LA MEDICINA NEL RINASCIMENTO
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https://link.springer.com/article/10.1007/s00381-017-3419-9
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http://www.treccani.it/enciclopedia/il-rinascimento-la-medicina_%28Storia-della-Scienza%29/
Il primo libro degli Aforismi di Ippocrate (IV sec a.C.) inizia con queste parole: “ La vita è breve, l’arte è lunga (…)“, questa Ars longa è, in questo caso, la medicina. Si tratta di una disciplina antichissima, della quale ci si interessava già nell’antico Egitto: la ritroviamo nella mitologia curativa degli dei dell’Olimpo, fra le conoscenze delle popolazioni greche e romane ma anche dell’Islam, nelle scienze medievali fino ad arrivare al cruciale “rinascimento” medico del Seicento che porterà, gradualmente, alla “medicina politica” ottocentesca, dove si prende in considerazione per la prima volta il concetto di igiene e sanità pubblica. L’Ars longa, dunque, non si esaurirà mai poiché in continuo sviluppo, al contrario della vita brevis dell’uomo che sfrutta questa arte curativa, preventiva, riparativa e riabilitativa in continua evoluzione.
Il Rinascimento segna, senza dubbio, la nascita della medicina moderna. Sappiamo infatti che il ‘500, in modo particolare, è il secolo di maggior sviluppo degli studi anatomici. La conoscenza delle strutture interne del corpo umano nel corso del Medioevo corrispondeva pressoché a quella che si aveva nell’antica Grecia grazie a figure come Galeno di Pergamo, medico del I sec d.C. Tuttavia era possibile aver accesso ai nuovi trattati anatomici che, pur raramente, venivano messi in circolazione; un ottimo esempio di questi è un manoscritto di epoca medievale, il Fünfbilderserie, dove possiamo trovare illustrazioni di uomini malati, figure accovacciate e in diverse posizioni, scheletri, la struttura del cervello, l’ occhio, donne in gravidanza e feti, dissezioni del torace. Talora queste figure anatomiche furono interamente miniate, ma assai più spesso sono a inchiostro e tempera, oppure sono schizzi a matita, forse eseguiti dallo stesso amanuense. Comunque, anche se ne avessero avuto la possibilità, gli scultori e pittori dell’epoca non avrebbero probabilmente fatto uso di queste informazioni poiché si riteneva che le strutture interne e gli organi non influenzassero visibilmente l’ aspetto esteriore e , per questo, si preferiva ricorrere alla semplice osservazione dei soggetti da ritrarre anziché allo studio. Per far sì che l’ arte e l’ anatomia entrino in contatto dobbiamo attendere fino alla collaborazione fra Leonardo da Vinci e l’ anatomista Marcantonio della Torre.
Lo sviluppo della medicina durante il Rinascimento fu dovuto, oltre che da un nuovo approccio alla scienza, anche dalle continue epidemie e piaghe che, già da diverso tempo, straziavano la popolazione. Infatti, nel corso del XIV in Europa comparve la peste nera che portò con sé più di 20 milioni di morti.
I medici dell’epoca rimasero disorientati di fronte a questo fenomeno, per loro incomprensibile dal momento che la formazione del medico prevedeva quasi esclusivamente una preparazione astrologica. Le teorie mediche, come abbiamo già detto, risalivano all’antichità, a Ippocrate e Galeno, secondo i quali le malattie nascevano da una discrasia, ovvero una cattiva miscela dei quattro umori del corpo: sangue, flemma, bile gialla e bile nera. L’idea del contagio era completamente sconosciuta alla medicina galenica ed era del tutto impensabile che la trasmissione di malattie potesse avvenire anche da animale a uomo o viceversa. Si pensava piuttosto che dei “soffi pestiferi” avessero trasportato la malattia dall’Asia all’Europa, oppure che la malattia fosse causata da esalazioni nocive provenienti dall’interno della terra.
Le soluzioni contro la peste da parte dei medici non risultavano affatto efficaci, anziché suggerire rimedi scientifici si ricorreva spesso alla superstizione e a rituali antichi; ne è un esempio il Regimen Sanitatis Salernitanum, documento scritto in latino in cui si consigliava di tenere aperte solo le finestre rivolte a nord, perché i venti da sud – caldi e umidi – erano considerati dannosi. Il sonno durante il giorno era bandito, così come il lavoro pesante. Secondo molti la peste colpiva di preferenza le donne giovani e belle.
