CONTESTO STORICO
Nel 1380 muore Carlo V, lasciando come erede Carlo VI, appena dodicenne. La tutela del ragazzo venne affidata ai quattro zii: i duchi di Berry, Borbone, d’Anjou e di Borgogna. Il primo problema di Carlo fu proprio lo zio Philippe Le Hardi, duca di Borgogna, che, ricevuta in appannaggio una delle regioni più ricche di Francia, sposò l’ereditiera del conte di Fiandra. Quindi, il nord-est della Francia apparteneva a un vassallo decisamente poco devoto, la cui ambizione era il trono. Cinque anni dopo, Carlo sposò Isabella, o Isabeau, di Baviera, figlia di un Wittelsbach e di una Visconti, incornata poi a Parigi nel 1389. A 24 anni, nella foresta di Le Mans, la follia assalì Carlo VI il Beneamato rendendolo il re folle.
Nel frattempo, le carestie e la peste (nell’ 1349 di cento non ne restarono che nove) aiutavano una guerra lunga e continua, nella quale compaiono anche il cannone e il “long bow”( l’arco a lunga gittata), a mutilare il Paese. La Francia era infatti impegnata nella guerra contro l’Inghilterra e nella guerra civile, quella tra Armagnacchi e Borgognoni.
Nel novembre del 1407 Louis d’Orléans (fratello di Charles VI) venne assassinato fuori dall’Hotel Barbette, residenza privata dell’allegra Isabella. Questa uccisione commissionata da Jean sans Peur, figlio di Philippe le Hardi e quindi duca di Borgogna, non era altro che l’ennesimo risultato dello scontro tra Borgogna e Valois, che avviò una catena trentennale di delitti e scatenò l’indignazione del duca d’Armagnac dal Midi, amico di Louis. Quindi, i suoi guasconi dalla Garonna, alla Senna, fino alla Loira devastarono, rubarono e sgozzarono chiunque non portasse il loro simbolo, la sciarpa bianca. Quando gli Armagnacchi giunsero a Parigi, il Borgogna chiese l’aiuto del re inglese. Gli inglesi, che accampavano pretese sul trono di Francia dai tempi di Edward III, non aspettarono altro.
Così, Henry V nel 1415, proprio come Edward, sbarcò in Normandia. I francesi corsero a battersi ad Azincourt, dove vennero sconfitti duramente nonostante la loro superiorità numerica grazie alla solida organizzazione inglese e alla loro strategia: prima sbaragliarono la cavalleria pesante francese con i franchi arcieri, poi con una palizzata di pali aguzzi.
Sempre nel 1415 morì il delfino Louis, due anni dopo anche il delfino Jean: rimase solamente Charles, l’ambiguo, nevrotico e insignificante Charles, che passerà la vita con la paura di diventare pazzo come il padre, ma la schizofrenia si presenterà solo nella discendenza della sorella. Undicesimo figlio di Isabella e del re Folle, dal 1411 era sotto la tutela di Yolande d’Aragona, che lo aveva promesso alla sua seconda, Marie.
Nel 1418 mille degli uomini del duca di Borgogna entrarono a Parigi con un colpo di mano, fecero prigioniero l’Armagnac, lo massacrano e ne trascinano il corpo per le vie della città.
Grazie a Tanguy de Chatel il delfino riuscì a fuggire e a ripiegare su Charenton, su Melun, fino a rifugiarsi a Bourges, dove installò un governo provvisorio.
Così il Borgogna divenne signore di Parigi, decidendo però di avviare delle trattative con i cugini Valois per paura che gli Inglesi potessero ribaltare anche lui. Si incontrarono tutti sul ponte di Montereau e “l’assemblea” sfociò in rissa. Tanguy ancora una volta salvò la vita al delfino, ma Jean sans Peur si ritrovò con un’ascia in fronte. Questo incidente inasprì ancora di più la guerra civile.
Nel 1420 il re pazzo annunciò l’alleanza con gli inglesi e accusò il figlio Charles di << essere un parricida, reo di lesa maestà, nemico della cosa pubblica, di Dio e della giustizia>>. Così Philippe, il figlio di Jean sans Peur, Isabeau e Henry V firmarono il trattato di Troyes, cancellando la Francia e ogni pretesa al trono del sedicente delfino.
Nel 1422 Henry morì di fuoco di sant’Antonio e nominò reggente il fratello, duca di Bedford, a cui lasciò in tutela anche gli interessi del figlio Henry VI, avuto con Caterina di Valois (figlia di Isabella di Baviera e Charles VI) e che erediterà la schizofrenia del nonno.
Quello stesso anno morì anche Charles VI e alcuni gentiluomini acclamarono Charles VII nuovo re.
Yolande aveva dunque due obbiettivi: riuscire ad allearsi col duca di Bretagna e fermare gli sperperi e i regali di Charles per la sua corte, nonostante la sua misera condizione.
Così, nominò connestabile Richemont, fratello del duca di Bretagna, veterano di Azincourt, pragmatico e ambizioso. Spazzò via la corte e lasciò solamente Giac, vecchio amante di Isabeau, che Charles eleggerà a primo ciambellano nel 1426 dopo gli insuccessi militari di Richemont, chiamato a fare miracoli.
Lo stesso Giac uccise la moglie per una ricca vedova e questo segnerà anche la fine del ciambellano. Infatti, entrò in scena un altro vecchio amante di Isabeau: La Tremoille. La Tremoille voleva la vedova, Yolande non voleva Giac: Richemont e Tremoille prelevarono Giac nel cuore della notte dal suo letto e dopo un processo sommario, lo annegarono nonostante il re fosse accorso semisvestito per impedirlo. La stessa fine faranno molti altri.
Richemont però era in una situazione di stallo: non riusciva a tener testa alla forza militare inglese, temeva lo scontro con Bedford e non possedeva la statura diplomatica per contrastare il duca di Borgogna. Così, lo stesso Richemont, forse frastornato dai fallimenti, suggerì a Yolande e a Charles di elevare La Tremoille a primo ministro. Una volta eletto, Tremoille ebbe la bontà di sopperire alla mancanza cronica di liquidi delle casse reali. Inoltre, la Tremoille decise, d’accordo con Yolande, di estromettere Richemont, che portava a suo favore solo i legami col fratello duca. Dalla sua, Tremoille portava invece i neo-successi militari e la forza economica di uno dei grandi baroni di Francia, il barone Gilles de Laval.
GILLES DE LAVAL, SIGNORE DI RAIS
Gilles era il proprietario di uno dei patrimoni più grandi di tutta la Francia. Infatti, aveva in eredità la fortuna del padre, un Laval-Montmorency, quella del nonno materno, Jean de Craon e quella di Rais, estintasi nel 1407 nella figura di Jeanne la Sage.
