Perché Thomas Mann, oggi? Una figura complessa e inquietante, insieme composta e lacerata, rimasta spesso confinata nei limiti della critica letteraria, e dunque per molti versi una figura ancora non indagata e sicuramente inattuale. Occorre una ricognizione estetica e filosofica del romanziere tedesco, articolata dagli autori  attraverso un reale dialogo che lascia emergere, all’interno dell’opera manniana, sia le sfaccettature mitologiche sia le numerose connessioni col pensiero filosofico. Partito dalla classica triade del ‘pessimismo’ tedesco Schopenhauer- Wagner-Nietzsche, col sempre presente e pressante modello goethiano alle spalle, Mann si avventura nella vastità dei territori dello spirito attraverso la necessità della narrazione, presagendo però consapevolmente di essere un ‘ultimo’, uno che chiude e conclude un intero periodo dell’Occidente. La crisi della coscienza di un’epoca avviata verso la notte e l’oblio; il problema del male e della malattia in relazione all’esistenza stessa dell’arte; la possibilità di un nuovo, difficile umanesimo per poter uscire dalla ‘decadenza’; infine, il rapporto col mito come emblema di ciò che è universalmente umano, uno studio sull’ermetico, ovvero quel peculiare e segreto elemento mitologico che accompagna il ‘mago’ Mann lungo tutto l’arco della sua opera. 



“Si pensa a questa o quella persona, ci si domanda come starà, e all’improvviso si rammenta che essa non va più a passeggio per le strade, che la sua voce non risuona più nel coro generale, ma semplicemente è scomparsa per sempre dalla scena e giace sotto terra laggiù, fuori della città.”



“La solitudine dà alla luce l’originale che c’è in noi.” 



“È l’amore, non la ragione, che è più forte della morte.”



“Ci sono tante diverse specie di stupidità, e il senno non ne è la peggiore.”



 

1875Geburt am 6. Juni 1875 in Lübeck als zweiter Sohn des Kaufmanns und späteren Senators Thomas Johann Heinrich Mann und dessen Frau Julia (geb. da Silva-Bruhns).1889Eintritt in das altsprachliche Gymnasium »Katharineum«.1891Tod des Vaters, gefolgt von der Liquidierung der väterlichen Firma.1893Mitherausgeber der Schülerzeitung »Frühlingssturm. Monatsschrift für Kunst, Literatur und Philosophie«1894Beendigung der Schullaufbahn mit dem »Einjährigen«. Umzug nach München, wo die Mutter inzwischen mit den jüngeren Geschwistern lebte. Volontär bei einer Versicherungsgesellschaft. Publikation seiner ersten Novelle »Gefallen«.1895Entschluss, sich eine Existenz als freier Schriftsteller aufzubauen. Studium an der Technischen Hochschule München. Mitarbeit bei der von seinem Bruder Heinrich herausgegebenen Zeitschrift »Das Zwanzigste Jahrhundert. Blätter für deutsche Art und Wohlfahrt«.1896 – 1898Italienreise mit seinem Bruder Heinrich; unterwegs Beginn der Arbeit an den »Buddenbrooks«.1898Veröffentlichung einer Novellen-Sammlung unter dem Titel »Der kleine Herr Friedemann«.1898 – 1900Redakteur bei der satirischen Zeitschrift »Simplicissimus« in München.1900Militärdienst.1901Veröffentlichung des Romans »Buddenbrooks. Verfall einer Familie«, der ein großartiger Erfolg wird.1905Eheschließung mit Katharina Pringsheim, genannt Katia; aus der Ehe gingen sechs Kinder hervor: Erika (1905), Klaus (1906), Golo (1909), Monika (1910), Elisabeth (1918) und Michael (1919).1912Inspiration zu dem Roman »Zauberberg« während eines Besuchs seiner kranken Frau Katia in einem Lungensanatorium in Davos, Schweiz.1914Bau und Bezug eines Hauses in der Poschinger Straße 1 in München.1915 – 1918Zerwürfnis mit dem Bruder Heinrich wegen ihrer unterschiedlichen Haltungen zum Ersten Weltkrieg (Thomas war kaisertreu und kriegsbegeistert, Heinrichs Haltung pazifistisch und demokratisch).1923Tod der Mutter1924Veröffentlichung des Romans »Zauberberg«.1926Beginn der Arbeit an der »Joseph«-Tetralogie.1929Nobelpreis für Literatur für den Roman »Buddenbrooks. Verfall einer Familie«.1930Mahnrede als Warnung vor dem Erstarken der Partei der Nationalsozialisten »Deutsche Ansprache – Ein Appell an die Vernunft«. Reise nach Ägypten und Palästina.1933Emigration nach Frankreich, später Niederlassung in Küsnacht bei Zürich.1936Aberkennung der deutschen Staatsbürgerschaft und Annahme der tschechischen.1938Asyl in den USA; Gastprofessur an der Universität Princeton, New Jersey.1941Umsiedelung nach Kalifornien.1942Bau und Bezug eines eigenen Hauses in Pacific Palisades, Kalifornien, sein Wohnsitz bis 1952.1942 – 1945Radiosendungen unter dem Titel »Deutsche Hörer!«, Übertragung nach Deutschland mit Hilfe der BBC.1944Annahme der amerikanischen Staatsbürgerschaft.1947Veröffentlichung von »Doktor Faustus«. Erste Reise nach Europa nach dem Krieg.1949Erster Besuch Deutschlands nach dem Krieg.1950Tod des Bruders Heinrich.1952Endgültige Rückkehr nach Europa; Niederlassung in der Schweiz.1954Erwerb eines Hauses in Kilchberg bei Zürich.1955Ehrenbürger der Stadt Lübeck. Tod am 12. August 1955 im Kantonsspital Zürich.


