 
I due uomini si somigliavano molto: entrambi erano intolleranti d’ogni dogma, visceralmente anticlericali e sempre pronti a gettarsi in ogni avventura che prefigurasse un mutamento morale e sociale del popolo. Come Garibaldi anche Bakunin, stando alle parole del naturalista tedesco Carl Vogt,

era incapace di una vigliaccata, fremente d’indignazione di fronte a delle ignominie sociali, che adora, allo stesso modo, la rivoluzione e le donne, che ama poco gli uomini di spada e disprezza gli uomini avidi di denaro.

Quel che divideva i due rivoluzionari non era dunque il carattere quanto le letture e gli studi filosofici, che certo Garibaldi non poteva vantare come il suo interlocutore. 
Bakunin, durante la sua permanenza in Europa e prima di essere arrestato, aveva infatti arricchito la sua cultura letteraria leggendo e studiando le opere di molti filosofi tra i quali in particolare Hegel, Fichte, Proudhon. A Londra aveva poi avuto la possibilità di conoscere e discutere con lo stesso Marx, verso il quale però non nutrì mai eccessiva simpatia né umana né politica. 
Mentre Bakunin discuteva di politica passeggiando per l’isola con Garibaldi, sua moglie, la polacca Antonia Kwiatkowski, non potendo fare altrettanto con Francesca, donna semplice e priva di alcun interesse culturale, si interessava della cucina, dei prodotti tipici sardi e chiacchierava amichevolmente con gli altri ospiti della casa. Dal loro matrimonio, celebrato nel 1858, Antonia aveva venticinque anni meno di Michail, nacquero tre figli: Carlo, Sofia e Marussia.

 La svolta decisiva

Il 1864 segnò una svolta decisiva nel pensiero politico di Bakunin. A partire da quell’anno, infatti, il rivoluzionario russo si dedicò completamente alla causa del socialismo rivoluzionario. 
Da quel momento la questione sociale costituì la sua principale preoccupazione, più ancora dei singoli problemi nazionali. 
Da Londra Giuseppe Mazzini intanto vigilava su quell’incontro, s’informava presso gli amici genovesi e, pur conoscendo le loro diverse posizioni circa i tempi, i modi e gli interlocutori da scegliere per liberare Roma e sollevare il popolo contro la monarchia, era consapevole che avrebbe dovuto, almeno per il momento, contare sul loro aiuto. 
Egli sapeva che la loro separazione ideale e politica sarebbe stata presto inevitabile, ma capiva anche che nell’immediato occorreva riunire le forze di tutti e non disperdere nessuna energia rivoluzionaria, qualunque espressione assumesse. 
Mazzini si mostrava anche interessato alla sorte che avrebbe avuto l’associazione tra mazziniani e garibaldini che il Generale aveva tentato di fondare, senza troppa fortuna, proprio in quei giorni. 
Pur essendo consapevole della enorme popolarità di Garibaldi e della forza intellettuale di Bakunin, Mazzini, sempre più fermo nelle sue convinzioni, era però certo che alla fine sarebbero state le sue idee a trionfare e che la storia gli avrebbe dato ragione. 
Di quei tre giorni di visita e dell’ambiente di Casa Garibaldi a Caprera abbiamo un’altra importante e diretta fonte d’informazione. Si tratta della testimonianza diretta di Bakunin. 
In una lettera alla contessa Elisabeth Salhias de Tournemire il russo, infatti, descrisse dettagliatamente la sua permanenza sull’isola e tratteggiò la figura politica e umana del mitico Garibaldov. Si tratta di un documento storico di grande importanza e una ricca fonte di informazioni sulla prima tappa italiana di Bakunin, sul volontario esilio di Garibaldi e sulla sua vita a Caprera.

…Garibaldi ci ha accolto molto amichevolmente ed ha prodotto su di noi due un’impressione profonda. È guarito del tutto, e benché zoppichi un poco è forte come un leone e sta in piedi dalla mattina alla sera. 
Lavora nel suo giardino, il quale anche se non è bellissimo è straordinariamente interessante, perché è tutto seminato dalle sue mani sulla roccia e tra la roccia. 
La vista è triste e bellissima. 
Non c’è che una casa in pietra, bianca, pomposamente chiamata “Palazzo di Garibaldi”, un’altra piccola di ferro ed una terza, ancor più piccola, di legno. Nel giardino ha giovani alberi e piante, aranci, limoni, mandorli, viti, fichi….. 
     
Ricciotti
A Caprera c’era quella che in Russia chiamano estate. Siamo rimasti tre giorni e tutti e tre furono sereni. Anche le sere e le notti erano calde.
Da Garibaldi abbiamo trovato un giovane segretario politico, Guerzoni, che funge ora da anello nella nuova unione tra Mazzini e Garibaldi, Basso, militare e marinaio, compagno americano di Garibaldi e i due figli di questi, Menotti e Ricciotti, oltre ad alcuni soldati e marinai garibaldini, in tutto una dozzina di persone. È una repubblica democratica e sociale. 
Non conoscono la proprietà: tutto appartiene a tutti. Non conoscono neppure gli abiti da toilette, tutti portano delle giacche di grossa tela con i colletti aperti, le camicie rosse e le braccia nude, tutti sono neri dal sole, tutti lavorano fraternamente e tutti cantano…. 
In genere questa piccola adunata a Caprera di ragazzi sani, forti e gloriosi, di cui ognuno s’è già reso famoso per qualche gesta di coraggio, mi ha rammentato le prime pagine del Corsaro di Byron. Ma tra loro sta Garibaldi, grandioso, calmo, appena sorridente, l’unico lavato e l’unico bianco in questa folla di uomini neri e magari alquanto trasandati. Egli è infinitamente buono e la sua bontà s’allarga non soltanto agli uomini ma a tutte le creature… 
In mezzo ad una lunga conversazione Garibaldi mi ha detto: “In questi ultimi tempi la vita mi è venuta a noia, io mi separerei volentieri da lei, ma vorrei morire in modo utile alla patria e alla libertà di tutti i popoli. Intendevo partire per la Polonia, ma i polacchi mi fecero dire io sarei stato inutile là e che il mio arrivo avrebbe causato più danno che giovamento. Perciò ho rinunciato. Del resto io stesso ammetto che sarò più utile a loro qui che non là. Se faremo qualcosa in Italia, ciò sarà proficuo anche per la Polonia, che ora, come sempre, ha tutta la mia simpatia”… 
È stato straordinariamente caro e gentile con mia moglie e con un’inglese che beveva non poco e aveva il naso rosso. Accompagnandoci la fece sedere su una sua barca ed essa pescò con un lungo bastone dei ricci di mare, e delle specie di fritti di mare. Il 23 siamo tornati a Genova, il 26 passando per Livorno sono giunto a Firenze e – ve lo dirò in segreto – sono già innamorato dell’Italia e ho dato la mia parola a mia moglie che in un mese parlerò italiano.

Un ricordo emozionante

La sera del giorno 23 gennaio 1864 Bakunin e sua moglie Antonia presero congedo da Garibaldi, per iniziare un altro lungo viaggio nel resto dell’Italia, che, oggi sappiamo, avrebbe cambiato profondamente il corso della storia e degli uomini. Il viaggio a Caprera, pur non avendo prodotto nulla di politicamente importante, almeno dal punto di vista pratico e immediato, non deluse il rivoluzionario russo, che conservò a lungo il ricordo di quel loro primo incontro come uno dei più emozionanti della sua vita. 
L’uomo gli era piaciuto e tra i due era subito nata una istintiva simpatia. Per tre giorni i due rivoluzionari avevano passeggiato, discusso, pranzato e cenato insieme. 
Durante le loro lunghe passeggiate alla scoperta dell’isola avevano scambiato opinioni politiche, auspicando il determinarsi di nuovi scenari rivoluzionari in Italia e in Europa. Ogni tanto, quasi per prendere fiato, si sedevano sopra un sasso a contemplare il mare, immaginando la liberazione di terre e di popoli lontani. Contrariamente alle sue abitudini, Garibaldi si era intrattenuto a conversare con il suo ospite fino a notte tarda, sempre in compagnia di un buon sigaro e di un bicchiere di vino. Il clima particolarmente mite di quei giorni, le giornate assolate e il cielo straordinariamente stellato di quelle notti, impressionarono molto i coniugi Bakunin, facendo da cornice alle loro conversazioni. 
“L’Orso siberiano” e il “Leone di Caprera”, così i due erano comunemente chiamati, si lasciarono nella convinzione d’aver posto le basi di future gloriose battaglie per la liberazione dei popoli e l’emancipazione del proletariato.
La prima tappa di Bakunin, una volta lasciata Caprera, fu Firenze. I patrioti del Granducato, alcuni dei quali legati alla massoneria, lo accolsero con tutta la considerazione che si deve all’uomo nuovo della causa democratica, a colui che può imprimere una svolta radicale alla situazione. 
In Toscana si fermarono circa sei mesi e conobbero molti esponenti dell’ambiente democratico massonico come Alberto Mario, Lodovico Frapolli, Giuseppe Mazzoni, Ettore Socci e Luigi Castellazzo. Fra una riunione e un’altra, ebbero la possibilità di visitare la città e di conoscere le sue opere d’arte. 
I tempi stavano però rapidamente cambiando e Bakunin si proponeva come l’uomo più adatto ad interpretare i nuovi bisogni e le nuove aspettative del popolo italiano. Da lì a poco tempo sarebbe nata, infatti, la Prima Internazionale dei lavoratori nella sua versione marxista e anarchica. Mazzini e Garibaldi continuarono ad essere considerati i due padri della Patria, ma il loro pensiero, pur rappresentando sempre il punto di riferimento di ogni nuova idea di progresso, diventò con il passare degli anni sempre più ininfluente e marginale. Garibaldi e Bakunin si rividero e si abbracciarono, sempre in assenza di Mazzini, ancora una volta al Congresso Internazionale della Lega per la pace e la libertà dei popoli di Ginevra nel 1867, per poi seguire le rispettive gesta solo da lontano.