Jeanne era invecchiata senza eredi, nelle terre attorno all’estuario della Loira conosciute come il Pays de Rais, parte di quella terra magica di cui parlano i romanzi della Tavola Rotonda. Sia il padre di Gilles, Guy de Laval, che il nonno miravano all’eredità della vecchia Jeanne. La rivalità tra i due cessò con un compromesso: Jeanne avrebbe fatto testamento a favore di Marguerite, madre di Craon. Craon a sua volta sarebbe diventato l’erede, mentre Guy avrebbe sposato Marie, la seconda figlia di Craon, che non aveva ancora una sua eredità. I due si sposarono nel 1404 e si recarono in pellegrinaggio a Saint-Gilles-du-Cotentin, a cui chiesero un figlio maschio. Il bambino nacque alla fine di quello stesso anno e lo chiamarono Gilles, come il santo. Non si conosce la data esatta, ma si sa il luogo: nacque nella Loira, a Champtocé, nella fortezza dei Craon, nella sala maggiore della Torre Nera. Venne poi battezzato nella chiesa del villaggio, davanti ai nobili locali. Di lui non abbiamo alcun ritratto nell’infanzia, ma ce lo descrivono alcuni documenti come forte, nervoso e bello. Ma sono aggettivi di generico omaggio, nel Medioevo “bello” voleva dire robusto, con attitudine al combattimento, forza fisica. Il ragazzo imparò a leggere e a scrivere in latino da due precettori ecclesiastici. Se non fu un erudito, sappiamo che fu un discreto lettore: Svetonio, Valerio Massimo, Ovidio. Uno dei suoi libri preferiti fu certamente la Vita dei dodici Cesari poiché cercava dei modelli di comportamento dalla fiorente antichità, tuttavia, prevalsero gli esempi di crudeltà e stravaganza. Ad esempio, scoprì che a Caligola piacevano la musica e la danza, che aveva affinato una tecnica di tortura per prolungare l’agonia della vittima poiché si doveva sentire morire, che si divertiva a considerare di avere libero arbitrio sulla testa della moglie o di qualsivoglia amante, che ebbe rapporti con le sorelle e che visse nella prodigalità e negli sperperi. In molti di questi aspetti, Gilles adulto, assomiglierà a Caligola.
Uno dei pochi eroi positivi per Gilles fu Bertrand du Guesclin, di cui raccontava il padre, che era un suo antenato asceso alla carica di connestabile di Francia. Per lui, Guesclin significava forza. La lettura aveva alimentato in lui non il dubbio intellettuale, ma la smania dell’azione. Solo l’addestramento militare, basato sugli esercizi fisici, riusciva a soddisfare questa smania.
In ogni caso, gli studi di Gilles non si basavano solo su questo. Egli apprese infatti a uccidere scientificamente, a trovare i punti deboli delle armature e a distinguere i vari tipi di pugnali, spade, mazze e lance. Nel 1415 entrambi i genitori del barone morirono prematuramente ma l’agonia di Guy, in seguito a un incidente di caccia, gli consentì di redigere un testamento secondo cui la tutela del ragazzo veniva affidata a un cugino e a due religiosi, lasciando fuori il nonno col quale aveva ancora dei dissapori. Un mese dopo morì anche lo zio, il fratello di Marie, ad Azincourt. Gilles quindi rimase l’unico erede dei Laval, Craon e Rais. Con la morte dell’ultimo figlio, Craon si fece carico della tutela dei nipoti, ma i rapporti col giovane Gilles rimasero puramente formali. Il vecchio era avaro, freddo e calcolatore, mentre il giovane aveva un carattere istintivo. Il nonno non si intromise negli interessi del nipote e lo lasciò totalmente libero, ignorando gli episodi di sodomia e sadismo a discapito di coetanei e servitori, mai puniti grazie ai privilegi di casta. Il nonno fraintese anche la mancanza di scrupoli, la crudeltà e la foga per un carattere autoritario, gioendo della paura che il ragazzo incuteva. Craon abbiamo detto che era avaro, per cui pensò bene a come accrescere la fortuna del ragazzo: il matrimonio. Provò ben tre volte: il primo matrimonio venne vietato dal Parlamento preoccupato per le mire espansionistiche di Craon, il secondo fallì con la morte della sposa e il terzo andò a buon fine dopo una serie di mirabolanti avventure. La sposa infatti era sua cugina, fatto che scatenò il dissenso della Chiesa. Quindi, Craon inscenò un rapimento e fece sposare i due ragazzi. In dote, tra i vari possedimenti, Catherine portava il castello di Tiffauges, tra la Bretagna, Anjou e il Paese di Rais. Lo stesso che diventerà il castello di Barbablù per antonomasia.
Già dopo poco, passata la finzione romantica del rapimento, la giovane sposa si accorse che di romantico non c’era assolutamente niente. Gilles non si curò molto della giovane sposa, a tal punto che la loro unica figlia nacque nel 1429, dopo quasi dieci anni, e anche di lei si disinteressò presto.
Nel 1424, Gilles divenne il vero e unico amministratore dei suoi averi e poté usarli come preferiva: collezionismo del lusso. Attenuò la cupezza delle sue dimore con vetri dipinti, arazzi costosi con figure mitologiche, medaglie antiche, cammei, avori, gioielli e mobili intarsiati alla moda bizantina e araba, reliquari, vasellame di cappella, calici, crocifissi, tabernacoli; ma anche boccali, portagioie intarsiati per la moglie, servizi d’oro e costruzioni giocattolo per riporre le posate a tavola (fatta eccezione per la forchetta). E poiché c’era ancora la guerra, fece ornare di perle e di smalti l’utensileria bellica e intarsiare d’oro i guanti delle armature in acciaio.
Il suo abbigliamento era a dir poco stravagante, non gli importava che fosse scomodo o attillato, se l’abito era alla moda pagava cifre esorbitanti per averlo o per farselo importare.
Nel 1425 conobbe il delfino in occasione del matrimonio tra uno dei figli di Yolande e la figlia del duca di Bretagna. Il delfino era ben lontano dall’avere il fisico del barone, anzi, era pallido, con le gambe storte quasi deformi, dipinto con un grugno porcello, occhi da usuraio e labbra ipocrite e lagnose. Ovunque si raccontava dei suoi incubi, le preghiere a notte fonda, la crisi finanziaria. Visse a lungo solo perché seguiva un ferreo regime alimentare imposto dai medici, o forse perché a castello il cibo non sempre c’era.
La Tremoille avvicinò Gilles, su consiglio di Craon, alla corte e alla guerra. Fin dalle prime campagne dimostrò una bravura che potremmo definire talento. Comandava cinque compagnie che manteneva personalmente: 200 arcieri e altrettanti uomini. Inoltre, era il meglio informato poiché era quello che pagava di più le spie.
In guerra aveva una sua etica e sottopose i suoi uomini a un regime fermissimo, vietando stupri e saccheggi. Tuttavia, era rigidissimo con i collaborazionisti, assistendo personalmente alle esecuzioni e spiando spasimi, contrazioni e sussulti. Dimostrò moltissima pazienza negli assedi e un notevole coraggio, anche saltando per primo nelle fortificazioni nemiche. Nel 1427 la campagna fu particolarmente lunga e snervante: per ogni piazza occupata dai francesi, tre ne conquistavano gli inglesi. Ma Gilles sopportò egregiamente i disagi di un conflitto nomade e disordinato, il freddo, il gelo e il fango. Quello stesso anno si aggiunse ai paggi, uno dalla particolare bellezza che, nella moltitudine, Gilles non notò subito. Il suo nome era Etienne Corillaut, soprannominato Poitou.