1875
Thomas Mann nasce il 6 giugno 1875 a Lubecca come secondo di quattro figli di Thomas Johann Heinrich Mann, senatore e facoltoso commerciante, e di Júlia da Silva Bruhns, nata da padre tedesco e madre brasiliana. A Lubecca frequenta il ginnasio, dedicandosi però allo studio con scarso interesse e modesti risultati.
1894
Dopo la morte del padre nel 1892 la madre si trasferisce con i figli a Monaco di Baviera, mentre Thomas rimane ancora a Lubecca per completare gli studi. Nel 1894 si trasferisce anche lui a Monaco. Inizia a lavorare in una compagnia di assicurazioni, ma nel tempo libero comincia a scrivere. Infatti, dopo solo un anno decide di mollare il lavoro.
1895
Thomas Mann si iscrive all’università con l’intenzione di fare il giornalista, scrive brevi racconti, scrive per una rivista culturale, legge molto e si dedica anche alla recitazione in piccoli teatri.
1896 – 1898
Soggiorno a Roma, insieme a suo fratello Heinrich, di quattro anni più grande e all’epoca già un noto giornalista e scrittore. Nel 1897 Thomas inizia a scrivere I Buddenbrook.
1901
Nel 1901 esce il primo grande romanzo di Thomas Mann, Buddenbrooks (I Buddenbrook), che è subito un enorme successo con cui Thomas Mann diventa di colpo conosciuto, anche al di fuori della Germania. Il romanzo, fortemente autobiografico, racconta l’ascesa e la caduta, attraverso diverse generazioni, di una ricca famiglia di mercanti di Lubecca.
1903
Fa seguito Tristan, una raccolta di sei novelle fra cui anche il celebre Tonio Kröger.
1905
Nel 1905 sposa Katia Pringsheim, figlia di uno degli uomini più ricchi della capitale del regno della Baviera.
1905 – 1919
Thomas e Katia fanno il loro viaggio di nozze a Zurigo; lì un ginecologo suggerisce a Katia di non avere bambini nei primi anni di matrimonio, vista la sua delicata costituzione. Ma dopo nove mesi esatti nasceErika, nel novembre 1905. Un anno dopo nasce il secondogenito Klaus (1906), successivamente Golo(1909) e poi Monika (1910). Dopo la prima guerra mondiale nasconoElisabeth (1918) e poi per ultimo Michael (1919).
1909
Nel 1909 esce il secondo romanzo Königliche Hoheit (Altezza reale), incentrato sulla figura del principe Klaus Heinrich, regnante in un piccolo Stato immaginario, e sulla sua vita di corte fatta di regole e di fastose apparenze. Alla fine della storia il principe sposerà la figlia di un miliardario americano.
1912
Nel 1912 esceTod in Venedig (La morte a Venezia) suscitando grande scalpore: Gustav Von Aschenbach, celebre poeta in vacanza a Venezia, viene attratto dal bellissimo Tadzio e per lui resta nella città colta da un’epidemia di colera, per lui si avvia alla morte.
1914 – 1918
Nel 1914 Mann sostiene la causa tedesca nella prima guerra mondiale, in aperto contrasto con il fratello Heinrich, che era pacifista convinto. Alla fine della guerra (nel 1918) escono le Betrachtungen eines Unpolitischen (Considerazioni di un impolitico), un saggio che conferma la posizione conservatrice di Thomas Mann.
1924
Nel 1924 esce il secondo grande capolavoro Der Zauberberg (La montagna incantata). Il romanzo parla della formazione umana e spirituale del giovane ingegnere Hans Castorp durante i suoi anni di permanenza in un sanatorio sulle Alpi svizzere. È ricca di dialoghi e riflessioni che spaziano tra molti ambiti della cultura dell’epoca e che segnano una svolta importante verso idee più liberali e democratiche. Questo importante romanzo porta a un riavicinamento a suo fratello Heinrich.
1926
Nel 1926 Mann inizia a scrivere la tetralogia biblica Joseph und seine Brüder (Giuseppe e i suoi fratelli)a cui lavorerà per 15 anni. Il primo dei quattro volumi esce nel 1933, l’ultimo nel 1943. È una ricca rielaborazione della storia biblica di Giuseppe, tratta dalla Genesi che diventa una suggestiva narrazione che unisce mito e psicologia.
1929
Nel 1929 riceve il Premio Nobel per il romanzo I Buddenbrook.
Vedi a proposito: Thomas Mann – premio Nobel per la letteratura
1933
Adolf Hitler arriva al potere.
1933
Con l’arrivo di Hitler al potere, inizia il suo esilio: prima in Francia, poi in Svizzera, infine negli Stati Uniti dove accetta l’incarico di docente nell’Università di Princeton.
1936
Dal 1936 in poi prende pubblicamente posizione contro la dittatura nazista, per questo i nazisti gli tolgono la cittadinanza tedesca e i suoi beni vengono confiscati.
1939
Nel 1939 viene pubblicato, negli Stati Uniti, il romanzo Lotte in Weimar (Lotte a Weimar), un romanzo che ha come protagonista Johann Wolfgang Goethe, uno dei grandi modelli di Thomas Mann. Tra il 1940 e il 1945 Thomas Mann tiene regolarmente brevi discorsi radiofonici contro il nazismo che vengono trasmessi dalla BBC nel territorio della Germania.
1944
Nel 1944 Thomas Mann ottiene la cittadinanza americana.
1945

