“La Brigata Lincoln è l’unico esempio indegno della tradizione militare USA”

                                                                                                             Ronald Reagan, Presidente Usa

Nel contesto della “grande crisi” del 1929-32, negli Stati Uniti si svilupparono grandi movimenti di lotta contro le misure economiche governative e padronali. L’uso della repressione poliziesca e militare contro lavoratori e disoccupati era all’ordine del giorno.
Molti furono i perseguitati, i morti e i feriti tanto nei centri metropolitani che nelle zone rurali. Tra il 1932 e il 1936 la cifra dei disoccupati fu costantemente dell’ordine di circa 16.500.000 persone, e a questo enorme numero corrispose un forte movimento organizzato dei senza lavoro.
Come reazione alla crescita dei movimenti popolari e rivendicativi, all’interno dei quali la maggiore opera organizzativa era svolta, come in altri paesi del mondo, dal Partito Comunista, sorsero organizzazioni di estrema destra quali la Legione Nera, l’America First, il Nazi Bund e squadracce di vigilantes aggregate al Ku Klux Klan. I sindacati passarono in quegli anni da quattro a quindici milioni di aderenti.
In America vi era quindi una situazione di grave crisi economica e di tensioni sociali non dissimile da quella di altri paesi, in quello scorcio di primo dopoguerra. Il movimento operaio e socialista era in prima linea nello sforzo di catalizzare le spinte innovatrici delle grandi masse di proletari e di sottoproletari statunitensi.
In questo quadro sociale di forti contrasti si innestava anche, con toni sempre più accesi, la questione antifascista, sia in contrapposizione alle organizzazioni squadristiche citate, proprie della realtà americana, sia quale riflesso di ciò che stava accadendo in Europa per la minaccia italo-tedesca.
Riguardo alla questione spagnola, è da notare come già prima della sollevazione franchista la classe dirigente americana avesse un atteggiamento ostile nei confronti del legittimo governo repubblicano di Madrid, costituito dalla coalizione di Fronte Popolare. All’atto del levantamiento del 18 luglio 1936, il capitale statunitense fu pertanto subito disponibile all’aiuto alla reazione spagnola.
L’11 agosto 1936 il Dipartimento di Stato annunciò il “blocco morale” della vendita di armi a entrambe le parti in conflitto; il 18 gennaio 1937 il Congresso approvò la legge sul blocco delle esportazioni di materiale bellico verso la Spagna. Roosvelt proclamò la neutralità, ma creò condizioni tali da consentire alle lobbies economiche più reazionarie di prestare sostegno ai golpisti. Germania e Italia non potevano offrire che una quantità esigua di petrolio a Franco; la TEXACO (American Texas Oil Company) fornì alla giunta fascista di
Burgos 1.866.000 tonnellate di carburante e benzina per aviazione.
Inoltre gli USA fornirono 12.000 camion, il doppio di quelli forniti da Germania e Italia; bombe e armi furono vendute alla Germania e all’Italia, che poi le passavano ai sollevati spagnoli. 60.000 ordigni, in soli quattro mesi, furono prodotti dalla fabbrica di Carnes Point (New Jersey) e imbarcati su mercantili tedeschi.
Lo stesso Roosvelt nel 1938 riconobbe che molti ordigni lanciati dai “nazionalisti” su Barcellona erano di marca USA, facendo però notare che queste armi potevano essere state vendute ad altri paesi d’Europa, giungendo ai franchisti solo in un secondo tempo.
Inoltre gli Stati Uniti fecero, sul fronte diplomatico, forti pressioni sul governo messicano, perché sospendesse il proprio appoggio politico e in aiuti materiali alla Repubblica spagnola. Pur riconoscendo formalmente il governo repubblicano come legittimo, il Dipartimento di Stato USA aprì agli inizi del ’37 un consolato a Malaga, in zona occupata dai fascisti.
Gran parte della stampa statunitense rifletteva le posizioni filofranchiste del monopolio finanziario, tanto che sin dai primi giorni della guerra ì vari Chicago Tribune, Washington Times, New York Journal, Los Angeles Times, ecc, fecero propria la versione della “crociata” anticomunista che voleva “salvare” la Spagna cattolica dalla “barbarie rossa”.
Le forze progressiste e molti intellettuali svolsero però una tenace opera di controinformazione, riuscendo a spingere riviste come Time, Newsweek e Fortune a denunciare i crimini contro la popolazione civile e l’intervento diretto delle truppe di Mussolini e di Hitler a fianco dei nazionalisti spagnoli.
L’eco della denuncia dei crimini fascisti regolarmente perpetrati in Spagna fece sì che in sempre più vasti settori della società americana si affermasse una visione più chiara dei pericoli derivanti dalla espansione del fascismo nel mondo. Un sondaggio effettuato dall’Istituto Gallup verificò che il 76% degli americani era orientato a favore della Repubblica di Spagna.