Nel 1428 quando si diffuse la notizia che gli inglesi avevano assediato Orleans, l’umore generale scese sotto i tacchi.
In marzo, a Chinon, c’era anche Gilles quando giunse una ragazza sui vent’anni, che sosteneva di chiamarsi Jehanne-la-Pucelle. Nel momento stesso in cui partiva dalla Lorena, si diffuse ovunque la voce della ragazza mandata da Dio a liberare la Francia. Il terzo giorno del suo soggiorno, Giovanna convinse Charles che avrebbe liberato Orleans e consacrato il delfino a Reims.
Giovanna era di un’eleganza perfetta, dal comportamento virile. Parlava poco, era estremamente prudente con le parole. Si compiaceva dello splendore delle armi e aveva in grande stima gli uomini d’arme e i nobili. Non sopportava la frequentazione di grandi folle, piangeva spesso ma aveva un volto gaio. Possedeva un’ottima resistenza in battaglia, un portamento fiero e nobile. Portava i capelli neri tagliati corti per adattarsi all’elmo, coperti da un cappello. Dunois affermò che non si pensava alle donne davanti a Giovanna. Queste caratteristiche fecero sì che tra i due si instaurasse un’ottima amicizia.
Intanto, l’assedio proseguiva e vedeva la resistenza dei francesi farsi sempre più stremata. A Orleans c’era il capitano francese Dunois da una parte e Salisbury e Talbot dall’altra.
In febbraio, dopo più di quattro mesi di convivenza forzata ,tra assediati e soccorritori si inasprirono i rapporti. E venne marzo e con lui le voci della Pulzella mandata da Dio. Lo stesso Dunois mandò degli uomini ad accertarsi della cosa e tornarono indietro raccontando di questa ragazza a cui Yolande fece dono di un’armatura di nudo acciaio di 25 chilogrammi e il re di dodici superbi cavalli. Si fissò l’incontro a Blois e Tremoille diede il comando della spedizione a Gilles, sia perché era suo cugino, sia perché non aveva mire politiche e quindi consisteva, nella mente del ministro, in una sgargiante macchina da guerra da muovere a proprio piacimento. Infatti, aveva confuso il piglio freddo e indifferente del barone per storditaggine. Dopo un mese dall’arrivo di Giovanna, in aprile, Gilles firmò un trattato di assoluta fedeltà nei confronti di La Tremoille, in cambio divenne comandante e poi maresciallo di Francia, con la vittoria. Il suo disgusto per le donne forse nacque con le prostitute chiamate a Chinon e che seguivano l’esercito, le stesse che Giovanna redarguiva aspramente, insieme con i bestemmiatori, obbligando tutto l’esercito ai sacramenti. La durezza, l’intransigenza, il disprezzo e il misticismo di Giovanna sembrarono fatte apposta per Gilles. Così come lo fu il fasto aristocratico, l’autorevolezza e l’azione di lui per lei. Sappiamo che certamente non furono amanti, ma di sicuro tra i due c’era rispetto e intesa, si capivano e si stimavano. Si incontrarono a Blois, la fanciulla voleva attaccare Talbot e gli inglesi, ma dovette entrare col traghetto in paese a portare i soccorsi, separandosi da Gilles e dagli altri. Il 3 del mese però, le cose iniziarono a smuoversi e si accese una piccola scaramuccia davanti a una delle porte principali della città. Si svolse poi un piccolo scontro a distanza ravvicinata fuori dalle mura, che vide i francesi vincitori. Così Gilles, Giovanna e Dunois fecero rimanere gli uomini sul posto per riprendere all’alba. Iniziarono con una sconfitta e Giovanna rimase ferita. Dopo ben poca convalescenza tornò in campo e piantò lo stendardo dove l’avevano ferita: gli inglesi, che la credevano morta, rimasero paralizzati dal terrore. Glasdale, capitano inglese, fuggì con i suoi uomini sul ponte, che non resse e affogarono tutti. Pochi giorni dopo la Tourelles cadde e tornò francese.
Da lì la presa di Beaugency e di Patay, con la cattura di Talbot e il riscatto di Azincourt, duemila morti inglesi. Tornò anche Richemont e poiché seppe ottenere la simpatia di Giovanna e Gilles venne insignito del titolo di maresciallo, ciambellano e consigliere.
Il 16 luglio, quindi, forti della vittoria, si procedette a consacrare Charles a Reims, si usò una corona modesta e Charles si presentò con una semplice camicia. Alla sinistra del nuovo re Gilles de Rais e alla destra Giovanna d’Arco. L’incoronazione rese più difficili i rapporti con i Borgognoni, che si calmarono solo dopo lunghe trattative. L’unico veramente contento era Gilles che, maresciallo a venticinque anni, poteva fregiarsi dei gigli dei Valois nelle sue insegne. Inoltre, la parata a Reims appagò il suo desiderio di teatralità, esibendo lo splendore del suo seguito, la perfezione delle livree, dei cavalli e delle armi. Giovanna invece perse le sue voci, Yolande e l’azione. Si ritrovò sofferente per la staticità e per l’abbandono, rimase sola con sé stessa davanti alla verità, così come poi fece Gilles. Ormai, i loro servigi militari non erano più richiesti. Il barone era totalmente indifferente alle vicende private e alla vita a Rais in generale, non riuscendo a perdere il gusto della violenza contratto in guerra. Provò a sfogarsi comprando per sé e per altri, ma si accorse per la prima volta che lo sfarzo e le spese di guerra avevano scialacquato le sue finanze. La soluzione per lui era vendere: cedette il castello di Blaison, il primo di una lunga serie.
Ma la scena politica si mosse nuovamente: Bedford cercava ancora l’alleanza con Philippe di Borgogna e gli offrì le contee di Champagne e Brie. Philippe mise l’assedio a Compiègne, che inviò dei messi per chiedere l’aiuto sino alla corte di Valois. Era l’occasione che Giovanna cercava, disubbidendo al re, se ne andò a Compiègne a combattere. Nel 1430 Giovanna venne catturata e venduta agli inglesi per diecimila lire. Si ipotizza che Gilles volesse tentare un colpo di mano e liberare la fanciulla a Rouen, dove era tenuta. Dopo poco si diffuse la notizia del processo a Giovanna, imputata di eresia e quattro mesi dopo venne considerata colpevole da quarantadue giudici teologi collaborazionisti. Sempre nel 1431, in dicembre, incoronarono a Notre-Dame Henry VI re di Francia. Ma Tremoille stava cercando di riaffermare il suo potere e mise l’assedio a Lagny, l’ultima grande vittoria di Gilles de Rais. Tuttavia, l’uomo che tornò non era più il ragazzo stravagante e snob di cinque anni prima. Il fascino dei corpi sventrati costituiva la sua unica ragione di vita.