Con la fine della seconda guerra mondiale e la caduta del regime nazista Thomas Mann non torna in Germania. La divisione della Germania nel 1949 e l’inizio della guerra fredda lo fanno esitare: essendo diventato, durante la guerra, una delle voci più autorevoli di una Germania moralmente “pulita”, non vuole essere usato né dalla Germania dell’est né da quella dell’ovest per scopi politici e propagandistici. Soffre molto della divisione della Germania.

Un altro motivo che lo trattiene dal tornare sono le critiche che si sono sollevate in Germania contro di lui che gli rimproverano di aver attribuito, durante i suoi discorsi radiofonici, una colpa collettiva dei tedeschi per quello che è successo in Germania tra il 1933 e il 1945.

1947
Nel 1947 esce Doktor Faustus con cui riprende il vecchio tema del patto col diavolo, tanto caro a Goethe, e lo sviluppa in un’inedita maniera collegandolo alle vicende inquietanti della Germania nazista.
1949 – 1950
Nei primi anni del dopoguerra lo scrittore è sconvolto da una serie di disgrazie: nel 1949 si suicida il figlio Klaus, l’anno seguente muore il fratello minore Viktor e nel 1950 scompare anche l’altro fratello Heinrich.
1949 – 1955
Tra il 1949 e il 1959 Thomas Mann intraprende varie visite in Germania, sia nella parte ovest che nella Germania dell’est. Alle critiche risponde: “Non conosco due stati tedeschi, conosco solo la Germania”.
1951
Tra il 1948 e il 1950 Thomas Mann scrive il romanzo Der Erwählte (L’eletto) che esce nel 1951. Il romanzo è basato su un poema in versi di Hartmann von Aue (XII secolo). È una versione fantastica della vita di Papa Gregorio I, ispirata al mito di Edipo.
1952
Sette anni dopo la fine della guerra torna definitivamente in Europa, ma preferisce stabilirsi in Svizzera (a Kilchberg), non in Germania.
1954
L’ultimo grande successo letterario di Thomas Mann è Bekenntnisse des Hochstaplers Felix Krull (Le confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull), un progetto iniziato già nel 1910, terminato ora nel 1954. Il romanzo rimane però un frammento perché doveva avere una seconda parte che Thomas Mann non riesce più ad affrontare.
1955
Il suo ultimo viaggio in Germania lo porta a Lubecca, nella sua città natale, dove gli viene conferito il titolo Dottore Honoris Causa.
Il 12 agosto 1955 Thomas Mann muore per collasso, a Zurigo in Svizzera.

 



E la storia dell’ascesa e del declino di una famiglia della borghesia mercantile del sec. XIX, titolare a Lubecca di una ditta di cereali, fondata nel 1768. La vicenda si intreccia intorno alla vita dei primogeniti di quattro generazioni: Johann senior, Johann-Jean junior, Thomas e Hanno. Il romanzo si apre con un pranzo dato dal vecchio Johann per inaugurare la nuova sede della ditta. Le fortune della famiglia aumentano, Johann junior diventa console dei Paesi Bassi, Thomas senatore. Thomas acquista una nuova sede ancora più prestigiosa dell’altra, ma i germi della decadenza diventano sempre più evidenti. Christian, fratello minore di Thomas, muore in sanatorio; la sorella Tony passa da un matrimonio all’altro, l’ultimo erede Hanno muore infine di tifo. Introduzione di Italo Alighiero Chiusano.

 

 

 

 

 


Questo libro raccoglie alcuni tra i più celebri romanzi brevi di Thomas Mann: “La morte a Venezia” (1913), “Cane e padrone” (1919), “Tristano” (1903), “Tonio Kroger” (1903). Scritti nell’arco di sedici anni, essi affrontano i temi cari al grande narratore tedesco: l’amore come passione travolgente, fonte di poesia e di vita, ma anche di dissoluzione, di decadenza, di morte; il contrasto tra i bisogni dell’artista e le regole del mondo borghese; la difficile lotta insita nella creazione artistica, per la quale sono ugualmente necessarie la libertà della passione e la severa, ascetica disciplina.

 

 

 

 

 


 

Una Venezia estiva ammorbata da una peste incombente ospita l’inquieto Gustav Aschenbach, famoso scrittore tedesco che ha costruito vita e opera sulla più ostinata fedeltà ai canoni classici dell’etica e dell’estetica. Un sottile impulso lo scuote nel momento in cui compare sulla spiaggia del Lido la spietata bellezza di Tadzio, un ragazzo polacco. Un unico gioco di sguardi, la vergogna della propria decrepitezza, la scelta di imbellettarsi per nasconderla, sono i passi che scandiscono la vicenda. In pieno Novecento, Thomas Mann ha colto e rappresentato la grande cultura borghese in via di dissoluzione, in un’opera emblematica che fonde la perfezione formale con la rappresentazione degli aspetti patologici di quella crisi.