Il medico Gentile da Foligno elaborò la teoria del soffio pestifero: una congiunzione sfavorevole dei pianeti avrebbe risucchiato l’aria dalla terra, che sarebbe ritornata su di essa in forma di “soffio pestifero”. La facoltà di medicina dell’Università di Parigi, incaricata di elaborare una relazione sulle cause dell’epidemia, fece propria questa tesi e così questa spiegazione assunse grande autorevolezza e venne tradotta in numerose lingue europee.
In caso di peste, a questo punto, l’unico dovere del medico era diventato quello di invitare l’ammalato a confessarsi.
A lungo termine la peste fece sì che la medicina si emancipasse dalla tradizione galenica. Papa Clemente consentì il dissezionamento dei cadaveri, evento rarissimo, pur di scoprire le cause dalla malattia. Tuttavia dovettero trascorrere quasi duecento anni prima che Girolamo Fracastoro (1483-1533) si confrontasse in maniera più sistematica con l’idea di contagio.
Anche gli interessi e le esigenze dei prìncipi contribuirono nello sviluppo di questa disciplina, infatti molti chirurghi esercitavano la propria professione a servizio di personaggi importanti ma le loro attività devono essere considerate come esempi di scienza prettamente pratica in un ambiente elitario; la popolazione, quindi, non disponeva ancora delle cure necessarie.
Oltre alla peste nera moltissime altre malattie sconosciute affliggevano l’ Europa, una di queste, ad esempio, era il morbo del “sudore angelico”. I primi casi di contrazione avvennero a partire dal 1485 a Londra dove morirono migliaia di persone in pochi mesi. John Caius, medico e fisico inglese, descrisse così il morbo: “La malattia comincia molto improvvisamente, con un senso di apprensione, seguito da brividi freddi, a volte molto violenti, capogiri, mal di testa e dolori al collo, spalle e agli arti e spossatezza. Dopo la fase del freddo, che può durare da mezz’ora a tre ore, seguono la fase del caldo e del sudore. Il caratteristico sudore arriva all’improvviso, senza un sintomo preciso. Insieme ad esso, o dopo di questo, arrivano il mal di testa, delirio, tachicardia e una forte sete. Anche le palpitazioni e il dolore al cuore sono sintomi frequenti. Non sono state osservate eruzioni cutanee. Nella fase finale si sente un bisogno urgente di dormire e un’ulteriore stanchezza, ma la morte può pervenire dopo ore e ore di sofferenze”. Le cause sono ancora oggi sconosciute dato che nessun medico dell’epoca è stato in grado di definirle, tuttavia l’ipotesi più comunemente avanzata stava nel ritenere colpevole della diffusione la sporcizia generale del tempo che potrebbe aver portato diverse tipologie di infezioni. La prima epidemia alla fine della Guerra delle due rose può significare che furono i mercenari francesi assoldati da Enrico VII a portare il morbo in Inghilterra, in particolare perché essi sembravano esserne immuni.
A partire dalla fine del Quattrocento il morbus Gallicus divenne una delle minacce più gravi per la salute, dapprima in forma epidemica e poi in forma endemica, questo morbo è identificabile con la sifilide venerea, ma è preferibile non usare questo termine dal momento che la sifilide non era chiaramente distinta da altre malattie a trasmissione sessuale. La sifilide primaria viene generalmente acquisita tramite diretto contatto sessuale con una persona affetta. In media dopo 21 giorni dopo l’esposizione iniziale una lesione cutanea, chiamata sifiloma, compare nel punto di contatto. Questo, nel 40% dei casi, si presenta come una singola, compatta, indolore, non pruriginosa ulcerazione della pelle con una base pulita e bordi taglienti. La lesione, tuttavia, può assumere praticamente qualsiasi forma. Il cronista Cuntz Merschwin, registrando l’arrivo della malattia in Germania e nelle Fiandre, scriveva: ” Le persone si coprivano di grandi vesciche, pustole e accessi su tutto il corpo ed erano talmente trasformate che guardarle era cosa orribile e spaventosa. La malattia iniziava generalmente nelle parti intime delle donne e degli uomini, ed era terribilmente contagiosa; non c’era nulla da fare, molti ne morivano”.