Nel 1432, Craon si ammalò mortalmente, proprio quando capì finalmente di cosa fosse capace il nipote. Fu proprio nel 1432, quando il nonno morì, che iniziò a uccidere. Gilles per anni aveva subito la sua tirannia, si era dovuto misurare con quell’ingombrante modello, ma alla fine non si sentì soltanto libero, anche solo. Lasciato a sé stesso da una delle più grandi figure della sua vita, dalla sua amica e poi dal suo altro burattinaio, la Tremoille, il suo protettore, suo cugino. Il ciambellano infatti venne accoltellato, pugnalato, ferito di spada da più di cinquanta uomini, ma miracolato per il suo vasto pancione, e sopravvisse con l’obbligo di allontanarsi per sempre dalla vita politica. Gilles perse la sua fortuna di capitano e Richemont tornò connestabile. A Gilles non restava che tornare a Tiffauges.
Nel 1432 a Machecoul iniziarono a sparire bambini. Alcuni erano stati visti parlare con Gilles de Sillè, parente del maresciallo. Altri sparivano nel nulla direttamente. Alcuni venivano richiesti per aiutare a corte e mai tornavano. Magari andavano a prendere il pane, stavano guardando le mucche o giocavano con gli amici. Gli abitanti non potevano lamentarsi apertamente o sarebbero stati imprigionati e maltrattati.
La serata iniziava a tavola, dove Gilles mangiava pietanze raffinate e in grande quantità, mentre i bambini ricevevano doni dai procacciatori. Finita la cena, Gilles saliva nelle stanze private, nelle torri, lì portavano anche il bambino rapito. Nessuno che lavorasse o fosse ospite del castello era all’oscuro di quello che succedeva: Gilles infatti desiderava che durante le rappresentazioni ci fosse sempre qualcuno a guardare e magari anche a partecipare. I massacri incominciarono per sfogare i suoi desideri contro natura. A volte faceva rapire anche due fratelli, scegliendo quello che gli piaceva di più e uccidendo poi entrambi perché l’uno non si dispiacesse della morte dell’altro. Ad aiutarlo potevano essere Sillè o Griant. Ma i gusti del barone andarono raffinandosi, iniziando a tralasciare la componente sessuale, preferì concentrarsi sulla morte, sulla gioia nel sentire la vita che lascia un corpo. Quel Poitou, rischiò anche lui di finire sulla lista. Abbiamo detto che era angelico, bello… attirò l’attenzione di Gilles, che ne abusò, ma venne fermato, prima che lo uccidesse, dai suoi fidati. Il ragazzo, estremamente riconoscente, espresse la sua gratitudine diventando il suo complice più fidato, leale ed efferato. Aiutato da Griant, rassettava la stanza, puliva il sangue dalle pareti e dal pavimento, bruciava i vestiti e poi i corpi, infine spargevano le ceneri. Il rogo rimaneva acceso tutta la notte. Nei primi tempi della sua attività, si limitava a gettare i corpi nei fossati, nei bugigattoli. Inoltre, il tema dello sdoppiamento era talmente caro a Gilles che elesse un lontano cugino, Briqueville, a suo sosia, l’araldo di Rais e in cambio, lo accolse in casa e gli lasciò disporre liberamente delle sue finanze, così anche lui finì per vivere nel lusso. Amava profondamente il teatro popolare, non per i testi, ma per i costumi, come esempio di esibizione di sfarzo collezionistico, accumulazione e specchio narcisistico. Le rappresentazioni teatrali duravano per giorni, senza mai saziare la sua passione. Provvedeva ai costumi e al palco. Inoltre, era preso da quella febbre errabonda che prendeva molti altri, lo stesso Charles, e si spostava spesso da un castello all’altro, con al seguito 200 uomini armati, i paggi, gli scudieri e trenta persone della cappella dei cantori. Nominava vescovi, arcivescovi e decani di sua iniziativa. Ma le sue preferenze andavano principalmente ai cantori, con cui condivideva letto e crimini. Le cerimonie religiose, che fossero inscenate a teatro o tenute nei suoi santuari, non gli bastarono più, così si fece nominare canonico onorario. Si sdoppiò anche qui: al mattino si commuoveva davanti alle funzioni della sua compagnia, la sera straziava piccoli corpi, per poi pregare su di loro. La devozione doveva essere tanto più grande quanto lo era stato il godimento di poco prima. Più era profonda la liturgia, più dovevano essere blasfeme le sue trasgressioni.
Nel 1435 abbiamo la pace tra Philippe di Borgogna e Charles, a Nevers, dopo diciassette anni di guerra civile. A Orleans trovò l’apice dello sdoppiamento: le rappresentazioni teatrali là raccontavano le sue gesta, con Giovanna la Pulzella. Decise di pagare buona parte della rappresentazione, diventando costumista, scenografo e regista: curava ogni più piccolo dettaglio cercando invano di esorcizzare il sé stesso di adesso con quello abbagliante del passato. Dovette vendere più che mai per pagare la rappresentazione e, finita anche questa, il disastro finanziario in cui si trovava sembrava evidente a tutti. Il fratello, la moglie e la figlia preoccupati si rivolsero a Charles, che diffuse un interdetto contro il barone: ogni atto di vendita stipulato con lui non avrebbe avuto valore. Ogni volta che si presentava un congedo nella vita di Gilles, dalla guerra al teatro, i massacri subivano un incremento. Nel frattempo, le voci incominciavano a girare e Poitou dovette bruciare le ossa di quaranta bambini prima che occupassero Machecoul. Poiché, come anticipato sopra, prima che si organizzassero a bruciarli, li gettavano negli scantinati. Quando ispezionarono il castello in cerca di prove per i suoi delitti, trovarono le ossa di solo due bambini. Dovettero ripulire anche Champtocé, ma trovarono anche qui altre prove e senza inseguirlo, decisero di aspettare a vedere quali altri indizi avrebbe lasciato per strada. Dopo queste pulizie di primavera, riprese con la sua attività e cominciò a tagliare le teste. Le collezionava, le osservava, le vezzeggiava e talvolta le baciava.
Ad aiutarlo c’era anche una vecchia megera, Perrine Martin, che condusse fanciulli vivi al macello e ne trasportò di morti per sbarazzarsene.
Il terreno di caccia migliore erano i piccoli paesini, poiché le notizie circa Gilles giungevano più raramente.
Fece diffondere la voce che il maresciallo a Machecoul dava laute elemosine, questo generò una folla di giovani questuanti davanti alle porte del castello. I ragazzi e i bambini non perdevano certo l’occasione di poter portare qualcosa a casa visti i tempi duri, e lo stesso faceva Gilles. Da una parte rispettava il monito dell’evangelista (date elemosinam et omnia munda sunt vobis), dall’altra saziava la sua sete di trasgressione, poiché il mendicante era figura di Cristo. Alle grandi notte di sangue, seguivano periodi di pentimento e pratiche pie, a loro modo sincere.