 L’abbraccio

Ciò che accadde al congresso stupì tutti. Bakunin, ormai ai ferri corti con quelli dell’Internazionale (marxista), entrò nell’aula fra l’imbarazzo generale. A quel punto Garibaldi, che era il presidente dell’assemblea, non esitò a scendere dal palco per abbracciarlo fra gli applausi generali. Bakunin poté così svolgere tranquillamente il suo intervento e, nonostante le premesse, riscuotere non pochi apprezzamenti.
Nel 1870, dopo la proclamazione della Repubblica, Garibaldi corse in Francia e, alla testa di circa 20.000 volontari mal equipaggiati e nonostante le sue precarie condizioni di salute, si batté ancora una volta con coraggio contro i prussiani fino al giorno della proclamazione della pace. 
Alla notizia delle sue valorose gesta Bakunin annotò nelle sue memorie un’altra importante affermazione di stima nei confronti di Garibaldi:

Nessuno ammira più sinceramente, più profondamente di me l’eroe popolare Garibaldi. La sua campagna di Francia, tutta la sua condotta in Francia è stata veramente sublime di grandezza, di rassegnazione, di semplicità, di perseveranza, d’eroismo. Mai mi era sembrato così grande.

Intanto, mentre Bakunin, nel marzo 1864, si trovava a Firenze ed era intento ad organizzare le prime associazioni di libertari, Garibaldi iniziava un trionfale viaggio a Londra in cerca di nuovi fondi per le sue future imprese. 
Nella capitale inglese fu accolto come un eroe e fu circondato dall’affetto del popolo e dall’ammirazione di molti nobili. Mazzini, Cavour e il Re, seppur con occhi e interessi diversi, sorvegliavano entrambi da lontano. Il futuro avrebbe riservato loro strade diverse, grandi illusioni e molte amarezze. 
Il 1864, contrariamente alle aspettative dei democratici, si chiuse, infatti, con l’Enciclica di Pio IX Quanta cura con un’appendice il Sillabo, che conteneva la condanna del liberalismo, del laicismo e del cattolicesimo liberale e che confermava la supremazia della Chiesa sullo Stato. 
Per Pio IX era condannabile il principio democratico della volontà del popolo in quanto sovvertitore dei diritti divini di sovranità da parte delle legittime monarchie. Nonostante quella posizione oscurantista del papato, nel 1870 Roma divenne finalmente capitale d’Italia, ma fu il Re ad entrarvi da vincitore, mentre Mazzini era prigioniero a Gaeta e Garibaldi restava sorvegliato dal regio esercito a Caprera. 
Il socialismo anarchico nel 1800 e nei primi decenni del 1900 conobbe una felice stagione, per essere poi fu superato da quello marxista, che proprio nel 1864, sotto la guida di Carlo Marx, aveva dato vita a Londra all’Associazione internazionale dei lavoratori. Mazzini poi non fece in tempo a vedere trionfare le istituzioni repubblicane, che, come è noto, si affermarono solo ottanta anni dopo la sua scomparsa

diFabrizio Montanari

da rivista anarchica
anno 37 n. 329
ottobre 2007

 

Nello Rosselli, Mazzini e Bakunin, Einaudi, 1973;
Denis Mack Smith, Garibaldi, Mondadori, 1995;
Rivista storica dell’anarchismo, a. 5, n. 1, BFS, 1998;
Indro Montanelli – Marco Nozza, Garibaldi, Rizzoli, 1982;
Alessandro Aruffo, Breve storia degli anarchici italiani 1870-1970, Datanews, 2004;
P.C. Masini – Gianni Bosio, Bakunin, Garibaldi e gli affari slavi 1862-63, in “Movimento operaio”, 1952;
P.C. Masini, La visita di Bakunin a Garibaldi, in “Movimento operaio”, 1952;
P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani. Da Bakunin a Malatesta, Rizzoli, 1972;
Indro Montanelli, L’Italia dei notabili, Bur, 1999;
Alfonso Scirocco, Garibaldi: battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, Laterza, 2001;
Romano Bracalini, Mazzini, il sogno dell’Italia onesta, Mondadori, 1992;
Marco Sassano, L’ottocento anno per anno, Marsilio, 2000;
Arthur Lehning, Bakunin e gli altri. Ritratti contemporanei di un rivoluzionario, Zero in condotta, 2002.

Il testamento di Garibaldi

Siccome negli ultimi momenti della creatura umana il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo e della confusione che sovente vi succede, s’inoltra e, mettendo in opera ogni turpe stratagemma propaga, con l’impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze, ai doveri di cattolico; in conseguenza io dichiaro che, trovandomi in piena ragione, oggi non voglio accettare in nessun tempo il ministero odioso, disprezzevole e scellerato di un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell’Italia in particolare. E che solo in stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi a un discendente di Torquemada.

 



 

ITALIANI! Gli eventi precipitano, la bancarotta dello Stato si avvicina da un lato e dall’altro la rivoluzione procede inesorabile.” No, non è Beppe Grillo. Sembrerebbe impossibile leggere l’Italia di oggi attraverso cose scritte centocinquant’anni fa da un anarchico russo che ha vissuto nel nostro paese solo per pochi anni. Eppure negli scritti italiani di Michail Bakunin, raccolta davvero freschissima e sorprendente curata da Lorenzo Pezzica e pubblicata da Elèuthera con il titolo Viaggio in Italia (144 pagine, 12 euro), si trova molto di quello che ancora oggi costituisce l’assetto politico e culturale di questo benedetto paese.

L’anarchico russo, prima amico e poi nemico giurato di Marx e fondatore dell’anarchismo moderno si era trasferito nel nostro paese nel 1864, poco dopo l’unificazione a opera di Garibaldi e Cavour e dopo aver viaggiato, in manette, da fuggitivo o per inseguire le rivoluzioni d’Europa, dalla Russia alla Francia, dalla Germania alla Siberia, dal Giappone agli Stati Uniti. Bakunin visse a Napoli, Firenze e Ischia prima di ricominciare le sue peregrinazioni per l’Europa e infine morire nel 1876 in Svizzera. Aveva 62 anni. Il periodo italiano è fecondo politicamente, e nel libro sono raccolti saggi brevi e lettere private, oltre che una biografia di Bakunin che rende giustizia alla sua incredibile dimensione internazionale. La forma degli scritti e i temi affrontati, è spontaneo, fanno pensare a Gramsci, alle sue lettere e ai suoi quaderni in cui tutto, dalla dimensione più personale all’analisi della politica italiana era sempre legato strettamente a una capacità di descrivere in profondità le culture del nostro paese.

 

“ITALIANI! La consorteria è una classe ai cui figli vanno tutti i più importanti e lucrosi incarichi negli apparati dello Stato; anzi, è la casta statale per eccellenza. Non riconosce altra patria al di fuori della speculazione mondiale e ciascuno dei suoi membri sfrutterebbe e deprederebbe altrettanto volentieri qualsiasi paese come la sua cara Italia.” Bakunin descrive una società italiana divisa in caste impermeabili al cambiamento e restie a mollare il potere. Il meridione è frustrato da uno stato che lungi dall’impegnarsi a risollevarne le sorti aumenta i suoi problemi. Annota il modo in cui il potere viene amministrato, la forza preponderante di chi gode della rendita – che sia fondiaria o politica – e la divisione tra il popolo e gli strati più ricchi e privilegiati della società.

 

Ammettiamolo. Certo Marx esagerava quando ha definito Stato e anarchia, l’opera della maturità di Bakunin, “un’asineria da scolaro”. E poi aveva ragioni politiche per distanziarsi il più possibile dagli anarchici, che ancora insidiavano la sua egemonia sull’Internazionale. Ma il paragone con Gramsci non regge, se non nella forma e nelle tematiche che tratta: il ruolo della chiesa, la grande borghesia, i problemi del popolo. Però siamo su livelli molto diversi. In fondo Bakunin era un politico, un agitatore, un corpo e una mente in balìa del susseguirsi delle rivoluzioni che attraversavano il continente. Le parti migliori di questo libro sono quelle in cui racconta gli incontri con Mazzini e con Garibaldi, in cui emerge la rabbia con cui perseguiva lo scopo della giustizia sociale. Gramsci arriverà più di mezzo secolo dopo. Di Mazzini e di Garibaldi non ne esistevano più. A pensarci bene non è che oggi se ne vedano molti in giro. Forse questo libro va letto per capire l’Italia appena unificata. Quella di oggi è troppo deprimente.



Nel gennaio1864Bakunin viene in ItaliaMazzini e Saffi241 – che ha conosciuti in Inghilterra e che lo sanno un ferventedemocratico – gli hanno procuratobiglietti di presentazione per gli uominipiúinfluenti della Sinistra242.

GenovaincontraAgostinoBertani, che piútardigiudicherà una delle teste migliori del partito d’azione243e che ora gli facilita una gita a Caprera per conoscereGaribaldi244.