 

 

 

 

 


 

Scritto nel 1903, il racconto è la storia del lento pervenire del giovane Kroger alla coscienza della propria diversità dai coetanei. In una condizione di totale isolamento la sua sensibilità si dibatte nell’antinomia tra origini borghesi e attrazione per l’arte. Il contrasto fra arte-malattia da un lato e borghesia-normalità dall’altro – matrice della poetica di Thomas Mann – si manifesta nel silenzioso idillio con Ingeborg Holm e nell’incompresa amicizia per Hans Hansen: le due figure che costituiranno per sempre i limiti della solitudine e della gelosia di Tonio. Questo difficile equilibrio viene vissuto con drammatica inquietudine tra Lubecca, dove il giovane scrittore è nato e si è formato, e Monaco, dove diventerà celebre, senza sedare del tutto le proprie angosce.

 

 

 

 


 

“‘La montagna incantata’ è un fedele, complesso, esauriente ritratto della civiltà occidentale dei primi decenni del Novecento e, nella sua incantata fusione di prosa e poesia, di vastità scientifica e di arte raffinata, è il libro, forse, più grandioso che sia stato scritto nella prima metà del secolo.” Con queste parole, un entusiasta Ervino Pocar concludeva l’introduzione all’edizione della “Montagna incantata” da lui tradotta nel 1965 che da allora ha fatto conoscere e apprezzare ai lettori italiani questo Bildungsroman straordinariamente complesso ambientato in un sanatorio svizzero, il celebre Berghof di Davos. Quando il protagonista, il giovane Hans Castorp, vi arriva, è il tipico tedesco settentrionale, un solido e rispettabile borghese. A contatto con il microcosmo del sanatorio il suo carattere subisce un’evoluzione e un incremento: passa attraverso la malattia l’amore, il razionalismo e la gioia di vivere, il pessimismo irrazionale, senza che nessuna di queste posizioni lo converta. Ma in mezzo a tante forze contrastanti, Castorp trova il proprio equilibrio. In questo mondo dove il tempo si dissolve e il ritmo narrativo si snoda in sequenze di ore, giorni, mesi e anni resi tutti indistinti dalla routine quotidiana, egli può liberamente crescere. Paradossalmente (l’umorismo di Mann),dopo essere stato convertito alla vita Castorp tornerà alla pianura per perdersi nell’inutile strage della “grande” guerra. Prefazione di Giorgio Montefoschi.

 

 

 


 

Tra le opere minori di Thomas Mann, ha un posto a sé il romanzo breve “Padrone e cane”, un’operetta unica per leggerezza di disegno, in cui l’acuta intelligenza dello scrittore si rivolge a illuminare il piccolo mondo e i segreti tormenti di un cane, Bauschan. Raccolto per compassione dallo scrittore quando era un cuccioletto macilento e avvilito, Bauschan sviluppa un attaccamento tenace ed esclusivo per il padrone dal quale rifiuta di allontanarsi anche per un momento. “Padrone e cane” è la storia dell’amicizia tra questi due esseri diversi e così lontani, un’amicizia messa in pericolo dalle contrastanti abitudini di vita e continuamente cementata dalle gioie comuni, strappate alle insidie del “mondo”. Oltre a “Padrone e cane”, questo volume contiene una serie di racconti giovanili (“Delusione”, “II piccolo signor Friedemann”, “Il pagliaccio”, “Tobia Mindernickel”, “L’armadio”, “Luisella”, “La strada del cimitero”, “Gladius Dei”, “Gli affamati”, “Il bimbo prodigio”, “Un po’ di felicità”, “In casa del Profeta”, “Un’ora difficile”) ma importanti per chi voglia conseguire una visione completa e obiettiva del Mann narratore e della sua evoluzione artistica. Introduzione di Roberto Fertonani.

 

 

 

 


 

“Non ho mai avuto l’ambizione di essere all’avanguardia letteraria e al corrente coi tempi, mai appartenuto a una scuola o alla consorteria che era di volta in volta al comando. Perciò non fui mai sostenuto da nessuna scuola e raramente lodato dai letterati. Essi vedevano in me un “borghese”… e non a torto.” In questa raccolta autobiografica, Mann esplora la maturazione della propria sensibilità filosofica, l’intima ispirazione a Goethe e al realismo tedesco e russo, l’Europa dei totalitarismi e della guerra sullo sfondo. Un inno alla strabiliante consapevolezza artistica e intellettuale dello scrittore, che nello scritto “Romanzo di un romanzo” rivela la genesi e le tappe della stesura del “Doctor Faustus”.

 

 

 

 

 


 

La maledizione di Edipo, il suo peccato contro le leggi degli uomini e la sua eccezzionalità di creatura che ha infranto le proibizioni diventando condizione di privilegio e di gloria. Libera rielaborazione di una leggenda medievale sulla vita di Gregorio Magno, dissolta in un’ironia che giunge fino alla caricatura e al grottesco, “L’eletto” (1951) rappresenta l’ultimo sforzo di un grande maestro per conservare e restaurare l’idea di una comunità culturale, di una universalità religiosa e di un grande progetto civile.