Nel periodo in cui visse a Tiffauges, Gilles de Rais si fece Cultor Diaboli nel momento più tormentato della sua esistenza, quando il raptus omicida, la rovina economica e il degrado psichico erano arrivati a un punto di non ritorno.
Gilles sapeva che i poteri sovrannaturali non erano solo riservati a Dio o al demonio, ma anche a una piccola porzione di mortali. E se la maggioranza temeva di cadere sulla strada colma di tranelli del Maligno, per il maresciallo avere commerci con lui era quasi un obbligo. Insieme con il culto del Male si accompagnava lo studio dell’alchimia. Essa si presentava come tecnologia rivoluzionaria e al tempo stesso confidenza nell’irrazionale. In questo campo, la Chiesa era molto vigile: non condannava l’alchimia, ma l’evocazione dei demoni ovviamente sì. Era naturale, quasi ovvio, che Gilles rimanesse abbagliato da quel pot-pourri di magia, scienza, filosofia ma anche simbolismo religioso e mistico. Durante la sua vita il barone poté leggere molti libri sull’argomento e iniziare a provare a evocare demoni. Aveva un suo procacciatore di maghi, così come ne aveva di bambini, ed era un prete di nome Blanchet. Costui cercava maghi, li invitava e faceva sì che il suo signore potesse provare a soddisfare la sua curiosità. Ovviamente prevaleva la delusione, in parte per colpa di ciarlatani, in parte per colpa sua. Il suo ossessivo attaccamento alla Chiesa non favoriva certo esperimenti di quel tipo e un inconscio terrore infantile gli fece perdere più di una occasione. A favore della sua ossessione religiosa, c’è la testimonianza che stesse scrivendo un libro sulle cerimonie sacre di Machecoul e l’inchiostro era rosso. Tra le tante dicerie sui massacri, si diceva che uccidesse i bambini per poter usare il loro sangue come inchiostro. Dopo tanti ciarlatani fu il turno di un alchimista, Jean Petit da Parigi. Nella primavera del 1439 Jean si trasferì a Tiffauges, dove visse chiuso nella sua camera indaffarato, poiché un esperimento andava condotto decine e centinaia di volte. Ma anche lui alla fine non combinò niente e lasciò la scena all’ultimo e più spregiudicato alchimista-evocatore della corte di Rais.
Nel maggio del 1439, appunto, un mago fiorentino, Francesco Prelati, arrivò a Tiffauges. Il mago era di Montecarlo, vicino a Pistoia e aveva ricevuto la tonsura ad Arezzo. Studiò geomanzia, altre lettere e arti, ma soprattutto alchimia. Il giovane mago era bello, eloquente, sciolto e sicuro nel parlare: motivi per cui fu probabilmente convocato da Blanchet, che lo conobbe a Firenze. Aveva un libro di magia di cui Gilles si invaghì e gli propose di provarlo insieme: voleva che il Diavolo lo aiutasse con la crisi economica. Tuttavia, il barone era davvero troppo spaventato, per cui il mago procedeva con le evocazioni da solo: più di dodici volte gli apparve il caro Barron, sotto le sembianze di un ragazzo di 25 anni.
Intanto alle sue finanze non si poneva rimedio e neanche il duca di Bretagna acconsentì a qual si voglia finanziamento. I giorni si susseguivano e Gilles voleva cambiar vita, di giorno, darsi al pellegrinaggio. E di notte, invece, ogni proposito andava a sciogliersi con l’ennesimo cadaverino nel camino. Blanchet si diede alla fuga quando venne a sapere che le chiacchiere su Gilles de Rais, assassino di bambini e scrittore poco ortodosso, si stavano diffondendo sempre più. Incalzato da un destino prossimo, il barone prese a uccidere quanti più poté.
Nel 1439 il re, dopo una riunione degli stati generali a Orleans, emanò un editto al fine di processare chiunque compisse atti di violenza ai danni dello stato. Inoltre, tutti gli eserciti di briganti, sbandati e mercenari dovevano essere sostituiti da un esercito regolare, centralizzato e sottoposto al solo potere regio. Così quando il delfino, il futuro Luigi XI, stava per giungere a Tiffauges per arrestare uno degli uomini più in vista del séguito militare di Gilles, che viveva ancora di saccheggi, il barone diede l’ordine di distruggere tutti i forni alchimistici. Sapendo che la città stessa era fonte di pericolo, si trasferì a Machecoul dove riprese l’attività dell’elemosina-esca.
Un certo La Ferron, tesoriere di Bretagna, aveva “acquistato” da lui la castellania Saint-Etienne-De-Mermorte. Si dà il caso che costui maltrattasse i contadini, vittime di vessazioni e soprusi dagli esattori del nuovo signore. Così Gilles, sensibile alle questioni di principio che riguardavano i contadini di cui sgozzava i figli nottetempo, si riprese il castello e imprigionò il chierico. Siamo a marzo del 1440. Con questo gesto, violava i privilegi ecclesiastici e il giuramento al duca in un colpo solo. Il vescovo di Nantes e cancelliere di Bretagna, Malestroit, aprì un’indagine segreta, sulla faccenda di La Ferron, ma che si spostò sull’accertamento dei crimini di cui si andava raccontando. Il 29 del mese di luglio, pubblicò la sua indagine in cui si affermava che, svolgendo delle visite nella sua diocesi, aveva raccolto voci pubbliche e frequenti, denunce e dichiarazioni circa il fatto che sodomizzasse, sgozzasse e massacrasse numerosi giovani innocenti e che avesse fatto spesso evocare demoni e stretto patti con loro.
Procedere all’arresto non era poi tanto facile: così Malestroit strinse un patto con Richemont in agosto a Vannes, che occupò Tiffauges. Alla notizia, Sillè e Briqueville fuggirono. La Ferron venne liberato. Il capitano Jean Labbè e il notaio Guillaument andarono, in settembre, ad arrestare Gilles per le accuse del caso di Ferron. Con lui presero Prelati, Blanchet, Poitou, Henriet e la megera. Gilles credeva ancora nell’accusa politica, mentre i collaboratori avevano capito tutto. Nella parte istruttoria del processo si scrissero tutte le testimonianze, mentre si teneva buono il barone con un’accusa di eresia dottrinale. L’8 ottobre si rivolse l’accusa vera e propria. Gilles si presentò vestito di bianco, come i bambini, i pazzi e la peste. A sentire i fogli riportanti le accuse e le testimonianze, il barone caduto dalle nuvole, rispose girando accuse sulla procedura del processo. La sua ottima difesa aveva creato non poco scompiglio e tentò di ingraziarsi il pubblico. Si rinviò il processo fino a che tutti gli incartamenti non fossero stati pronti ed eressero un monumento giuridico di 50 articoli: l’accusa era ricca di testimonianze, capi di accusa e soprattutto particolari. Blanchet e Prelati, in cambio dell’impunità, confessarono tutto e testimoniarono. Poitou e Griant erano già condannati alla forca.
Gilles venne scomunicato, la seduta venne sciolta e fissata per sabato, al barone venne permesso di leggere i capi d’accusa e prepararsi una line difensiva.