Giungeinfine a Firenze e vi si trattienefino all’agosto. Di questo primosoggiorno in ItaliaBakuninapprofitta per maturaredefinitivamente il suo programmasocialefino allora ha dedicatogranparte della sua attività alla battaglia per la libertà in Russia e per il dirittonazionale in Polonia; adesso si trova in un paese che, risolto il problema delle libertàcostituzionali e della indipendenzanazionale, è ben lungi dall’avere raggiunto un definitivoassestamento; un paese in cui la rivoluzionepolitica non è stata affatto seguita da un progressoimmediato, visibile, della maggioranza della popolazione. L’osservazione di questo fattoesercita una decisivainfluenza sul suo spirito.

Firenze egli annoda numeroserelazionispecie nell’ambientedemocraticomassonico; conosceAlbertoMarioLodovicoFrapolliLuigiCastellazzoBeppeDolfiGiuseppeMazzoniEttoreSocciAndreaGiannelli, Berti Calura, De GubernatisrivedeLudmillaAssing. Frequenta quel circolo di scienziati positivisti, che si raggruppa attorno ad UgoSchiff e ad AlessandroHerzen (figlio del rivoluzionariorusso suo intimoamico) e che allora, in Firenze, è molto in vista245.

Vuol farsi un’idea del valore dei partitipoliticiitaliani, soprattutto di quello di sinistra, che è il piú vicino alle sue idee. «Presso noi – scrisseAndreaGiannelli – Bakunin fece tesoro della sua amicizia con G.Mazzinialtamentelodandone le qualitàpolitiche tanto ch’egli riuscí ad attirare le nostre simpatie»246.

La sua prima impressione della lottapolitica in Italia non è buona. «Come vedete – scrive il 4 marzo1864agli amiciHerzen e Ogarëv – qui e in tutta l’Europa vi è un terribileimbroglio; nessuna questione viene postanettamente e chiaramente. Ma l’elettricità si vaaccumulando nell’aria e l’atmosfera ne diventa sempre piúsatura. L’uragano è imminente. Può darsi che l’esplosione avvenga piútardi, ma mi sembra che il riflusso sia finito e che stia per cominciare l’altamarea»247.

Lo urtano le tergiversazioni della Sinistra, il suo rivoluzionarismotemperato e conciliante, le mille tendenzeparticolari nelle quali si divide e che la rendonopraticamente poco efficace. Però sintomirivoluzionari nel paese ci sono, o cosí gli sembra, e tanto bastabisogneràcoltivarli e prima o poi si tradurranno in fatti.

Non sappiamo con certezza se Bakuninfosse o no ascritto alla massoneria; tra questa e le associazionipiú o meno segrete che egli creò allora e in seguito vi sono certo molti punti di contattoInoltre, si deve a lui un progettodi riforma della massoneria, che parrebbe provare la sua affiliazione248. Come Mazzini, egli spera di convertire al suo programma la potenteassociazione, la quale, secondo lui, non ad altro devetendere che alla emancipazionecompleta dell’uomo, alla costituzione di un’umanitàlibera sulle rovine d’ogni autorità249.

Il 23 maggio1866invita gli amiciHerzen e Ogarëv a lasciare «l’ideaassurda ch’io sia iscritto alla frammassoneria. Forse la frammassoneriapotrebbe ancora servirmi da maschera o da passaporto, ma il cercarviun’occupazioneseria sarebbe, per lo meno, puerile quanto il cercarconsolazione nel vino»250. Smentita cui si oppongono le testimonianzefiorentineabbastanzaesplicite. Il De Gubernatisafferma che egli «avea pur dovutopassarvi (nella massoneria) perché gli forniva il modo di preparare altro»251; e il Giannelli, che «aveva fiducianella massoneria in genereera esso stesso massone, ma s’ingannavaritenendo che cotesta istituzione, guidataallora dal Frapolli in Italia, potesse neppure minimamentegiovareaccettare od appoggiare le sue ideenichiliste»252Era, dunque, assai probabilmentemassone; forse, come autorevolmente suppone il Nettlau253, lodivenne a Firenze, con la speranza di acquistare in tal modolargheaderenze nell’ambientedemocratico e specialmente nella frazionemazziniana, allora in strettissimi rapporti con la massoneria254. Quello stato d’animoche Mazzini, col suo apostolato di trent’anni, aveva creato in molti giovani delle classimedie e in qualche operaiointelligenteera quello stesso sul quale poteva contareBakunin per la divulgazione della sua dottrinasociale in formazione.

Celebre per la fuga dalla Siberia, ammirato come irriducibile ribelle e veterano delle battaglie per la libertàdi tutti i popoliBakunin si mette dunque in contatto con gli elementipiúintelligenti e spregiudicati dell’estremaSinistra. Con i quali, massoni o non massoni, egli aveva già molti principî e molte idealitàcomuni; e intanto,fondamentali, la sensazione che il paese non avesse davveroraggiunto un assettodefinitivo; l’aspirazione in essi piuttostovaga, ma generalmentecondivisa, a una riformaprossima o lontanatotale o parziale, ma pur sempre a una riforma sulle basipolitiche e sociali dello StatoitalianoInoltre la convinzione che, nel rapidorivolgimentoche aveva portato alla formazione dello Statounitario e posto le fondamenta della prosperità della borghesia, troppo poco posto si erafatto ai desideri e al soddisfacimento dei bisogni, anche se inavvertiti o inespressi, delle classipovere; e perciò la volontàpiú o meno costante e spontanea, di andareincontro a quelle classi e di curarnel’elevazionemorale e materiale e di inserirle – per la prima volta nella storia – come forzecoscienti nella vita della nazioneTerzo e non ultimopunto di contatto fra loro la visione dell’avvenireeuropeo, che, pur prospettato sotto forme tutt’altro che identiche, si accordava nella comuneaspirazione a vederrispettate e promosse le libertànazionali dei singolipopoli. Alcuni fra quei democratici – citeròBertaniMario e Macchi, che ebbero tutti, in quegli annirelazioni con Bakunin – eran poi convintifautori del federalismo, come di quel principio che, intelligentemente applicato, avrebbe potuto rigenerar l’Italia e guarirne tanti malidovuti alla scarsaomogeneità dei suoi abitanti e alla affrettata unificazione; e ciò valeva a creare fra essi e Bakunin un terreno di facileintesa.

Ma tra il russo e una buonaparte dei democraticimilitanti italiani v’era ancora un altro elemento di accordodestinatodate le circostanze, ad avere la piúgrandeimportanza: la concezionereligiosa. Dal ’48 in poi la lotta per l’unità e l’indipendenzaitaliana si eraidentificata, almeno in parte, con una vivacissimacampagna contro il poteretemporale dei papi, che per il fatto stesso della sua esistenza e per la sua funzionepoliticacostituiva uno degli ostacolipiúgravi al raggiungimento degli obiettivinazionali; ma non soltanto contro il poteretemporalebensícontro il cattolicismoufficiale che consacrava, insieme a quello, la legittimità degli Stati e di tutto un assettopolitico il cui abbattimento eracondizioneindispensabile alla unità.

Il nostro Risorgimento, insomma, se non nelle premesse, certo nei mezziusati ad attuarlo e negli immediatiresultati, fu pienamente avverso alle esigenze del cattolicismo e noi lo vediamooggiimpostato – o cosí ci sembra – come uno sforzo di liberazione dal conservatorismo antiunitario della Chiesa.

Gli uomini che avevano abbracciato il programma di Mazzini o di Cattaneo o comunque contribuito allaformazione dell’Italia eran perciò, in notevolemaggioranza, dei ribelli anche nel camporeligioso; e, o si limitavanoa voler la distruzione del poteretemporalepronti, poi che si fosseottenuto questo intento, a far atto di ossequioall’autoritàspirituale del pontefice; o rilevavano la insufficienza della religioneufficiale, sognandone una nuovapiúadatta alle necessità dello spiritomoderno, che integrasse l’insegnamentocristiano; o, sordi ad ogni concezionespiritualistica della vita, si disinteressavano del problemareligiosolimitandosi a ribadireripetutamente il loro anticlericalismo; o, infine, a riflesso di un nuovomovimentofilosofico e scientifico che si andavaaffermandosempre piúvigorosamente fuori d’Italia, si accostavano a quella concezionepositivistica che sembravacorrispondere, nel campospeculativo, alla tendenzaemancipatrice, allora trionfante in quello politico.

Questi uominiformatisi nelle battaglie del periodo1848-59 erano poi gli stessi che riempivano la scenapolitica del decenniosuccessivo che può dirsi che le primefondamenta del nuovoedificionazionalecostruitosui detriti dei vecchiregimi vennero gettate da una generazionecomposta in buonaparte di elementi che con la religioneufficiale avevano tutti qualche conto da saldare, e molti addirittura con qualunque disciplina e concezionereligiosa.

La religiosità del Mazzini non solo non riusciva ad attirare questi transfughi del cattolicismo, ma neanche a permeare di sé la maggioranza dei mazziniani; molti dei quali seguitavano a professarsi tali, pur discordando dal maestro nel puntocentrale, anzi in quel che era il verodeus-ex-machina di tutto il suo sistema. Il positivismoinvece presesaldaradice in Italia proprio negli anniimmediatamentesuccessivi al ’60, coincidendo con un intensorisveglio di attivitàscientifica.

