Le Olimpiadi di Monaco del 1972 furono sconvolte dall’azione di un gruppo terroristico palestinese denominato “Black September”, che prese in ostaggio alcuni membri della delegazione israeliana. Le forze dell’ordine tedesche reagirono scompostamente e i negoziati si protrassero a lungo…
C’erano anche Dino Meneghin e Sandro Gamba, che erano presenti a Monaco nel tragico settembre del 1972, oltre all’assessore allo sport del Comune di Milano, Aldo Brandirali, alla proiezione in antemprima del film documentario Tv “Un giorno in settembre”, film documentario vincitore del Premio Oscar 2000 nella sezione documentari, che si è tenuta oggi alla sala Cento dell’Anteo di Milano. Il film diretto da Kevin MacDonald sarà trasmesso esattamente 32 anni dopo l’olimpiade tedesca che si è chiusa con l’uccisione degli undici ostaggi, atleti e allenatori, della squadra israeliana ai giochi olimpici, da parte di un commando del gruppo terrorista palestinese denominato Settembre Nero. I drammatici eventi del 5 settembre 1972 al villaggio olimpico di Monaco, vengono ricostruiti nella pellicola attraverso le testimonianze delle famiglie delle vittime e con un’esclusiva interventi a Jamal Al Gashey, l’unico territorista superstite e che da allora vive in incognito (erano tre i terroristi palestinesi scampati al blitz della polizia tedesca; mai processati in Germania e liberati dopo un dirottamento un mese dopo la strage). Da parte dell’assessore Brandirali si è sottolienata l’importanza della proiezione del film documentario che “aiuta a tenere in un livello alto della riflessione il mondo dello sport. E’ una cosa di cui abbiamo bisogno. La pura distribuzione di valori sportivi non porta a nulla senza un vissuto. Bisgna insistere sulla cultura sportiva – ha aggiunto l’assessore – perché senza l’esperienza e la storia anche l’emozione e l’immagine dello sport perdono il loro senso culturale e formativo”.
Le Olimpiadi di Monaco erano speciali per molti motivi, sportivi ma non solo: davano alla Germania l’occasione di dimostrare di essersi lasciata alle spalle Hitler e la Seconda Guerra Mondiale, e davano agli israeliani l’occasione di tornare nella culla del nazismo. Erano il miglior palco che quelli di “Black September” potessero trovare per lanciare il loro grido, e infatti mai come allora la parola “Palestina” è stata pronunciata da bocche occidentali. Kevin Macdonald è bravo a presentarci la situazione – le sue origini e le sue conseguenze – concentrandosi sui fatti e sulle testimonianze, approfondendo solo il giusto una situazione politica che non avrebbe avuto fondo, dando così maggior impatto a quelle ventun ore.
L’intevista alla vedova di Andre Spitzer, allenatore della squadra israeliana di scherma, e all’unico membro del commando palestinese ancora vivo sono la parte portante del film, ma tutto il lavoro giornalistico di Macdonald è di ottima fattura: approfondito e spesso scioccante, sempre lucido ed efficace. Tanto è toccante il racconto dell’ultimo incontro tra Spitzer e sua moglie, quanto è agghiacciante quello del palestinese sull’inizio dell’operazione, quanto è realmente da lacrime agli occhi la sequenza della cerimonia funebre nello Stadio Olimpico. Al di là dell’effettiva portata degli eventi narrati, che hanno radicalmente cambiato l’atteggiamento di tutti i terroristi nei confronti dei loro nemici così come la percezione che i civili hanno del terrorismo, il merito dell’efficacia del film va soprattutto ad un regista capace di realizzare un documentario sconvolgente pur senza esagerare i toni e senza apparire inoppurtuno neanche nell’ottima scelta musicale.
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