Sabato, piangendo, ammise i reati e chiese perdono per le ingiurie alla corte. Forse fu perché per la prima volta si trovava a doversi discolpare, forse perché la scomunica l’aveva profondamente scosso, forse perché voleva dimostrare di esser il più bruto dei mostri e facilmente diventare il più santo dei martiri, fatto sta che si elesse accusatore di sé stesso, suo stesso martire. Il 17 ottobre gli tolsero la scomunica, ma non contenti, poiché non tutti i capi erano stati confessati, lo condannarono alla tortura. Gilles, spaventato, confessò tutti i crimini del sangue, le torture e le sofferenze. Durante la penultima udienza confessò i delitti di sodomia con ricca dovizia di particolari, pregò i genitori di prendersi cura dei loro figli e di non lasciarli uscire della retta via, di non abituarli all’ozio e di pregare sempre. Inoltre, volle che trascrivessero tutto in volgare perché chiunque potesse leggere. Durante l’ultima udienza venne riconosciuto colpevole di ogni reato. Tuttavia, morì quasi da santo, col suo pentimento e la sua religiosità. Anche la sua morte venne “graziata”, venne sì impaccato con Griant e Poitou, ma il suo corpo venne trafugato dalla pira prima che appiccassero il fuoco e ricevette una sepoltura più convenzionale. Come la sua anima da viva non riuscì a trovar pace, così il suo corpo non trovò riposo da morto e venne gettato nel fiume durante la rivoluzione francese. Morì così uno dei primi serial killer documentati della storia, il più intimo amico dell’eroina nazionale francese.
La storia di Gilles de Rais, che già da vivo aveva fatto nascere molte leggende, più tardi ispirò anche Charles Perrault per il suo celebre Barbablù.
Even if there had been nothing else unusual about the Breton nobleman Gilles de Rais (1404–40), his outstanding career as a soldier in the Hundred Years’ War and as a comrade in arms of Joan of Arcwould have been enough to guarantee his place in history. Today, though, those achievements can only be seen in the shadow of the secret life he led as the perpetrator of more than a hundred gruesome child murders, a rampage which made him arguably the first serial killer in recorded history.
The early life of Gilles de Rais was marked by tragedy. Both his parents died about 1415: his father, Guy de Laval, was killed in a gruesome hunting accident that de Rais may have witnessed, and his mother, Marie de Craon, died of an unknown cause. He was raised by his maternal grandfather, Jean de Craon. As a young man, de Rais seems to have been impetuous and hot-headed, characteristics that translated well to the battlefield, where he was by all accounts a skilled and fearless fighter. When Joan of Arc appeared on the scene in 1429, he was assigned by the dauphin (later Charles VII) to watch over her in battle. The two fought together in some of the major battles of her short career, including the lifting of the Siege of Orléans. In 1429 he was appointed to the position of marshal of France—France’s highest military distinction.
His military career began to wind down with the death of Joan of Arc in 1431, and he spent more time at his estate, which was among the richest in western France. De Rais spent his fortune recklessly, paying enormous sums for decorations, servants, and a large military retinue and commissioning music and works of literature. His sale of family lands to finance his extravagant lifestyle sparked a bitter fight with other members of his family, especially Jean de Craon, who pointedly left his sword and armor to Gilles’s younger brother René when he died in 1432.
In later years de Rais seems to have been increasingly concerned with religion and his own salvation. In 1433 he financed the construction of a chapel “for the bliss of his soul,” which he called the Chapel of the Holy Innocents and which was staffed—horrifyingly, in light of de Rais’s crimes—with a boys’ choir selected by de Rais himself. He also investigated the occult as a means to save his rapidly collapsing finances, employing a succession of alchemists and sorcerers.
Meanwhile, rumors had begun to circulate. Children had gone missing in the areas around de Rais’s castles, and many of the disappearances seemed to be connected to the activities of de Rais and his servants. Because it was common for young boys to be permanently separated from their parents if they were taken on by nobles as servants or pages, some of his victims’ parents would have been truly unaware of their children’s fates. In other areas, though, de Rais’s murderous predilections may have become something of an open secret—it came out during his trial, for instance, that witnesses had seen his servants disposing of the bodies of dozens of children at one of his castles in 1437—but the families of the victims were restrained by fear and low social status from taking action against him. De Rais wasn’t arrested until September 1440, when he kidnapped a priest after a dispute that was unrelated to the murders. He was then tried concurrently in ecclesiastical and civil court for a range of offenses including heresy, sodomy, and the murder of more than 100 children.
Under threat of torture, de Rais confessed to the charges and described ritualistically torturing dozens of children kidnapped by his servants over a period lasting nearly a decade. He was sentenced to death by simultaneous burning and hanging, and the punishment was carried out in Nantes on October 26, 1440. De Rais had been contrite and composed in the face of execution. This, bizarrely, brought him posthumous acclaim as a model of Christian penitence. A three-day fast was even observed after his death. In one last nauseous irony, a tradition emerged in which parents around Nantes commemorated the anniversary of de Rais’s execution by whipping their children, perhaps to impress upon them the gravity of the sins for which he had repented. This practice is believed to have survived for more than a century after his death.
In modern times, revisionists have questioned whether or not de Rais was truly guilty of the crimes for which he was executed, noting that his confession was extracted using the threat of torture. Most historians who have examined the evidence from de Rais’s trial, though, continue to believe that he did in fact commit the murders.
GILLES DE RAIS
Gilles de Rais, de son vrai nom, Gilles de Montmorency-Laval, est né à la fin de l’année 1404. C’est un seigneur de Bretagne qui a été fait maréchal de France à 25 ans et qui a combattu auprès de Jeanne d’Arc la pucelle.
Mais il est surtout connu pour ses crimes atroces: on raconte qu’il aurait violé et assassiné dans des circonstances abominables plus de 140 enfants. Il a été jugé coupable de ces forfaits et pendu le 26 octobre 1440 avant d’être mis sur un bûcher. Mais en 1992, après une longue enquête, le Sénat l’a entièrement disculpé de toutes ces atrocités. Alors Gilles de Rais: meurtrier sanguinaire ou victime d’une machination politique?
Gilles de Montmorency-Laval est né à la fin de l’année 1404 au château de Machecoul, en Bretagne. On ne peut dater avec exactitude sa naissance, qui a eu lieu entre le mois de septembre et le mois d’octobre de l’année 1404.
Sa mère, Marie de Craon, décède neuf ans plus tard, suivie par son mari, Guy II de Laval-Rais : à l’âge de 10 ans, Gilles de Rais est orphelin. Le testament de son père voulait qu’il soit élevé par un cousin, Jean de Tournemine. Mais il en fut autrement, et c’est son grand-père maternel, Jean de Craon, qui éleva Gilles et son frère René.
Pendant près de 15 ans, ce vieil homme à la mauvaise réputation s’occupe des enfants. Jean de Craon est connu pour être violent, colérique. C’est ce qu’il inculque à Gilles. Il lui parle de vaillance et de bravoure au combat, mais il le pousse aussi à céder à ses pulsions, sans scrupule….