Accanto a Cattaneo – discepolo di Romagnosi – che in ogni campo della sua sconfinata attività aveva portato lo stesso metodo di indaginespassionata e realistica, lo stesso spiritolucido e concreto e che, col suo Invitoalli amatori della filosofia (1857) – esortazione ad abbandonare lo sterileastrattismo per dedicar l’ingegno allo studio e all’incremento delle scienze – aveva dato in certo senso la squilla al movimentopositivistico italianotroviamo il Ferrari, solitario pensatoreteorico del fenomenismo, per tanti punti nei suoi studistorici e filosoficiprecursore del nuovoorientamentospirituale; il Macchi, formatosi alla scuola del Cattaneorazionalistaconvintoed assolutofervidopropagandista delle sue ideeAlbertoMariofedeleseguace del programmapolitico diCattaneo e liberopensatoreAusonioFranchi, transfuga del cattolicismoteorico di un razionalismo integrale e fondatore del giornale «La Ragione» (1854-57) e poi PasqualeVillari, il TrezzaAristideGabelli e NicolaMarsellinomiillustri o nella storia o nella filosofiateorici del positivismo. E, dietro a loro, tutta una schiera di pensatori e di scrittori di secondagrandezzaattivissimi nella divulgazione dei risultati del nuovoindirizzoscientifico: come LuigiStefanonitraduttore di Feuerbach, di Büchner, di Herzen, di Fontenelle, oltre che mediocre ma vivacecultore di studistorici e politiciFilippo De BoniLevinoRobecchiGuidoBazzoniGiuseppeRicciardiLuigiBertagnoni e moltissimi altri, ai quali si deve una fervidissima propaganda del liberopensieropropaganda che si estrinsecava nella fioritura di numerosissimesocietà di liberipensatori255, promotrici di conferenzeriunioni,pubblicazionivarie e giornali. Fra questi ultiminotevole «Il LiberoPensiero» (tramutatosi poi nel «LiberoPensatore») che si pubblicò prima a Parma, poi a Firenze e a Milano dal 1866 al 1875.

Nelle Università, intanto, nei gabinetti scientifici trionfava l’indirizzomaterialistico di quasi esclusivaimportazionestranieraBasteràricordare il Moleschott, lo Schiff, lo HerzenCesareLombrosoSalvatoreTommasi. Il clamoredestato dai loro studivaleva a dare a tutto il movimento del liberopensiero, che dei risultati di quegli studi si faceva divulgatore, generalizzatore ed esageratore entusiasta, un tono di vivacità e nello stesso tempo di serietà che gli conciliavano sempre piúlargasimpatia e adesioni.

Le file democratiche si eran lasciateprofondamentepermeare da questo nuovospirito tanto che si può direche, fra di esse, quelli che n’eran rimastiestraneiformavano una piuttostoesiguaminoranza. Lo seguivaperfino – e con quanto fervore – il caporiconosciuto del movimentodemocraticoGiuseppeGaribaldi; il quale, movendo da un anticlericalismoistintivo ed ostinatissimo, che non di rado lo portò a trascendere ogni limite negli attacchiquotidiani alla religioneufficiale dello Statoeragiunto a un suo culto della ragione che, per esser teoricamentevago e indistinto, non per questo era meno saldo e ribadito e ostentato.

In questo ambiente di mazzinianiortodossi e di mazzinianidissidenti sul problemareligioso, di positivistimisurati e serii, di materialisti, di razionalisti e di liberipensatori tra i quali si potrebbe distinguere tutta una gamma di interpretazioni e di atteggiamentidiversi che andavano dalle logichededuzioni delle nuovecorrentiscientifiche a una giovanilesuperficiale ribellione contro la visionetradizionale dei sommiproblemi, si infiltrò il decisoateismo di MicheleBakunin.

Resosi conto delle tendenzeprevalenti nella Sinistrademocratica, il russo, insinuandovisi, lavoròsoprattutto su quei puntiintorno ai quali esistevan già evidentipossibilità di accordotentando cioè di sfatare le illusioni sulle possibilità di una lentariforma in sensodemocratico della costituzionepolitica e di sostituire alblando rivoluzionarismomazziniano la sua idea di rivoluzioneesclusivamentesociale, non italiana, ma europeabasata sull’immediatoraggiungimento di un generalelivellamento di classidimostrando la inanità del movimentooperaio quale eraandatofino allora svolgendosi e la necessità di pensare a una organizzazionegenerale di tutta la massalavoratricecriticando il concetto di unità quasi forzataautoritaria, perché d’ispirazionedivina, che eracentro della dottrinamazziniana, e dimostrando ai federalisti che il loro principioandavaapplicato non alla solaorganizzazionepolitica del paese, ma al disegno di una riformatotalitaria nella costituzione della societàumana; facendo leva sull’atteggiamentolibertarioassunto da moltissimi democratici di fronte al problemareligioso e sostenendoessereillogico e irrazionale non mantenerlo di fronte a ogni altro problemaspirituale o materialeindividuale o collettivo.

Con questa operapersonale di persuasioneBakunin si riprometteva di formare una élite di uominiintelligenti e attivi che costituissero lo statomaggiore dei prossimimotisocialiEra un lavoropreparatorio lento e paziente, ben difficileoggi a documentare. Poiché non in altro consisteva che in conversazioni, riunionisegrete e poco numerose, nelle quali si preparavano vastiprogettidestinati a crollare al primocontatto con la realtà; non ne poteva restarericordo che negli scritti di Bakunin e in quelli dei suoi primiseguaciitaliani: ma Bakunin è statosingolarmenteparco di notizie su questo periodo della sua attività; gli altri, che allora subirono il suo fascinopersonale e si lasciaronoandare a entusiasmi presto sbolliti ed a promesse presto ritirate, ne parlarono, in seguito, il meno possibile. Ci restano, è vero, alcuni manifestiprogrammiprogetti; ma bisogna dare a questi documenti unvalore molto relativodietro di essi non c’è che un’ombra di quel vastomovimento che vorrebbero rappresentare. La grafomania fu una tra le caratteristiche di Bakunin: e chi, dall’abbondanza di statuti e progettiarguisse una largafortunata propaganda, sarebbe quanto mai lontano dalla verità.

fruttiimmediati dell’attivitàbakunistica in Italia, tra il ’64 e il ’67, furono in realtàscarsissimi. Ma era la prima volta che agli occhi di molti, avvezzi a considerare il mazzinianismo come la soluzionepiúrivoluzionariapossibile dei problemiitaliani, si apriva un orizzontenuovo e, almeno in apparenzainfinitamentepiúvastoMazzinierastatoconsiderato da tutti, in Italia, come il rivoluzionarioper antonomasia. A lui si erano accostati tutti quei giovani – dei quali l’Italia ha sempre avuto dovizia – che, assillati dalla volontà di agire, bramavano di sfogarein qualche modo quel bisogno di novità e di opposizione all’ordinecostituito che è comune e naturale nella gioventú; tutti quei giovani che, tra i recentissimi ricordi delle cospirazioni, delle rivolte, dei martiri, degli eroismi, si erano educati a sognare una vita di avventure, di gloria, di sacrificio ed erano pronti a buttarsi in questa correntepolitica che promettesse piúnovitàpiúmutamentipiúrumoroso impiego della loro quasi sempre effimera, ma pur sempre impetuosainquietudine.

Qui sta tutta l’importanza della propaganda di Bakunin. Il quale inizia una campagna contro Mazzini non dal consuetopunto di vista dei conservatori o dei moderati, dei costituzionali o dei cattolici, ma da quello ultrarivoluzionario; affrontaMazzini sul suo stesso terreno di lotta e mostra ai giovani non quello che egli dice diessere, ma quello che – secondo lui – egli è in realtàinsufficiente, tiepido, dogmatico e, quanto al nascentemovimentooperaio, prodigo somministratore di soporiferi di pretta marca borghese.

Alcuni giovanirestanoscossi da questa propaganda e inclinano ad accogliere il novissimo verbo, che apretutte le possibilità e non preclude nessuna via alla loro smania rinnovatrice. Altri, turbati anch’essi, oscillano ormaiincerti tra il socialismorivoluzionario e il mazzinianismoincapaci di una risoluzionenetta e definitiva256.

 

Nell’autunno1864compiendo un breveviaggio in InghilterraBakunin s’incontra a Londra con CarloMarx. I due uomini sono divisi oltre che da divergenti vedute e oppostitemperamenti, da acri questionipersonali; ma finiscono con l’intendersi per la lotta contro Mazzini in Italia e, in generale, per la diffusione della neonataInternazionale.

Sui primi di novembre il russo è di ritorno fra noi. Ha anche ricevuto l’incarico di consegnare a Garibaldil’indirizzoinaugurale dell’Internazionale257. A Genova gli è facileintrodursi nell’elementooperaiograzie a un biglietto di Mazzini a FedericoCampanella: «Di’ a Mosto che andrà a cercarlo un amico mio russo con la moglie: che mi preme sia ben accolto dai nostri; che lo facciaconoscere ai coniugi Sacchi e Casaccia per gli operai… Starà pochissimo in Genova. Questo russo ti darà una prima letterarussa, in francese. È lavorointeressante assai»258.Bakunin si serve dunque di Mazzini per iniziare i suoi contatti con l’elementooperaio, quando già a Londra ha concordato con Marx l’azioneantimazziniana!

Da Genovaritorna a Firenze. Qui, sul cadere del 1864getta le basi di una societàsegreta, che ora è dettaAlleanza della democraziasocialistaoraSocietà dei legionari della rivoluzionesocialeitalianapiúspessoFratellanza. La nascita di questa societàsegretacoincide, per il tempo, col precisarsi nello spirito di Bakunin delle nuoveteorierivoluzionarie; egli ha bisogno di concretare il suo pensiero, di tradurlo immediatamente in azione, perché ormai non ha fede che «nella rivoluzione fatta dal popolo per la sua positiva e completaemancipazionerivoluzione che costituirà l’Italialiberarepubblica di libericomuni nella liberanazioneliberamenteuniti fra loro». Cosíscrive il 7 febbraio1865259.