Una malattia che legava così intimamente Eros e Thanatos sconvolgeva e terrorizzava la popolazione. Si spargeva a macchia d’olio, grazie all’assenza di barriere immunitarie resistenti, in tutta Europa moltiplicando le vittime e i suoi nomi: “mal franzese”, “morbo ispano”, “mal de Naples”, in Polonia veniva chiamata “mal dei Tedeschi”, in Russia “mal dei Polacchi”, “mal dei cristiani” nel mondo arabo. Ogni popolo cercava, insomma, di trasferire ad altri la colpa e l’origine di questa malattia sessuale che, secondo l’ideologia sessuofobica del tempo, doveva simboleggiare il peccato. Si credeva, quindi, che la divinità colpisse con un flagello terribile i peccatori, i quali portavano anche “schifosi segni esteriori”; la pena era strettamente collegata con il peccato, dal momento che la malattia si trasmetteva attraverso l’atto sessuale e, in più, l’organo colpevole era proprio il primo a essere folgorato.
Girolamo Fracastoro (1478-1553), medico veronese, scrisse un poema didascalico in esametri latini ispirandosi a Virgilio e Lucrezio, incarnando il tipico uomo del Rinascimento. In questa opera sosteneva che il morbo fosse stato importato d’oltreoceano in Europa e, da cattolico osservante, lasciava ampio spazio alla tesi del castigo divino. Per prevenire il morbo riteneva fosse necessario esporsi all’aria pulita, fare ginnastica e seguire una dieta a base di pesce e verdure. Per quanto riguarda la cura, invece, proponeva rimedi a base di mercurio e guaiaco che si scopriranno poi essere completamente inutili.
Durante la prima metà del ‘500 lo scenario medico iniziò a cambiare drasticamente grazie a diversi personaggi, uno di questi era Andrea Vesalio (1514-1564). Explicator chirurgiae all’università di Padova, aveva studiato a Parigi in uno degli istituti dove si trattava la medicina seguendo quasi esclusivamente le opere di Galeno. In questo periodo venne istruito da Johannes Guinter von Andernach, Guinterio, che da perfetto umanista aveva un’ampissima conoscenza del greco e del latino ed in grado, quindi, di tradurre nel migliore dei modi i testi del medico greco. Era un letterato, non un chirurgo. La maggior parte degli insegnanti non sapevano dissezionare un cadavere e non potevano così verificare l’attendibilità di quello che studiavano. Secondo Vesalio, teneva in scarsa considerazione la pratica, che delegava a “barbieri ignorantissimi”; permetteva però ad alcuni allievi di sostituirsi ai barbieri e di “far dissezione” mente lui teneva “lezione”.
Il laureando Vesalio era stato uno di questi dissettori, ciò gli permise, dopo aver ottenuto una cattedra a Padova, di verificare in modo scrupoloso se negli scritti di Galeno ci fossero degli errori o meno. Iniziò a scoprire che molti fatti anatomici non corrispondevano affatto con quando aveva letto nei suddetti scritti, poco tempo dopo confutò la teoria di Galeno in 200 punti. Questo medico, molto diverso dagli anatomisti in cattedra, che conoscevano il greco ma non avevano mai usato un coltello se non a tavola, scoprì un corpo nuovo e fu il protagonista di una vera e propria rivoluzione.
Nello stesso periodo avvenne un’altra importante rivoluzione nel campo medico. In questo caso l’interprete protagonista fu Aureolo Paracelso (1493-1541). I suoi rivoluzionari insegnamenti, pervasi di magia, alchimia, astrologia, gli conferirono l’appellativo di Lutero della Medicina. Egli, infatti, sosteneva che il vero medico dovesse uscire dalle scuole e dalle università, poiché fermamente convinto che dovesse imparare la sapienza attraverso l’esperienza diretta. Per questo motivo denunciava le autorità mediche di Ippocrate, Galeno e Avicenna, di cui bruciò i testi pubblicamente, e assunse lo pseudonimo di Para-Celsum che significa “oltre Celso” (filosofo greco del II sec.) tenendo la maggior parte delle sue lezioni invece che in lingua latina, così come si esprimeva il mondo accademico di quei tempi, in tedesco.
Nell’opera Paragranum (1530) Paracelso definì quattro pilastri sui quali doveva poggiare l’arte del medico: in essi si rispecchia tutta la sua grandezza. La Filosofia, intesa come conoscenza della costituzione dell’uomo e dell’universo di cui è parte, e dei legami nascosti che legano le parti al tutto. L’Astronomia, ossia la conoscenza del cielo, non per indagare il futuro, ma per comprendere l’influsso magnetico che gli astri esercitano sull’organismo umano e che, unito all’alimentazione, allo stile di vita e all’ereditarietà, concorre a determinare la salute o la malattia.L’Alchimia, la tecnica in grado di correggere, perfezionare o purificare le sostanze per estrarne le virtù curative; e infine la Virtù, che consiste nell’onestà del medico, la sua integralità morale, che lo induce a tener fede alla promessa, letteralmente espressa nel Giuramento di Ippocrate.