Gilles de Rais se marie le 26 juin 1422 avec Catherine de Thouars, après 2 fiançailles rompues pour cause de future épouse décédée. Il a alors 17 ans.
Gilles de Rais est né en pleine Guerre de Cent Ans. Il est aussi le petit-neveu de Bertrand Du Guesclin, héros militaire du début de la guerre. Il est donc naturel pour lui de se tourner vers une carrière militaire, qu’il embrasse en 1427. Il combat aux côtés de Charles VII contre les anglais. Il récupère les châteaux de Lude, la forteresse de Rainefort et le château de Malicorne-sur-Sarthe.
A Chinon, le roi lui confie une de nouvelles prérogatives. Il doit accompagner Jeanne d’Arc, avec ses troupes, pour la bataille d’Orléans. C’est après leur victoire que Jeanne D’arc et Gilles de Rais deviennent non seulement des compagnons d’armes, mais aussi de véritables amis.
Charles VII est sacré roi de France à Reims après la victoire de Patay le 17 juillet 1429. Gilles de Rais devient, quant à lui, maréchal de France. Il n’a que 25 ans. Mais Jeanne d’Arc est capturée en 1430 puis brûlée en 1433, et son ami Gilles de Rais ne se trouve plus dans les petits papiers du roi.
Il se retire donc dans l’un de ses châteaux, celui de Tiffauges, en Vendée.
GILLES EN SON CHÂTEAU
En rentrant chez lui en Vendée, Gilles de Rais réalise que beaucoup de choses avaient changé. Tout d’abord, son bébé, né en 1429, est devenu une charmante petite fillette de 4 ans. Et puis son grand-père, Jean de Craon, a quitté ce monde pour celui des morts, quelques mois plus tôt.
Résultat, Gilles de Rais se retrouve à la tête d’une fortune considérable pour l’époque. Il est propriétaire de nombreux châteaux, et donc de nombreuses familles, puisqu’en ces temps-là, les gens du peuple appartenaient à leur maître, qui avait le droit de vie et de mort sur leurs terres.
Mais cette fortune va vite se liquider. Gilles de Rais est dépensier. Il aime le faste et les soirées de débauche. On donne souvent en exemple la garde de 200 hommes à cheval qu’il avait et que peu de princes pouvaient avoir. Ou encore toute sa cour, qui le suivait partout, et qu’il nourrissait voluptueusement.
Il aimait les belles choses, ses châteaux étaient donc remplis de draps d’or, de soie, de vases somptueux sur lesquels on pouvait distinguer de magnifiques pierres de taille.
En 1434, pour fêter la date anniversaire de la prise d’Orléans, il offre à la ville une série de reconstitutions de la bataille. Les représentations ont duré un an, et elles ont entraîné Gilles de Rais dans les affres du surendettement.
A cette époque, la magie, les sortilèges et les incantations sont monnaie courante. Gilles de Rais ne fait pas exception. Même s’il est profondément croyant et pratiquant, il se tourne régulièrement vers la magie pour tenter de résoudre ses problèmes.
Un prêtre florentin, du nom de Francisco Prelati lui est présenté. Cherchant par tous les moyens à combler ses dettes colossales, on raconte que Gilles de Rais aurait passé un pacte avec le Diable grâce à Prelati. Et tandis que d’un côté, il promet au Diable tout ce qu’il souhaite, de l’autre, il expie ses pêchés en allant quotidiennement à la messe et à confesse.
Il ne faut pas oublier que nous sommes au 15e siècle. Il ne fleure pas bon de s’acoquiner avec la sorcellerie, fut-ce telle blanche. Et Gilles de Rais le sait bien. Il a vu ce qu’on a fait à son amie Jeanne d’Arc. Il s’emploie donc minutieusement à cacher son penchant pour l’ésotérisme.
On raconte que c’est lorsqu’il s’est tourné vers la magie qu’il a commencé à perpétrer des meurtres sur des enfants. Et c’est ainsi que des amis à lui, comme Princay, Roger Briqueville ou Gilles de Sillé ont été ses complices, en apportant les futures victimes, en les maltraitant ou en menaçant les parents.
Un seul fait est avéré: Il a effectivement apporté dans un bocal une main, une paire d’yeux et le cœur d’un enfant à Prelati. Mais rien ne prouve que cet enfant a été sauvagement assassiné par ou pour les besoins de Gilles de Rais.
L’ARRESTATION DE GILLES DE RAIS
Le 15 mai 1440, Gilles de Rais veut reprendre possession de son château de Saint-Etienne de Mermorte. Il l’avait vendu quelques temps pour combler ses dettes, à Jean le Ferron. Il entre dans l’église, suivi d’une 60aine d’hommes. Il brandit une arme et menace d’égorger le frère de Jean le Ferron. Aux yeux de l’église, Gilles de Rais a commis un acte ignoble. Il a violé le principe ecclésiastique. Il le sait, et décide donc de s’amender en demandant une entrevue avec Jean V.
Mais le mal est fait. Toutes les invocations sataniques de Prelati n’y feront rien. Une enquête secrète est diligentée par l’évêque de Nantes et le chancelier de Bretagne.
Les résultats sont catastrophiques. Le portrait qu’on y fait de Gilles de Rais est sans équivoque, nous avons à faire à un monstre sanguinaire.
Le Duc de Bretagne autorise donc son frère, officier du roi, à prendre le château de Tiffauges, où se trouve Gilles de Rais.
Le 13 septembre, le maréchal de France est cité à comparaître devant le tribunal ecclésiastique. Il est arrêté 2 jours plus tard. A ce moment-là, les chefs d’accusations n’ont rien à voir avec les atroces rumeurs qui courent à son sujet. On lui reproche d’avoir violé le privilège ecclésiastique, c’est-à-dire d’être entré armé dans une église et d’y avoir frappé Le Ferron. Il accepte donc d’être emprisonné et se dit qu’il sortira bientôt de ce mauvais pas.
8 octobre 1440. Gilles de Rais découvre ce pour quoi il va être jugé: actes de sodomie, assassinats et sorcellerie. Autrement dit, parmi les chefs d’accusation les plus graves de l’époque.
Il prend conscience qu’il va lui être impossible ou presque de sortir en vie de ce procès.
Les témoignages affluent. On parle du meurtre de140 enfants. Des gens mentionnant la disparition de leur enfant, d’autres, au service du maréchal, qui auraient vu des actes ignobles. Et puis les exemples concrets tombent. On a trouvé les complices de Gilles de Rais: ses amis Poitou et Henriet. Tous 2 font les mêmes déclarations: ils auraient parcouru les campagnes afin de trouver de la chair fraîche pour leur ami. Par chair fraîche, entendez jeunes garçons. Celui-ci les violant, les torturant avec un plaisir sadique avant de les tuer, et de les éventrer pour se délecter de leurs entrailles, tout ça dans le but de satisfaire les désirs de Satan.