In un altro scrittoBakunincosíchiarisce gli scopi della Fratellanza: «Bakunin, con alcuni amiciitalianifondò un’alleanzasegreta soprattutto come mezzo per combattere l’Alleanzarepubblicana, che Mazzini avevafondato poco innanzi con una tendenzateologica e un finepuramentepolitico». La Fratellanza fu insomma «creatacome affermazione del socialismo in contrapposto al dogmatismo religiosopolitico di Mazzini»260.

Il programma della Fratellanza si compone di dodiciarticoli che contemplano l’abolizione del dirittodivino, la rinunzia ad ogni propagandanazionale, la libertà dell’individuo nel comune, la liberafederazione dei comuninella provincia e nella nazione, l’abolizione dell’attualedirittopubblico e privato, l’eguaglianzapolitica di tutti i cittadini, l’abolizione di ogni privilegio, e quindi l’emancipazione del lavoro dal capitale, la proprietà della terra ai contadini e degli strumenti del lavoro agli operai261. L’eguaglianza e la libertà sono i prepotentibisogni, l’aspirazionepiúalta di tutti gli uomini e verranno raggiunte «con la forzaselvaggia e legittima del popolofinonelle loro ultimeesplicazioni»262. Pochi legionari, la cui personalità sarà circondata dal piúprofondomistero, ai quali sarà solennementevietato di mettersi in comunicazione gli uni con gli altri, devono esser messi a parte di questo programma e diventarne propagandisti. I componenti il Comitatocentralesupremodirigentedovrannoanche procurarsi tutte quelle nozioni militari che li mettano in grado di guidareeventualimotiarmatiPenetremende sono comminate ai traditori, agli apòstati, e una severitàgrandissimadevepresiedere alla accettazione di nuovifratelli.

Di questa societàsegreta qualche notiziaAngelo De Gubernatis che fu tra i primi, a Firenze, a subire il fascino di Bakunin e che, per dedicarsi alla propaganda e per adattare la sua vita ai nuoviprincipîrivoluzionari, volle rifiutare ogni privilegio e presentò le dimissioni da professoreuniversitario (ben presto però si pentí del suo entusiasmo e tornò ai piúpacificistudi del sanscrito): «si doveva fra lui [Bakunin] e me stabilire un cifrariomisterioso ch’egli ed io soli avremmo dovutoconoscere… Prima di esserericevuto nel consesso, sarebbe statonecessario che, in casa del fornaioBeppeDolfi, io mi sottoponessi a un interrogatorio il quale sarebbe fatto da uno dei triumviri della Repubblicatoscana del 1848GiuseppeMazzoni di Prato»263. De Gubernatis si trovava allora in uno stato d’animo di esaltazionegiovanile per cui sarebbe statoriconoscente a chi gli avesse offerta «un’occasionedi morir presto, di morirbene, di morir solo, rumorosamente, per tutti»264. La dottrina di Bakuninrispondevapienamente a queste sue ingenue aspirazioni.

Non appena cominciò a lavorare, il suo entusiasmo si raffreddò: «vedevointorno a me solo generaliavidi di comando e nessun soldato». Ma era quello appunto il programmainiziale di Bakunincreare una minoranzadirigente e comunicarle la scintillarivoluzionaria: le masse sarebbero venute poi265.

Quanti e chi furono i primiaffiliati? De Gubernatis non  che notizievagheparlando quasi sempre di sé. Egli rammenta un’assembleatenuta a Firenze, a cui preseroparte una trentina di fratelli e accenna, abbiam visto, a Dolfi e Mazzoni, come a personaggiinfluenti; ma il bakunismo di questi due mazziniani non dovetteessere di lungadurata; in casodiverso, ne sarebbe rimasta qualche altra testimonianza. Certo è che molti mazziniani si avvicinarono a Bakunin per impulso proprio e, fors‘anche, per incoraggiamento di Mazzini stesso che non poteva supporre che il russoperseguisse lo scopoprecipuo di scalzare il suo prestigio in Italia. Lo confessaAndreaGiannelli, ma aggiunge: «fu cosa minima». Si rammenti però che Giannelliscrive parecchi annidopo, quando non dovevaesserepiacevole per un mazzinianoammettere che alcuni tra i piúinfluenti del partito, e Mazzini stesso, s’eran lasciatiingannare da Bakunin e lo avevano aiutato a creare un organovolto, in sostanza, a combattere il mazzinianismo. Anche il Giannelli, del resto, «pur disputando continuamente con lui», rimase «suo personaleamico»266.

Ad ogni modo, non sembra che la Fratellanzaincontrasse soverchia fortuna a Firenze. Tanto che Bakuninnella primavera del 1865lasciò questa città, trasferendosi nei dintorni di Napoli.

Debolitracce della influenza da lui esercitata nell’ambientedemocratico in Firenze si posson forse ravvisarenella fondazione del settimanale «Il Proletario», che vi iniziò le pubblicazioni il 20 agosto1865diretto da NicolòLo Saviomassoneamico del Dolfi267, insegnante di economiasociale nelle scuole della Fratellanzaartigiana.

«Il Proletario» è interessante soprattutto perché si rivela come un quid medium tra il mazzinianismo e il socialismo.

Sul troncomazziniano (fiduciasmisurata nell’associazioneoperaia, nella cooperazione, inviolabilità del principio della proprietàprivata), «Il Proletario», giornale «economicosocialista per la democrazia», innestò infatti qualche principio di provenienza bakunisticaprimopunto, non fece mai parola del problemapoliticoinoltresostenne apertamente il concetto della societàdivisa in classiantagonistiche, la necessità di uno sforzotenace da parte della classeoperaia per raggiungere la propria emancipazione senza l’aiuto della borghesia; e infineaffermòche la ricostituzione sociale avrebbe dovutobasarsi sull’eguaglianza di tutti i cittadini.

Forse perché «Il Proletario» non si occupava di politica, le autorità non lo videro di malocchio, lo lasciaronotranquillamenteprosperare fino a raggiungere un 1500abbonati e poi (7 gennaio1866morire di mortenaturale268.

Gli scarsisuccessiincontrati nell’ambientedemocraticoitalianoimpressionarono assai pessimisticamenteBakunin sugli uomini del partito d’azione. Questo pessimismo si mantiene per tutto il 1865 e il 1866: la nostrademocrazia non è buona che a parole; in praticaimpotente, supinamente asservita non alle idee ma alle persone dei suoi campioniMazzini e Garibaldi.

«Che malinconica cosa questa democraziaitaliana – scrivescoraggiatoBakunin nel novembre ’65. – A malapenariunendo tutte le sue ricchezzeintellettuali, essa riuscirà a mettere al mondo un’ideapretendeviveresempre di sentimento, d’istinti e di non darsi che delle arie di bravura. Tutto questo non va. Bisogna pensare, se si vuol progredire. Ma in questo paese, che  la mano al papapare si sia messo il pensiero all’indice. La democraziaperciò si trova qui (a Napoli) come dappertutto in Italia, in uno stato di prostrazione, di ristagnodifficili a descriversi, e di equivococronico e perpetuo»269.

La gioventúborgheseitaliana è infinitamentepiúarretrata di quella d’altri paesi e assolutamenteinadeguatoè in Italia lo sviluppo della scienza: solo pochissimi seguono quelle correntiscientifiche che, trasportate nel campoeconomico e filosofico, trionfano all’estero e formano la base e la conferma del socialismo.

Inviando agli amiciHerzen e Ogarëv i programmi della FratellanzaBakunin si scusa dei troppi particolarisuperflui che essi contengono. «Ma ricordatevi – spiega – che ho scritto questo programma in ambienteitaliano in cui evidentemente le ideesociali sono quasi sconosciute»270.

Si è formata in Italia una consorteria la quale, impadronitasi di ogni impiegolucroso, taglieggia il paese. Meno di cinque anni di indipendenza sono «bastati» egli nota «per rovinare le sue finanze, per precipitare tutto il paese in una situazioneeconomica senza uscita, per uccidere la sua industria, il suo commercio»: e, quel che duolesopra ogni altra cosa, per distruggere nella gioventúborghese quello spirito di eroica devozione che per piú ditrent’anni ha servito di potenteleva a Mazzini271. I repubblicani si sfogano ad attribuire ogni malanno al governomonarchico. Ma la colparicade tutta sulla borghesia, che in Italia è nella piúcompletadecadenza. In nessun luogoci si può renderconto altrettanto chiaramente del vuoto che nasconde il principio della rivoluzioneesclusivamentepolitica. In nessun luogo è piúarbitraria la identificazione che comunemente si fa di «rivoluzionario» e di «patriota».

Napoli o in quel di NapoliBakunin si trattienefino al settembre del 1867; e impiega tutto il suo temponella propaganda a favore della Fratellanza che gli sta molto piú a cuore dell’Internazionale.

Anche qui i primiresultati non sono troppo brillanti. Scrive il Giannelli che le cose non gli vannomeglioche a Firenze; «non è affatto vero che gli affiliati alla Falangesacra si fossero lasciatipersuadere da lui»272.

Bakunin si insinua nell’ambientedemocratico-massone e avvicina soprattutto giovanigaribaldinigiovaniromantici sui quali lo spregiudicatoradicalismo del rivoluzionariorussoesercita una veraattrazionegiovaniscontenti, ché la patria non ha piúbisogno di loro, e anzi rifiuta i loro servigi e teme le loro agitazioni: essi cominciano ad intravedereideali che presuppongono la già compiutaunità e indipendenza della patria e che della patriasuperano i confini.