 

 

 

 

 

 


 

L’opera ricca, variegata, intensissima, sempre ironicamente ed elegantemente appassionata, la produzione saggistica accompagna l’itinerario esistenziale e artistico di Mann lungo tutta la vita, riflettendone fedelmente stati d’animo, fortune, ideali. “Nobiltà dello spirito” è il titolo che lo scrittore stesso volle dare a un suo volume di saggi di argomento prevalentemente letterario uscito nel 1945 a Stoccolma. Quei saggi, insieme a molti altri, compongono questa ampia raccolta, curata da Andrea Landolfi e suddivisa in cinque sezioni: letteratura tedesca, altre letterature, arti figurative, musica, teatro, cinema, romanzo, filosofia e psicoanalisi, scritti autobiografici sulla propria opera e sul ruolo dell’artista. Il volume, che comprende saggi di largo respiro, conferenze, recensioni, articoli, introduzioni, offre una panoramica molto vasta della saggistica e degli interessi di Mann dal 1906 alla morte. Con un saggio di Claudio Magris.

 

 

 

 

 


 

Thomas Mann, „Deutsche Hörer” (Juli 1942) 

Thomas Mann (1875-1955), einer der bedeutendsten deutschen Schriftsteller und Nobelpreisträger für Literatur (1929), war ein entschiedener und artikulierter Gegner des Hitlerregimes. Zwar fielen seine eigenen Werke 1933 nicht der Bücherverbrennung zum Opfer, sein Bruder Heinrich und sein Sohn Klaus waren allerdings betroffen. 1938 waren er und seine Familie nach mehreren Auslandsaufenthalten in die USA emigriert. Ab 1940 begann er dort, monatliche Radioansprachen mit dem Titel „Deutsche Hörer!“ aufzuzeichnen. Nachdem die fünf- bis achtminütigen Aufzeichnungen in den USA auf Schallplatten gepresst wurden, übermittelte man sie nach London zur BBC, die sie schließlich über Langwelle bis nach Deutschland ausstrahlte. Manns Ansprachen wurden so zum Bestandteil der alliierten Demoralisierungstaktik. Die Zahl der regelmäßigen Zuhörer in Deutschland wird eher gering geschätzt, zumal das Hören ausländischer Sender als „Rundfunkverbrechen“ streng geahndet wurde. Dennoch reagierte Hitler auf die Angriffe seines berühmten Kritikers, indem er in seinen Reden namentlich gegen ihn hetzte.

Die hier abgedruckte Radioansprache aus dem Juli 1942 stammt aus einer Phase, in der Mann die Deutschen noch als Opfer der Hitler-Diktatur betrachtete und den geringen Widerstand in der Bevölkerung dadurch erklärte. Zudem geht er hier davon aus, dass die Deutschen tatsächlich Hitlers Niederlage ebenso herbeisehnen wie er selbst. Am Ende des Krieges hatte Mann seine Meinung jedoch revidiert und war zur Kollektivschuldthese übergegangen, die es ihm in der Nachkriegszeit unmöglich machen sollte, sich mit den Deutschen wirklich auszusöhnen.

Ich weiß wohl, daß man euch nicht vor Übermut warnen muß, jetzt, da Hitler wieder mal im Siegen ist und Rostow erobert hat, die Stadt am Don, die er schon einmal erobert hatte. Es ist allbekannt, daß so etwas euch nicht in Übermut stürzt, daß die Radio-Fanfaren, unter denen es euch angekündigt wird, euch anwidern, daß ihr euch nicht im geringsten darüber freut. Nicht Siegestrunkenheit gibt es bei Euch zu dämpfen: man muß euch trösten. Nicht wir hier draußen bedürfen des Trostes, wenn die Kriegslage aussieht wie jetzt. Wüßtet Ihr, wie sicher wir unserer Sache sind, die, für den Anfang und als Vorbedingung alles Weiteren, die Sache von Hitlers Untergang ist! Der ist besiegelt, glaubt mir und fürchtet euch nicht! Er ist eine Weltnotwendigkeit, völlig unvermeidlich, und wird herbeigeführt werden, so oder so: daß dies feststeht, macht das Siegen des Elenden ja eben zu einer bloßen blutigen Albernheit. Ihr seid verstört und niedergeschlagen. Ihr denkt: sollte er doch triumphieren? Und nie werden wir ihn los? Und deutsch werden soll die Welt auf die verzweifelte Weise, wie wir jetzt deutsch sind? – Seid getrost! Hitlers Sieg ist ein leeres Wort: es gibt so etwas gar nicht, es liegt nicht im Bereich des Annehmbaren, Zulässigen, Denkbaren. Es wird verhindert werden, – vielmehr, er selbst wird es immer verhindern, der klägliche Schurke, durch sich selbst, durch seine bloße Natur, durch die Unmöglichkeit seiner trostlos verpfuschten Anlage, aus der er nur Falsches, Lügenhaftes, im voraus Verworfenes denken, wollen und tun kann. Man spricht vom betrogenen Teufel. Aber der Teufel wird nicht betrogen, er ist es, von sich aus und von vornherein. Nicht mit Faustens Seele, der Seele der Menschheit, wird dieser stupide Gottseibeiuns zur Hölle fahren, sondern allein.