Au 15e siècle, les tortures étaient très courantes. On ne sait donc pas si les prévenus ont été molestés avant tout aveu. De plus, les aveux -qui relatent des faits allant de 1432 à 1440- sont identiques, dans les moindres détails.
Entendant ça, le maréchal tempête et crie à la calomnie, au mensonge, ce qui lui vaut l’excommunication, une punition qui l’atteint tant qu’il décide de tout avouer, à condition que cette excommunication soit levée.
On est le 22 octobre. Les jurés et le public attendent les aveux. Gilles de Rais parle et l’assistance reste muette en écoutant dans le détail toutes les atrocités qu’il aurait fait subir aux enfants: des viols, des sacrifices, des tortures horribles, des égorgements, des éventrations, des éviscérations, des jeux sexuels sadiques pour des rituels sataniques…Tout ça pour assouvir ses passions. Les familles des victimes sont présentes. Et à la stupeur générale, elles ne se ruent pas sur Gilles de Rais pour le tuer, au contraire, elles s’agenouillent et prient pour lui lorsqu’il leur demande pardon.
LA FIN DU MARÉCHAL DE FRANCE
Le jugement est prononcé le 25 octobre. Gilles de Rais et ses 2 acolytes sont condamnés à être pendus puis brûlés. Il accepte le jugement mais implore la cour de lui faire 3 faveurs: que les familles des victimes puissent organiser une procession, qu’il soit exécuté avant Henriet et Poitou, et qu’enfin on retire son corps du bûcher avant d’être totalement calciné, pour pouvoir être inhumé.
La sentence a lieu dès le lendemain en prairie de Biesse à Nantes. Les hommes sont pendus (Gilles de Rais avant ses complices) puis il est mis sur le bûcher. On lui accorde sa dernière faveur en le retirant des flammes avant que son corps ne soit totalement réduit en cendres. Il est inhumé dans le monastère des Carmes.
Et chose étrange, les enfants ont tous reçus des coups de fouet afin de se souvenir du plus grand tueur en série que la France ait connu.
Après l’exécution, on a entrepris des fouilles dans les différents châteaux du seigneur de Rais. L’histoire raconte qu’on aurait trouvé 49 crânes d’enfants. Mais aujourd’hui, rien ne prouve que ces chiffres ni même ces découvertes sont exactes. Et même si Gilles de Rais est entré dans la légende avec Barbe-Bleue, il y a toujours eu un doute quant à sa culpabilité.
Exécution de Gilles de Rais
En novembre 1992, soit plus 550 ans après sa mort, un tribunal s’est réuni au Sénat. Il était composé de parlementaires, d’experts et d’anciens ministres. Il devait réviser le procès d’octobre 1440. Chose qu’il a fait puisqu’il a annoncé l’acquittement de Gilles de Rais.
Une question se pose: s’il était innocent, pourquoi avoir accepté d’avouer ces crimes atroces? A la lecture des livres de Georges Bataille ou de Jean-Pierre Bayard, on comprend que Gilles de Rais a été victime de l’Histoire. Il a payé cher le tribut de l’Inquisition et aurait avoué pour que ses biens restent dans sa famille.
Mais même si le Sénat l’a disculpé, l’Histoire garde en mémoire les atroces souffrances que le seigneur de Rais a fait endurer à ces enfants. Il est devenu au fil du temps le grand méchant loup des contes de fée et l’horrible Barbe-Bleue. La légende retiendra le plus grand tueur en série français de tous les temps.
GILLES DE RAIS EN QUELQUES DATES
- Septembre-octobre 1404 : naissance de Gilles de Laval à Machecoul
- 26 juin 1422 : il épouse Catherine de Thouars
- 1427 : il entame une carrière militaire
- 28 avril 1429 : il part pour la ville assiégée d’Orléans avec sa compagne d’armes, Jeanne d’Arc
- 30 mai 1431 : Jeanne d’Arc, la grande amie de Gilles de rais, est brûlée à Rouen
- 1432-1433 : début des crimes
- 1437 : il se retire de la carrière militaire
- 14 mai 1439 : il fait al connaissance du père Francisco Prelati
- 15 mai 1440 : il viole le privilège ecclésiastique et provoque le duc de Bretagne
- 24 août 1440 : le château de Tiffauges est pris d’assaut
- fin août 1440 : Gilles de Rais est arrêté
- 13 septembre 1440 : il comparait devant le tribunal ecclésiastique pour officiellement être entré armé dans une église et y avoir frappé un homme
- 19 septembre 1440 : début des débats
- 8 octobre 1440 : il découvre ses véritables chefs d’accusations : viols et meurtres d’enfants, pacte avec le diable
- 15 octobre 1440 : Gilles de rais avoue ses crimes, mais renie tout pacte avec le démon
- 23 octobre 1440 : condamnation à mort de Gilles de Rais et de ses complices
- 25 octobre 1440 : la cour ecclésiastique le condamne aussi à mort et l’excommunie
- 26 octobre 1440 : mort de Gilles de Rais par pendaison
BIBLIOGRAPHIE ET FILMOGRAPHIE
Bibliographie
Gilles de Rais, Maréchal de France, dit Barbe Bleue,
de l’Abbé Eugène Bossard
Editions champion
1885
Là-bas
de Joris Karl Huysmans,
Aux éditions LGF (réédition)
1891
La psychose de Gilles de Rais,
de G.Bernelle
1910
Le procès de Gilles de Rais,
de Georges Bataille
Au club français du livre
1959
Gilles de Rais,
de Michel Bataille
Aux éditions planète
1966
Gilles et Jeanne,
Roman de Michel Tournier
Aux éditions Gallimard
1983
Gilles de Rais, vérités et légendes
De Jacques Heers
Aux éditions Perrin
1994
Filmographie
Difficile, l’histoire de Gilles de Rais a été le sujet de projets de films de Pier Paolo Pasolini et de Luis Buñuel. Un scénario a été même écrit par Buñuel et Jean-Claude Carrière, puis abandonné. Citons dans le cinéma indépendant :
Monstrum : le terrifiant destin de Gilles de Rais
d’Éric Dick
2014
Mais Gilles de Rais possède au cinéma un formidable atout : il est présent dans les films relatant l’histoire de Jeanne d’Arc.
La Merveilleuse Vie de Jeanne d’Arc, fille de Lorraine
réalisé par Marco de Gastyne.
Rôle interprété par Philippe Hériat.
1929
Jeanne d’Arc, le pouvoir de l’innocence
téléfilm réalisé par Pierre Badel.
Rôle interprété par Vincent Gauthier.
1989
Jeanne la Pucelle
film en deux parties réalisé par Jacques Rivette.
Rôle interprété par Bruno Wolkowitch.
1994
Jeanne d’Arc
réalisé par Luc Besson.
Rôle interprété par Vincent Cassel.
1999
BIBLIOGRAFIA
FERRERO E., BARBABLÙ: GILLES DE RAIS E IL TRAMONTO DEL MEDIOEVO, TORINO, EINAUDI, 2004
ARTICOLO REDATTO DALLA ALLIEVA COLONGO ELEONORA DELLA CLASSE IV A DEL LICEO CLASSICO
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