La rivoluzione di Paracelso aveva anche una connotazione sociale. Le gerarchie politiche e religiose, sia protestanti che cattoliche, erano per una volta concordi nel reprimere i suoi tentativi. Nella sua opera affermava: “Non è mai ancora uscito un medico dalle università”. Per poter emanciparsi definitivamente dalle credenze antiche e dalle tesi di Galeno, l’anti anatomista e medico nuovo Paracelso fu incisivo quanto l’anatomista Vesalio; il primo non potrà fare a meno dell’anatomia chirurgica, e il secondo dovrà tener conto delle indicazioni teoretiche, etiche, scientifiche e tecniche dell’altro.
Durante il corso del ‘500 vennero costruiti i primi veri e propri ospedali detti “a crociera” poiché la loro base rappresentava, appunto, una croce. Al centro di essa era solitamente posto un altare per ricordare che il medico “cura” ma che solamente Dio è in grado di “guarire”. Due dei quattro bracci della struttura erano destinati ai malati di febbri (malattie da causa interna), negli altri due trovavano aiuto i pazienti con ferite e fracture (malattie da causa esterna e curabili attraverso la chirurgia), non sempre le ferite venivano causate da agenti esterni, infatti si potevano trovare anche malati con vesciche dovute da diversi morbi, tumori purulenti o ascessi, donne che avevano dovuto subire travagli molto faticosi che, in mancanza di una adeguata dilatazione, portavano alla lacerazione della vagina.
In un ospedale, in base alla Relazione ai deputati dell’Ospedale grande di Milano (1508) di Gian Giacomo Gilino, si poteva contare sul seguente personale: quattro phisici, altrettanti chirurghi distribuiti delle diverse aree e, in caso di particolari epidemie, il numero poteva raddoppiare, un norcino addetto alla cura del “mal della pietra” che riceveva lo stipendio in base a quanti malati riusciva a curare, due medici che si occupavano dei bambini.
Nel 1508 una nuova riforma stabilì che i malati acuti dovevano essere portati negli ospedali maggiori, principali e centrali, mentre i malati cronici, inguaribili e invalidi, venivano ricoverati negli ospedali minori. Anche i “ferri del mestiere” vennero notevolmente affinati: rasoi, bisturi, scalpelli, martelletti, forbici, pinze, seghe, trapani, uncini e cauteri. I medici iniziarono ad avere un vasta gamma di utensili che andava dalle semplici stecche da applicare con bende e albumi in caso di fratture, a complessi congegni con corde e verricelli.
Gli ospedali diventarono così importanti che anche Thomas More nella sua Utopia del 1516, dove descrive un modello di optima respublica, prende in considerazione la presenza di queste strutture dove “hanno special cura degli infermi, governati in pubblici alberghi. Le stanze sono ad ogni commodo degli infermi artificiosamente fabbricate, e tanta diligente cura si usa nel medicarli con assidue cure di medici”.
Si potrebbe pensare che, con il rifiuto delle antiche opere degli studiosi greci, la medicina rinascimentale si sia allontanata dal mondo della letteratura e dei libri ma non è affatto così. Proprio in questo periodo molti medici chirurghi decidono di scrivere le proprie tesi in modo da facilitare l’apprendimento degli allievi. In questo modo nelle università era possibile confrontare le diverse opinioni e garantire il ricambio dei libri di medicina. Allo stesso tempo anche filosofi e letterati si avvicinarono al mondo della medicina, un esempio è il filosofo e matematico britannico Thomas Hobbes (1588-1679). Nel primo capitolo della sua opera De homine spiega in modo dettagliato come avviene la digestione umana partendo dalla deglutizione, le funzioni e i movimenti dello stomaco, il passaggio del chilo negli intestini. Illustra anche la circolazione sanguinea attraverso vene, arterie e capillari. Subito dopo è possibile leggere, invece, un paragrafo sulla gravidanza e su come il feto riceve il sangue materno, e la spiegazione di come avviene la respirazione umana a partire dalla nascita.
Nei secoli successivi sappiamo che la medicina continuerà ad evolversi e ad estendere le sue conoscenze; è importante però ricordare che il Rinascimento medico ha fatto sì che tutto ciò fosse possibile.
ARTICOLO REDATTO DALLA ALUNNA CORTELLINI VIOLA DELLA CLASSE IV A DEL LICEO CLASSICO
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