Ich sage: seid getrost! Denkt ihr, er wird auch nur den Kaukasus bekommen, um seine Welteroberungswalze frisch ölen zu können? Und wenn er ihn bekommt, und die Russen stehen hinter dem Ural, – was weiter? Nun eben: weiter. Es kann nur weiter gehen, immer tiefer in Nacht, Wahnsinn und Tod hinein: ein Ende gibt’s nicht für den, es gibt nur sein Ende. Die Russen schließen nicht Frieden – das glaubt ja wohl niemand von euch. Die Nazi-Lügen-Revolution ist auf eine echte und wirkliche Revolution gestoßen, eine, von deren Entschlossenheit im Aufräumen ihr manches werdet profitieren können, ihr Deutschen, wenn eure Stunde kommt. Und diese russische Revolution ist durch langfristige, willensklare und menschheitshistorische Verträge verbunden mit der sich ebenfalls revolutionär verjüngenden, zu ihren sozialen Erfüllungspflichten erwachten angelsächsischen Demokratie, – verbunden mit ihr zu einem Kampf, den Hitler mit seinem Teufelsdreck von „Neuer Ordnung“ niemals bestehen kann. Auf dieses Bündnis blicken die unterworfenen, geplünderten, gemarterten, halb ausgemordeten Völker Europas, in denen unaufhörlich der noch ohnmächtige und doch immer wieder in wilden Einzeltaten sich frei machende Haß auf den schamlosen Unterdrücker wühlt und gärt, und die nur auf den Augenblick warten, wo sie in furchtbarem Aufstand das ekelhafteste Joch abschleudern können, das je Völkern auferlegt wurde, – darauf warten sie, Deutsche, wie ihr.

Man soll euch nicht zum Aufstand ermahnen, soll euch nicht fragen: wann werdet ihr endlich den höllischen Strizzi verjagen, der euch dies alles antut und das deutsche Antlitz zur Medusenfratze gemacht hat? Wann werdet ihr’s aufgeben und vor der Vernunft kapitulieren? Es hat keinen Sinn, so zu drängen und zu fragen, wir sehen das alle ein, denn ihr könnt nicht. Es ist nicht wie 1918, als Deutschland zusammenbrach. Ein Volkskörper, der in das Eisen des Terrors geschirrt und geschient ist, wie der euere, bricht nicht zusammen, sondern steht schauerlich aufrecht, auch wenn unterm Eisen schon alles verfault ist. Muß ich euch sagen, wie faul es schon aussieht bei euch unter dem Panzer, der euch auf den Beinen hält? Ihr wißt es besser als wir, und ich glaube, niemandem kann so vor euch grauen, wie es nachgerade euch graut vor euch selbst. Aber das geschiente Gespenst, das ihr bald sein werdet, muß doch einmal stürzen, und das wird der Moment eurer Wiedergeburt als Menschenvolk sein. Hat es nicht schon im vorigen Winter Massenerschießungen meuternder Truppen gegeben? Davon wird es bald mehr geben und immer mehr. Der Streik des sinnlos ausgebluteten Volksheeres – das wird aller Mutmaßung nach die Form eures Zusammenbruchs und eurer Erhebung sein.

Es geht zu Ende, Deutsche, glaubt mir und seid getrost! Gerade in diesem Augenblick sage ich es euch, wo es wieder einmal nach Erfolg und Sieg und Eroberung aussieht. Es geht zu Ende – nicht mit euch, nicht mit Deutschland. Die sogenannte Vernichtung Deutschlands ist ein ebenso leeres Wort, ein ebensolches nicht-existentes Unding wie der Sieg Hitlers. Aber zu Ende geht es, ein Ende wird es haben, und zwar bald, mit dem scheusäligen System, dem Raub-, Mord- und Lügenstaat des Nationalsozialismus. Aus wird es sein mit seiner Schund- und Schand-Philosophie und mit den Schund- und Schandtaten, die daraus erflossen. Man wird abrechnen, vernichtend abrechnen, mit seinen Bonzen, seinen Machern und Helfern, Dienern und Nutznießern, seinen Generalen, Diplomaten und Gestapo-Hyänen. Man wird auch abrechnen mit seinen geistigen Wegbereitern und Schildträgern, den Journalisten und Philosophastern, die seinen Geifer leckten, den Geopolitikern, Kriegsgeographen, Wehr- und Rasseprofessoren. Deutschland wird gereinigt werden von allem, was mit dem Unflat des Hitlerismus auch nur zu tun gehabt und was ihn möglich gemacht hat. Und eine Freiheit wird errichtet werden in Deutschland und in der Welt, die ans ich glaubt, die sich selber achtet, die sich zu wehren weiß und nicht die Tat erst, sondern schon den Gedanken in die Zucht der Ideen nimmt, welche den Menschen mit Gott verbinden. 

Quelle: Thomas Mann, Deutsche Hörer! Fünfundfünfzig Radiosendungen nach Deutschland, zweite erweiterte Ausgabe. Stockholm: Bermann Fischer Verl., 1945, S. 64-66


 

THOMAS MANN NELLA GRANDE GUERRA

 

Thomas Mann: Thoughts in War
[in : ders., Saggi . Volume 1: tempesta primaverile 1893-1918. Ed. Di Hermann Kurzke e Stephan Stachorski, Francoforte / Main 1993]

1. Posizione del testo sulla guerra

Thomas Mann sviluppa pensieri in guerra nel suo saggio , 60 giorni dopo l’inizio della guerra nel Neue Rundschau Nei test di pulizia della battaglia, la Germania di “bellezza e la virtù” (199 p.) Apertura: la “cultura tedesca eterna” fioriscono nuova, il ritrovamento “spirito tedesco” tornare a se stessi sono questi aspetti puramente culturali della valutazione guerra non umana. ancora di fronte a categorie strategico-operative. La “coscienza eccezionalismo”, che è accompagnata anche dalla personificazione spiegato parallelo Federico il Grande una missione culturale sarà, inevitabilmente legato: il “signorile” (p 194) Francia sarebbe costretto dalla sconfitta inevitabile, “per studiare noi” ( P. 205). L’uomo inverte il presunto fine di guerra della Francia senza ulteriori indugi: la civiltà della “barbara” Germania (p. 203) è stato appena fermato dalla guerra; al contrario, la Francia dovrebbe “recuperare dalla natura tedesca”.