Tra le primeconoscenze del Bakunin si ricordano GiuseppeFanelli273SaverioFriscia274deputati al Parlamento; l’avvocatoCarloGambuzzi – che abbiamo trovatomazziniano al recenteCongressooperaio di Napoli275 – TucciDramis, De LucaMiletiSebastiano di Lucca276.

S’intende che giovano assai al Bakunin, in questi primicontatti, le relazionifinoraottime, che egli mantiene con Garibaldi.

Il fogliogaribaldino «Il Popolo d’Italia», che si stampava a Napoli sotto la direzione, allora, di GiorgioAsproni277aprí – secondoassicura il Giannelli – le sue colonne alla collaborazione di Bakunin; il quale vi stampò«alcuni articoli sulla moraleintesa a suo modo». Erano scritti in francese e furono tradotti in italiano dalla Asstinge dal Giannelli stesso278.

La sua propaganda nel Mezzogiorno d’Italiasembravasingolarmentefavorita dalle condizioni di quelleregioni, affatto arretrate sotto il punto di vista dello sviluppoindustriale, senza grandicentrioperai (unicaeccezioneNapoli), ancora profondamenteturbate dal grandesconvolgimento del 1860. Le simpatie di Bakunin non si rivolgono affatto alle masseoperaie della grandeindustria, use alla disciplina e alla compattezza, ossia allamancanza di libertà, a quelle masse cui non ripugna l’idea dello Stato, sia pure di uno Stato di lavoratori. Il suo cuore è tutto per le grandimasseagricoleforti di un secolaremalcontentoproclivi, nella loro ignoranza, a quei mezzi di lotta che il suo romanticismo socialetrova i piúsani e i piúproficui. La politica non interessa i contadini, ma basta una scintilla per far prorompere il loro odio contro il proprietario, il borghese, la città. Ecco quel che Bakuninscrive nel 1870, esaltando il rivoluzionario «in potenza» che si cela sotto i cenci di ogni contadinoitaliano: «Risvegliate soltanto l’istintoprofondamentesocialista che è sopito nel cuore di ogni contadinoitaliano; rinnovate in tutta l’Italia, ma con un finerivoluzionario, la propaganda che il cardinaleRuffo aveva fatto inCalabria, sulla fine del secoloscorsogettatesoltanto questo grido: la terra a chi lavora con le sue braccia! e vedrete se tutti i contadiniitaliani non sorgeranno per fare la rivoluzionesociale»279.

Il contatto con la borghesia ha rovinato gli operaiaffermaBakunin; il patriottismo dei borghesi li ha contaminati; e forse egli ha presente la grandeSocietàoperaia di Napolidominata da elementidemocraticiborghesi, che ha fattovoti per la liberazione di Roma e di Veneziaprobabilmente gli amicinapoletani lo hanno informato dell’andamento di quel Congresso di Napoli, che ha ripetuto le mille volte agli operaiessere loro primodovere la liberazione delle province ancora soggette allo straniero. Il patriottismo è un veleno, che Mazzini eGaribaldi hanno inoculato negli operaiitaliani: i quali «sono schiacciati sotto il peso di un lavoro che basta appena a nutrire loro, le loro donne, i loro fanciulli, maltrattati, malmenati, morenti di fame, e spintidiretti, lasciandositrascinareciecamente dalla loro borghesiaradicale e liberaleparlano di marciare su Roma, come se dal Colosseo e dal Vaticano possano venir loro la libertà, il riposo e il pane… Queste preoccupazioniesclusivamentepolitiche e patriottiche sono molto generose, senza dubbio, da parte loro. Ma bisogna anche confessare che sono moltostupide»280. – Il veleno del patriottismoborghese non è penetrato invece nelle masseagricole che queste serbanointatto l’istintorivoluzionario: «Sotto il rapporto della rivoluzionesociale, si può dire che le campagned’Italia sono anche piúavanzate delle città»281.

Bakunin è in ordine di tempo il primo in Italia che si occupi delle masseagricole del Mezzogiorno, senza considerarle strumenti di reazione e non deplorando l’avvenutaunificazionenazionaleMazzini non ha mai pensatoseriamente ai contadiniitaliani. Anzi Bakuninricorda quel che Mazzini gli rispose, a Londra, una volta che egli gli osservò esser necessariorivoluzionare i contadiniitaliani. «Per ora nulla vi è da fare nelle campagne; la rivoluzionedovrà farsi prima esclusivamente nelle città; poi, quando l’avremo fatta, ci occuperemo delle campagne282.

Ma non bisogna dare troppa importanza alle paginevibranti di entusiasmo che Bakunindedica ai contadiniitaliani; le parolerimaseroparole; gli incitamenti alla rivoluzione non conquistarono che un piccoloentourage di giovanotti borghesi e, in un secondotempo, di operai e d’artigiani.

Fino a tutto il 1865Bakunin poté svolgeretranquillamente la sua attività, senza incontrareresistenze troppo gravi: troppo modesta ancora per destarepreoccupazioni nell’ambienteborghese e nelle autorità, essa si giovavadel fatto che il mazzinianismo non era mai penetrato a fondo nel Mezzogiorno; non si trattava perciò tanto discalzarlo o, per dirla con Marx, di minargli il terreno, quanto di prevenirlo nella diffusione di un programma di rinnovazione sociale che alleasse al proletariatoelementiintelligenti e disinteressati della borghesiapronti a sacrificare all’emancipazione di quello i privilegitradizionali della loro classe.

Ma sul cadere del 1865Mazzinicompreso della necessità di trovare una piúlargabase al suo movimento e forse anche avvertito del lavorio che Bakuninandavacompiendo, si accinse precisamente a intensificare lapropaganda nel Mezzogiorno. «Mi son dato con volontàferocesuperiore alle mie condizionifisiche a conquistarci, con intenzionipratiche, il Mezzogiorno», scrive, il 2 dicembre1865, a FedericoCampanella283.

Se ne sente il contraccolpo nelle lettere di Bakuninpurtroppo quasi unicoinsufficientissimo documento di una attività che, per tanti rispetti, meriterebbe d’essere un poco piúnota.

marzo1866: «L’Italiaunificata si sfascia. L’opposizione contro il governo si accentua di piú in tutte le province. Il deficit, la paura di nuoveimposte, il ribasso dei terreni, l’oppressione e i cavilli della burocrazia, l’arrestarsi di tutti gli affari, tutto questo, riunitoprovoca, finalmente, una irritazione nella popolazione ed eccitaanche i piúindifferenti, i piúapatici»284.

19 luglio1866: (quando già Mazziniriprendendo la intransigenzarepubblicana, ha fondato la suaAlleanza) «Sono statoobbligato a lavorareenormemente, soprattutto contro le idee e le passionicosídettenazionali, contro l’odiosa teoria del patriottismoborghesediffusa da Mazzini e Garibaldi. Ma, dopo un penosolavoro di tre anniconsecutivi, comincio ad ottenere dei risultatipratici… La maggiorparte delle organizzazionimazziniane dell’Italiameridionale, della Falangesacra, sono passate dalla parte nostra». E piú oltre: «soprattutto nell’Italiameridionale, il bassopopoloaccorre in massa verso di noi, non ci mancadavvero la materia prima, mapiuttostomancanouominiistruiti e intelligenti che agiscano con franchezza e che siano capaci di dare una forma a questa materia prima. Il lavoro da fare è enorme; gli ostacoli da superareinnumerevoli, le risorsefinanziariemancanoassolutamente. Nonostante tutto, nonostante questo importantediversivo militare (la guerraantiaustriaca), non ci perdiamo di coraggio, non manchiamo di pazienza. Certo bisogna averne una doseabbondante, ma, per quanto con lentezzapureprogrediamo tutti i giorni… In un manifestoindirizzato ai suoi amicidi Napoli e di SiciliaMazzini mi denunciòformalmente, sempre dandomi il titolo di il mio illustreamicoMicheleBakunin285. Non eracomodissimo per me; la denunzia poteva compromettermi sul seriovisto che le falangimazziniane, soprattutto in Siciliaabbondano di spiepagate dal governoitaliano. Per mia grandefortunaquest’ultimo non si rende ancora conto del movimentosocialista nel paese, e non nutre perciò timori al riguardoDecisamente, ciò dimostra la sua grandebestialità, perché dopo il naufragio che hanno fatto in Italia i diversipartitipolitici, e la fine delle loro idee e dei loro scopi, non resta in questo paese di vitale e di possibile che una forzasola: la rivoluzionesociale»286.

L’ottimismo che traspare dalle parole di Bakunin è in connessione col crescentesviluppo della suaFratellanza. La quale, diffusa, se pur debolmente, in tutta Europa, ha messoradici anche nell’Italiameridionale. La frase «il bassopopoloaccorre in massa verso di noi» è piú l’espressione di un desiderio che della realtà; ma non v’èdubbio che qualche nucleo della Fratellanza venne fondato in quegli anni nel Mezzogiorno, come dimostra una circolarediretta da una sezionepalermitana ad altre sezioni287. A una sezionefondata a Napolifin dal 1866accenna una memoria della Federazionenapoletana dell’Internazionalepubblicata dieci annipiútardi288.

Si provvide anche alla necessità di un giornale che collegasse le sezioni e divulgasse le ideebakuniste: nell’ottobre1866apparve il primonumero della «Situazione», due paginette interamentescritte da BakuninConteneva uno studio sulla condizione dei partiti in Italia, l’esame della situazione del popoloitaliano, della sua miseria, della sua potenzainsurrezionale, dei suoi nemici, ossia «la Chiesa, lo Statocentralista e i suoi necessarielementi – i privilegisociali»; inoltre un attacco a fondo contro Mazzini e Garibaldi289. Il secondonumero, a quanto pare, non uscí che nel 1868, a Ginevra290.

Importante soprattutto è la presa di posizione contro Garibaldi. All’atteggiamentoapertamenteantimazzinianoBakuninerastato, in fondocostretto dalla scomunica che contro di lui aveva per primolanciataMazzini; ma l’attacco a Garibaldi – occasionato dalla sua partecipazione agli avvenimentipolitici e militari di quell’anno – costituiva per Bakunin una notevoledimostrazione di forza; egli sentiva di poter già, a tre anni appena di distanza dal suo primoarrivo in Italiasostenere una parte nel movimentodemocraticoitaliano, pur schierandosicontro il caporiconosciuto di quel movimento.

Quel che lo urta in Garibaldi è la sua leggerezza291Garibaldi infatti abbraccia con disinvoltura tutte le dottrine che mirano a un rinnovamento della vitapoliticamorale e sociale del paese: si dichiarafederalista,razionalistasocialista; ma non ne penetra a fondo nessuna e le sue dichiarazioni di adesionespessoavventate e impulsive, nuocciono alla sua serietà e danneggiano i singolimovimenti. Il suo sistematico intervento in ogni episodio della vitapubblicaitaliana, la sua mania di aderire a ogni corrente d’opposizione, i suoi equivociperenni, le contraddizioni, i ripicchipersonalirendonodifficilissima la vita del partito d’azione.

Non meno confusionario appare a Bakunin il radicalismo dei garibaldini. Egli non riesce, per esempio, a capire come tre dei suoi piúfidiseguaciFanelliGambuzzi e Mileti, pur senza sconfessare la loro fede di rivoluzionarisocialisti, possano, nel ’66, piantare i lavori della Fratellanza e correre ad arruolarsi nelle schiere dei volontari per una guerra che è a tutto esclusivovantaggio della monarchia e che tende a consolidare quello stato di cose per la distruzione del quale la Fratellanza è sorta!

 

Il governo non si rendeva conto dell’incipientemovimentosocialistaMazzini invece cominciava arendersene conto e non voleva si nominasse neppure il socialismo. «Non esprimeva che un desiderio – scriveva il 24 settembre al Campanellaalludendo a certi articolipubblicati sul Dovere» – s’evitasse un nomesocialismo, che per consenso di tutti ha un valore di sistema e di sistemi, che dànno una soluzionefalsa del problema e allarmatutta una classenumerosissima senza pro’»292. Il movimentooperaiodovevaseguire i binari sui quali Mazzini lo aveva instradato. Fuor di quelli era l’errore.

Si poteva evitare di nominarlo, il socialismo. Ma sapeva d’ingenuità da parte di Mazzini tale pretesa, mentre in tutta Europaprogrediva – come vedremo – il movimento dell’Internazionale, mentre in Italia si svolgeva, non senza qualche successo, la propaganda di Bakunin e – quel che era assai piúimportante – gli operaiinsistevanonella via delle agitazioni e degli scioperi.

Progrediva, il movimentooperaio di mutuosoccorso (le società, nel 1865salivano a 519)293continuavalo sviluppo delle cooperative (7 cooperative di produzionefondate nel 1865294, 3 nel 1866295), ma intanto, nel maggio1865, tumultuavano i lavoranti delle ferrovie in Sardegna e nelle Puglie296 e gruppi di lanaioli disoccupatiinvadevano, ad Arpino, uno stabilimento, distruggendone le macchine297 e, nel giugno, i disoccupatiinscenavanodimostrazionipaurose a Como298 e in tutto il Piemonte i cappellaiminacciavano lo sciopero e pretendevanomiglioramenti299; e agitazioni e scioperi si seguivano e si moltiplicavano di mese in mese300. A questi preoccupantisegni di malcontento della massaoperaia, altri se ne aggiungevano, che davano la misura dello statod’animo dei contadini. In moltissime località si verificavano tumulti contro l’inasprimento delle tasse: come – per limitarsi al 1865 – a Sessa (Gaeta) in aprile, a SestriLevante nel maggio, a Legnano, a Verano (Milano), ad Arluno(Milano) nell’agosto, a Brescia, ad Albenga nel settembre301.

Mazziniinformato di tutto ciò, avrebbe dunque dovuto non soltanto non tacere del socialismo, maaffrontarlo in pieno, e impegnare fin d’allora la sua battaglia per tentare di arginarne i progressi. Ma la rinnovataattivitàpoliticaassorbí tutta la sua attenzione.

SoltantoBakunincontinuava nella sua propaganda, la quale assumeva di giorno in giorno un coloritosempre piúnettamenteantimazzinianoOrmai il russo non scriverà piú due righe sull’Italia, senza cacciarvi dentrouna tirata contro Mazzini; al quale attribuisce la colpa di aver rovinato la democraziaitaliana e di avere isterilito il movimentooperaio, propinandogli gli estratti del suo sistemaaddormentatore.

 

 



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241 Di Saffi Bakunin ha una pessima opinione. In una lettera a Celso Cerretti, del marzo 1872 (in «Société nouvelle», Bruxellesfebbraio 1896), che avrò occasione di citare piú di una voltacosí lo definisce: «… una specie di sapiente mancato, un dottore di una facoltà che non esiste, il Melantone di una religione nata-morta» (M. NETTLAUMichael Bakunineine Biographie, 3 voll.18961900, I, p. 169. Di questa pregevole opera, alla quale farò continuamente ricorso, non sono state tirate che cinquanta copie a poligrafo di sul manoscritto originale).

242 M. NETTLAUMichael Bakunin ecccit., e ID., Bakunin und die Internationale in Italien bis zum Herbst 1872, in «Archiv für die Geschichtedes Sozialismus und der Arbeiterbewegung», t. II, fasc. 2-3, p. 281.

243 Cfr. un elogio di lui, non scevro di critiche, nella lettera citata a Cerretti. Al Bertani lo presentava Saffidipingendolo come un eroico patriotaBertani è pregato di fargli conoscere gli amici di Genova, di Livorno, di Firenze (A. LEVILa filosofia politica di G. MazziniBologna 1917, pp. 207sg.). Bertani contava molte relazioni nel mondo democratico socialista internazionale. Di sue relazioni con Lassalle restano tracce nell’ArchivioBertani (plico A, cart. 48; plico XXVIII biscart. 19) che si conserva nella Biblioteca del Risorgimento a Milano.

244 Di questa gita non son riuscito a trovare altra notizia. Quel che è certo è che con Garibaldi fino a tutto il 1865 Bakunin mantenne ottimerelazioniGaribaldi stesso gli procurò conoscenze e a Firenze e a Napoli.

245 M. NETTLAUMichael Bakunin ecccit., I, pp. 166 sg.

246 Lettera a Nettlau, 30 luglio 1895, in M. NETTLAUMichael Bakunin ecccit., nota 1166.

247 M. DRAGOMANOVCorrespondance de M. BakounineLettres à Herzen et à OgareffParis 1898p. 194.

248 Il progetto si trova riassunto in G. DOMANICOL’InternazionaleFirenze 1911appendice II, pp. 180-83. Cfr. anche E. ZOCCOLIL’anarchia,Torino 1907pp. 97 sg.

249 G. DOMANICOL’Internazionale cit., p. 182.

250 M. DRAGOMANOVCorrespondance ecccit., p. 208.

251 Fibrapagine di ricordiRoma 1900p. 222.

252 Lettera citata a Nettlau.

253 Michael Bakunin ecccit., p. 200.

254 Che la Sinistra in genere e la frazione mazziniana in ispecie contassero tra i loro membri una larghissimapercentuale di fratelli, alcuni dei quali pervenuti alle cariche piú elevate dell’ordine, è un fatto cosí notorio e documentato che davvero non merita conto di fermarcisi sopra piú che tanto. La posizione di Mazzini di frontealla massoneria risulta evidentissima dalla lettura del suo epistolario: non entrò mai nell’ordine, ma nutrí – specie dal ’60 in poi – ottime relazioni con i suoi dirigenti. Non solo tollerò che moltissimi fra i suoi seguaci si facessero massoni, ma a ciò li spinse, in piú casiesplicitamente; e non v’è dubbio che, per quanto non massoneinfluí spesso assai potentemente sull’indirizzo pratico dell’associazione. Tutto ciò viene oranuovamente discusso e messo in dubbio dal LUZIO nel suo ampio studio su La massoneria e il Risorgimentoitaliano, 2 voll.Bologna 1925. Ma che l’illustre storico sia riuscito con questa sua recente fatica a persuadere il lettore obiettivo della nessuna o presso che nessuna parte avuta dalla massoneria nel nostro Risorgimento, nonché del disprezzo che per essa quasi sempre avrebbe ostentato il Mazzini, non oserei asserire; i suoi volumisono un documentato testo di accusa contro le malefatte della testè scomparsa associazioneinvano vi si cercherebbe notizia di certe sue pur minime, ma innegabili benemerenze. Nel novero delle quali non esito a porre il notevole impulso dato al primo movimento operaio italiano. Sul quale argomento molto si potrebbe discorrere, se lo permettesse l’indole di questo lavoro; ma il lettore coscienzioso se ne convincerà sol che si fermi un istante a considerare i nomi di due terzi fra i promotori di quel movimentonomi che ho avuto o avrò in seguito occasione di rammentare.Fra le molte notizie interessanti dateci dal Luzio v’è quella che «Bakunin figurava tra’ primi massoni di Loggie fiorentine» (II, 222); di questa notizia però egli, di solito cosí esatto, non cita la fonte.