2. Concetto di cultura del testo

Mann sviluppa il suo concetto di cultura in demarcazione antagonista con il termine “civiltà”. Ricordando Nietzsche e Lamprecht, aveva già usato questa coppia di opposti nel 1909. Nel respingere gli slogan di propaganda francesi “civiltà contro il militarismo” (p 195), i termini sono ormai politicamente cariche e utilizzati come principi organizzativi al confine interno dei paesi vicini Germania e Francia. Tutte le idee e le istituzioni di civiltà sono giudicate corrosive; nella stessa misura la cultura tedesca corrisponde allo stato ideale dell’esistenza umana – i termini “profondità”, “demoniaco”, “eroismo” e “morale” solo vagamente scrivibile. Il punto di riferimento per la valutazione dei principi dell’ordine è la loro potenza, creare un ambiente fertile per lo sviluppo dell’arte la dimensione politica e sociale è solo vagamente inclusa nella considerazione; i postulati corrispondenti rimangono incompleti e contraddittori.

 

 

Thomas Mann: Gedanken im Kriege
[in: ders., Essays. Band 1: Frühlingssturm 1893-1918. Hg. von Hermann Kurzke und Stephan Stachorski, Frankfurt/Main 1993]

1. Stellung des Textes zum Krieg

Thomas Mann entfaltet in seinem Essay Gedanken im Kriege, 60 Tage nach Kriegsbeginn in der Neuen Rundschau veröffentlicht, die antagonistischen Modelle “Kultur” und “Zivilisation”, anhand derer paradigmatisch die ,Charaktere” des deutschen bzw. französischen Volkes analysiert werden sollen (siehe 2.). Das Naturereignis Krieg wird zur Entschlüsselung dieses Gegensatzpaares auf eine rein funktionale Rolle reduziert. Gegenstand ist nicht das Phänomen an sich, dem in der Analogisierung des aktuellen Krieges mit dem Siebenjährigen Krieg überzeitlicher, vorhistorischer und gleichsam natürlicher Charakter zugesprochen wird; vielmehr wird dessen katalytische Wirkung auf die Entfaltung der eigentlichen Wesen der Völker betont. Im selben Maße wie nun in Frankreich Hysterie und Zügellosigkeit zum Ausbruch kämen, würden in Deutschland die “Zivilisationserscheinungen” (S. 192) Dekadenz und Faulheit überwunden. In den reinigenden Prüfungen der Schlachten entfalte sich Deutschlands “ganze Schönheit und Tugend”(S. 199): die “ewige deutsche Kultur” erblühe neu, der “deutsche Geist” finde wieder zu sich selbst. Diesen rein kulturellen Gesichtspunkten der Kriegsbeurteilung stehen weder menschliche noch strategisch-operative Kategorien gegenüber. Dem “Sonderwegsbewußtsein”, das zudem durch die parallel entfaltete Personifikation in Friedrich dem Großen untermalt wird, ist zwangsläufig ein kultureller Sendungswille verbunden: Das “verbürgerlichte” (S. 194) Frankreich würde durch die unvermeidliche Niederlage genötigt werden, “uns zu studieren” (S. 205). Mann verkehrt das vermeintliche Kriegsziel Frankreichs kurzerhand ins Gegenteil: Die Zivilisierung des ,barbarischen” Deutschland (S. 203) werde durch den Krieg gerade aufgehalten; umgekehrt solle Frankreich “am deutschen Wesen genesen”.


2. Kulturbegriff des Textes

Mann entwickelt seinen Kulturbegriff in antagonistischer Abgrenzung zum Terminus “Zivilisation”. Auf Nietzsche und Lamprecht rekurrierend hatte er dieses Gegensatzpaar schon 1909 verwendet. In Ablehnung des französischen Propagandaslogans “Zivilisation gegen Militarismus” (S. 195) werden die Begrifflichkeiten nun politisch aufgeladen und als Ordnungsprinzipien zur inneren Abgrenzung der Nachbarstaaten Deutschland und Frankreich benutzt. Alle Ideen und Institutionen der Zivilisation werden als zersetzend abgeurteilt; im selben Maße entspreche die deutsche Kultur dem Idealzustand menschlichen Seins – mit den Begriffen “Tiefe”, “Dämonie”, “Heldentum” und “Moralität” nur vage beschreibbar. Als Maßstab zur Bewertung der Ordnungsprinzipien dient deren Potenz, ein fruchtbares Umfeld zur Entfaltung von Kunst zu schaffen die politische und gesellschaftliche Dimension wird nur vage in die Betrachtung einbezogen; die entsprechenden Postulate bleiben unausgegoren und widersprüchlich.

Dieser Kulturbegriff läßt sich nicht innerhalb der Kategorie “Modernität” beurteilen: Anders als der an die französische Revolution gebundene Zivilisationsbegriff wird die deutsche “Eigenart” als unhistorische, metaphysische Begebenheit dargestellt. Historistische Erklärungsmuster, etwa auf klimatische, geographische oder ethnographische Faktoren bezugnehmend, bleiben angesichts des Ewigkeitscharakters deutscher Kultur zwangsläufig obsolet. Losgelöst von zeitlichem Rahmen wird jeglicher Geschichtsprozess verneint: Der – ebenfalls von der zeitlichen Dimension gelöste – Krieg initiiert keine Entwicklung, sondern katalysiert lediglich die Entfaltung des nur “verdeckten” deutschen Wesens das gleichbleibend existiert, nur unterschiedlich erfahrbare Ausdrucksformen annimmt. (Das gesamte Weltbild Manns erscheint derart ungeschichtlich: Auch die europäische Mächte werden auf die ewig wähnende Gegnerschaft zu Deutschland reduziert. ) Angesichts dieser Ablehnung von “Zeit” als Faktor von Entwicklung und Gestaltung menschlicher Wirklichkeit erscheint die Einordnung unter einen normativen Modernitätsbegriff und somit auch die Wertung als anti-modern verfehlt.

3. Aufgabe des Dichters / der Literatur

Mann leistet mit den “Gedanken im Kriege” seiner selbstgewählten Repräsentantenrolle genüge. Diese bedeutete ihm scheinbar die Verpflichtung, während des Krieges auch dann noch streng monoperspektivistische Argumentationen zu publizieren, als seine Wahrnehmung und Deutung des Krieges längst auch zu differenzierteren, komplexeren Ergebnissen führte; so erklärt sich die augenfällige Diskrepanz zwischen öffentlichen Stellungnahmen und diversen privaten Äußerungen.

Umgekehrt bedeute der Krieg dem Künstler die Möglichkeit der Integration: er finde seinen Platz im “schwärmerischen Zusammenschluß der Nation” (S. 193), der nicht als gesellschaftliche Egalisierung, sondern als funktionale Unterordnung unter eine gemeinsame Sache verstanden werden muß.

Und der Krieg solle kathartisch wirken: Die Reinigung der Seele und Erneuerung der Moral solle Künstler wie Soldaten als Exponenten deutscher Kultur in gesteigertem Maße erfassen. Für Mann hatte diese Hoffnung auf Erlösung zutiefst persönlichen Charakter. Die anfängliche Euphorie auf neue Geradheit, Lauterkeit und Haltung, die ihn “nachts nicht schlafen ließ”, weist auf eine primäre Wertung des Krieges als persönliches Ereignis hin. Von dieser Disposition ausgehend läßt sich weiterführend fragen, inwieweit der Krieg generell auch von der “Heimatfront” aus (bewußt) als inneres Erlebnis, nicht als äußeres Geschehen wahrgenommen wurde. Gerade bei Thomas Mann bietet sich diese Untersuchung an unter der Hypothese, er könne den Vorgang nur verzerrt “von einer wüthenden Leidenschaft für das eigene Ich” deuten (Heinrich Mann).

 

 

Questo concetto di cultura non può essere giudicato “modernità” all’interno della categoria: A differenza del anticorpo legato al concetto rivoluzione francese della civiltà è il “carattere” tedesco presentato come astorica, evento metafisico. Modelli storici di spiegazione, ad esempio, che si riferiscono a fattori climatici, geografici o etnografici, rimangono inevitabilmente obsoleti in considerazione della natura eterna della cultura tedesca. Staccata dal telaio temporale di qualsiasi processo storico sia negativa, il – dissolto anche dalla dimensione temporale – la guerra iniziata nessuno sviluppo, ma semplicemente catalizza lo sviluppo della unico personaggio “nascosto” tedesco che esiste costantemente accetta solo diverse espressioni esperienziali.

3. Compito del poeta / letteratura

Mann è soddisfatto dei “pensieri in guerra” del suo ruolo rappresentativo autoimposto. Questo sembrò obbligarlo a pubblicare argomenti rigorosamente monoperspettivisti durante la guerra, anche se la sua percezione e interpretazione della guerra aveva portato da tempo a risultati più differenziati e più complessi; Questo spiega l’evidente discrepanza tra dichiarazioni pubbliche e varie dichiarazioni private.

Al contrario, la guerra ha significato che l’artista la possibilità di integrare: egli trova il suo posto nel “unione estatica della nazione” (p 193), che deve essere intesa non come un livellamento sociale, ma subordinazione funzionale ad una causa comune.

E la guerra dovrebbe avere un effetto catartico: la purificazione dell’anima e il rinnovamento della moralità dovrebbero catturare sia artisti che soldati come esponenti della cultura tedesca in misura maggiore. Per l’uomo, questa speranza di salvezza era profondamente personale. L’iniziale euforia di una nuova rettitudine, sincerità e attitudine che lo ha reso “incapace di dormire la notte” indica una valutazione primaria della guerra come un evento personale. Sulla base di questa disposizione, si può chiedere in quale misura la guerra è stata generalmente percepita (consciamente) come esperienza interiore, non come evento esterno, dal “fronte interno”. Soprattutto con Thomas Mann, questa indagine offre l’ipotesi che egli possa interpretare il processo solo distorto “di una passione furiosa per il proprio ego” (Heinrich Mann).