 

255 Molte notizie sulla loro attività si trovano consultando la collezione del «Libero Pensiero».

256 Scrive il Giannelli nella lettera citata a Nettlau: (Bakunin) «incominciò la sua propaganda nichilista, che certo nulla aveva di comune collenostre teorie, tanto piú che il Bakunin attaccava di continuo le dottrine di Giuseppe Mazzini, che egli non comprendendone razionalmente la formola – “Dio e il popolo” – chiamava prete!… Qui a Firenze riuscí a trarre a sé qualche gregario del partito mazzinianoamante di novità…»

257 M. NETTLAUErrico MalatestaVita e pensieriNew York 1922.

258 Lettera del 12 novembre 1864 (Lettere di Giuseppe Mazzini a Federico Campanellapubblicate da G. Mazzatinti, in «Rivista d’Italia», giugno1905pp. 10-11 dell’estratto).

259 M. NETTLAUErrico Malatesta ecccit., p. 28.

260 Sviluppo storico dell’Internazionale, in JGUILLAUMEL’Internationale ecccit., vol. I, pp. 76-79. Nel 1864 Mazzini non aveva ancora fondatol’Alleanza repubblicanaBakunin la confondeva qui, probabilmente, con la Falange sacraorganizzata a Genova nel 1863 da Quadrio e Castelli, con l’assenso di Mazzini, al fine di concentrare segretamente le forze repubblicaneFalange che, diffusasi soprattutto nell’Italia centrale e meridionale, nel 1866 fu assorbita dall’Alleanza repubblicanalavorava soprattutto per l’emancipazione di Roma e VeneziaInteressante vederecome Mazzini cercasse di spingervi dentro elementi operaiLettera a Zannoni, 6 febbraio 1865: «A voi tocca osservare attento i miglioridell’Associazione Op[eraia] e indurli tacitamente nella F[alange] S[acra] che ha centro in Genova e colla quale dovete essere già in relazione» (Lettere a Zannonip. 21).

261 M. NETTLAUErrico Malatesta ecccit., p. 45.

262 E. ZOCCOLIL’anarchia cit., p. 112.

263 A. DE GUBERNATISFibra ecccit., p. 227Cfr. anche la sua prefazione autobiografica al Dizionario biografico degli scrittori contemporaneiFirenze 1879, pp. XXI-XXV.

264 Dizionario ecccit., p. XXI.

265 Cosí, due anni dopoBakunin giudicava De Gubernatis, per il cui ingegno aveva provato dapprima una vivissima ammirazione: «È una benpovera testa, è veroincapace di discernimento e di critica, un po’ disorientata dalla posizione falsa che il suo entusiasmo ardenteimpotentevanitoso e inquieto gli ha fatto prendere fra tutti i partiti, ma dopo tutto è un ragazzo onesto» (Lettera a Fanelli, 29 maggio 1867M. NETTLAUMichael Bakunin ecccit., I, pp. 182 sg.).

266 Lettera citata a Nettlau. E fu cosí intima l’amicizia tra i due che passarono assieme le vacanze estive del 1864 e del 1865, ad Antignano e aSorrento.

267 Gli abbonamenti al «Proletario» si ricevevano «al mezzanino del signor Giuseppe Dolfi».

268 A. ANGIOLINISocialismo e socialisti in ItaliaFirenze 1919, p. 61; G. DOMANICOL’Internazionale cit., p. 94.

269 E. ZOCCOLIL’anarchia cit., p. 110.

270 M. DRAGOMANOVCorrespondance ecccit., p. 212Lettera del 19 luglio 1866.

271 Lettre aux citoyens rédacteurs du «Réveil» (ottobre 1869), in Œuvres cit., t. V, p. 286. In questa lettera Bakunin riassume le sue impressionisull’Italia.

272 Lettera citata a Nettlau.

273 Fanelli è noto soprattutto per la parte sfortunata che prese nella sfortunatissima impresa di Carlo PisacaneCarattere incertoentusiasta e pur timido di responsabilità, si trovò disgraziatamente a coprire un posto che richiedeva energiaprontezza, franchezzaDopo il ’60, usciti i superstiti di Sapri dalle galere borboniche, il Fanelli fu fatto segno ad accuse violentissime per il suo operato; pochi lo difesero. Ne rimasesconvolto finché la sua intelligenza naufragò nella pazzia.

274 Di Fanelli e Friscia cosí parla O. GNOCCHI-VIANIRicordi di un internazionalistaMilano 1910p. 121: «Ricordo pure benissimo… le figuresimpaticissime di Fanelli e di Friscia… i quali… si erano consacrati alla propaganda socialista e precisamente alla propaganda della scuolabakuniniana, seguendo il metodo – del resto il solo possibile in quegli inizi – della propaganda individuale orale. Parlatore facondo e immaginoso ilFanellidicitore sobrio e calmo il Friscia; entrambi manifestanti una convinzione cosí sinceracosí profondacosí comunicativa, che faceva in noi l’effetto di raffiche che investivano e cacciavano le nubi che ancora ingannavano tanti giovani cervelli, per lasciar intravedere cieli e orizzontinuovipiú limpidi e piú belli». Cfr. anche G. DOMANICOL’Internazionale cit., pp. 114-20.

275 Sposò piú tardi la vedova di Bakunin.

276 JGUILLAUMEL’Internationale ecccit., vol. I, p. 77; G. DOMANICOL’Internazionale cit., p. 94; M. NETTLAUMichael Bakunin cit., pp. 180sgScrive il Saffi nei citati Cenni a proemio del vol. XVII di SEI (pagina XXXIII): Bakunin «prese stanza a Napolifondandovi un gruppo di giovaniseguaci delle sue dottrine in antagonismo colle dottrine di Giuseppe Mazzini, ch’egli fece segno sovente a polemiche acerbe e talvolta scurrili».

277 Per il quale e per Gambuzzi Bakunin aveva una raccomandazione di Garibaldi stesso (M. NETTLAUBakunin und die Internationale ecc. cit., p. 284).

278 Lettera citata a Nettlau. Gli articolicredo, furon pubblicati anonimi perché, secondo una ricerca, che però non ho potuto compierepersonalmente, il nome di Bakunin non ricorre mai sul «Popolo d’Italia». Cfr. anche G. DOMANICOL’Internazionale cit., appendice IV, p. 190secondo il quale uno dei redattori del «Popolo d’Italia» sarebbe stato il già nominato R. Mileti.

279 M. BAKOUNINELettres à un français sur la crise actuelle, in Œuvrest. IV, pp. 34-35.

280 Ibid.

281 Ibid.pp. 32-34.

282 M. BAKUNINIl socialismo e Mazzini cit., p. 55.

283 Lettere di G. Mazzini a F. Campanella cit., p. 11.

284 M. DRAGOMANOVCorrespondance ecccit., pp. 20811.

285 Manifesto o lettera che non son riuscito a rintracciare.

286 M. DRAGOMANOVCorrespondance ecccit., pp. 212-41.

287 È del luglio 1866 ed è stata pubblicata dal NETTLAU (Bakunin und die Internationale cit., pp. 287-88), col titolo «Ultima lettera di F[ratelli] di Palermo che si sciolgono dagl’impegni presi». Pare fossero sorti dei dissensi in occasione della guerra italo-austriaca: «FF .˙. In nome del C[omitato] C[entrale] della Soc[ietà] Int[ernazionale] R[ivoluzionaria] D[emocratica] S[ociale] noi vi dichiariamo sciolti da qualunque impegno e da qualunque giuramento fattoDichiariamo illegale ed immorale qualunque corpo che nulla curante la presente ingiunzione volesse proseguire a vivere e lasciamo tutto a lui la responsabilità e le conseguenze. Forse non tarderà molto faremo appello alla vostra operosità umanitaria-sociale-democratica-italiana. In nome intanto di questo S[tato] M[aggiore] residente in Palermo, vi dichiariamo benemeriti per la vostra mostrataoperosità».

288 «Bulletin» (del Giura), 16 luglio 1876.

289 Questo giornaletto è introvabile e anzi si è a lungo perfino dubitato che sia mai esistito; ma la sua esistenza è provata da una lettera diBakunin del 7 maggio 1867 (M. DRAGOMANOVCorrespondance ecccit., pp. 248253; M. NETTLAUBakunin und die Internationale cit., p. 289).

290 M. NETTLAUBakunin und die Internationale cit., p. 289.

291 I primi dubbi sulla sua serietà di democratico si presentano nel marzo ’66. «Ho paura – scrive Bakunin il 23 di quel mese, in una lettera aisoliti amici – che Garibaldi si lasci sedurre per la decima volta e diventi, nelle mani di chi voi sapete, uno strumento per gabbare i popoli» (M.DRAGOMANOVCorrespondance ecccit., pp. 20811).

292 Lettera citatapp. 14-15.

293 Statistica del 1875.

294 Società dei falegnami a Bologna, dei calzolai e degli orefici a Genova, dei muratori e d’un’altra categoria d’operai a Milano, una cooperativafra tipografi a Bologna e una fra operaie a Napoli (VIGANòIl movimento cooperativo e le banche popolari tedesche e italiane e loroconfederazioneMilano 1873TBRUNOLa Federazione del libro ecccit.).

295 Tutte fra tipografi, a Milano, a Lodi, a Genova (MARTINELLIDell’istruzione popolare cit.).

296 «L’Avvenire», Firenze, 9 maggio 1865.

297 Ibid., 25 maggio 1865.

298 Ibid., 8 giugno 1865.

299 Cenni storici ecc. cit.

300 «Gli scioperi sono all’ordine del giorno nel Regno d’Italia!» scriveva «L’Avvenire», 8 giugno 1865.

301 Di questi e d’altri tumulti contadineschi si trovan notizie sui principali giornali del tempo.