Il 1° marzo 1937 il New York Times pubblicò una lettera degli intellettuali americani antifascisti a sostegno della causa repubblicana: in tutto 98 firme, tra le quali quelle di Franklin P. Adams, Brooks Atkinson, Robert Benchley, Genevieve Taggard, John Dewey, ecc. Le petizioni e i manifesti pubblici andavano moltiplicandosi, mentre le corrispondenze dai fronti di Spagna contribuivano moltissimo alla mobilitazione a favore della Repubblica. Le organizzazioni operaie americane dell’acciaio, dell’automobile, della gomma e del petrolio organizzavano manifestazioni sovente funestate da scontri con gruppi di destra. Alla fine del 1936 si tenne a New York una manifestazione di 16.000 persone per l’aiuto alla Spagna democratica.
Milioni di dollari furono raccolti dalle sottoscrizioni dei sindacati, e altre manifestazioni con un numero sempre maggiore di partecipanti (70.000 a New York nel 1938) si tennero in tutti gli Stati americani. Invece tentativi di fascisti statunitensi di organizzare manifestazioni simili in favore di Franco fallirono regolarmente: quella principale, che avrebbe dovuto svolgersi al Madison Square Garden, vide la metà dei biglietti invenduta e riuscì a raccogliere non più di 17.500 dollari. Purtroppo, ai finanziamenti provvedeva direttamente, e in misura ben più consistente, il grande capitale finanziario. Ma uno degli eventi più toccanti e incisivi della storia non solo del movimento filo¬repubblicano, ma del movimento socialista statunitense, si produce la notte del 26 dicembre 1936, quando senza nessuna cerimonia, i primi 97 volontari americani si imbarcano al porto di New York per andare a combattere nell’Esercito popolare spagnolo. Dopo pochi giorni il Congresso approva una legge straordinaria che vieta tassativamente ai cittadini statunitensi di arruolarsi nell’Esercito spagnolo. Ciononostante, nei mesi successivi i volontari continuano a partire per la Spagna utilizzando vari mezzi ed espedienti per aggirare i divieti governativi.
Come avvenne in altri paesi del mondo, i primi a prodigarsi per organizzare l’invio di volontari e i primi ad offrirsi come tali furono i militanti del PCUSA. I comunisti americani avevano alle spalle una già lunga esperienza di lotta, spesso cruenta, contro le organizzazioni padronali, agrarie e fasciste del loro paese, e proprio nel fuoco di questa lotta si erano formati elementi dirigenti e organizzativi assai determinati e dotati di profonda coscienza politica. Furono i primi ad affrontare il Nazi Bund statunitense e a picchettare il consolato della Germania nazista. Riuscirono anche a fare irruzione su un importante transatlantico tedesco all’ancora nel porto di New York, a strappare la bandiera con la croce uncinata e a gettarla nell’Hudson. L’autore del gesto avrebbe militato di lì a poco nelle formazioni internazionali in Spagna.
A sostegno dei volontari americani accorsi in difesa della Repubblica spagnola sorse un’organizzazione nazionale che raccolse l’adesione di 25.000 persone – tra cui celebrità come l’attore James Cagney – e costituì un fondo di 215.500 dollari per i combattenti. Altro settore che si mobilitò a favore della Spagna fu quello sanitario, per impulso di noti medici e scienziati delle Università di Harvard e della California. Nel gennaio 1937 fu organizzato un primo distaccamento medico, diretto dal dottor Edward Barsky, da inviare al fronte. Il distaccamento partì con personale e attrezzatura sufficienti per un ospedale da 50 posti, interamente finanziato dalle sottoscrizioni popolari.
117 fra medici e infermiere americani parteciparono alla guerra di Spagna, e molti di essi morirono sotto il fuoco. Gli ospedali da campo americani furono numerosi e tra i più efficienti, tanto che lo stesso Dott. Barsky fu nominato, nel 1938, comandante di tutti gli ospedali delle Brigate Internazionali.

2. IN SPAGNA

La prima notizia relativa alla partecipazione di volontari statunitensi al conflitto spagnolo apparve sulla stampa americana nel marzo 1937, e faceva riferimento alla battaglia della valle del Rio Jarama (febbraio 1937).
La battaglia del Jarama vede il battesimo del fuoco dei primi 450 antifascisti americani, organizzati nella XV Brigata Internazionale – Battaglione Abraham Lincoln. La XV Brigata era stata costituita tra il gennaio e il febbraio 1937 con volontari di lingua inglese, latinoamericani e una compagnia di italiani (inquadrata nel battaglione Dimitrov).
Agli ordini del comandante Robert Merriman, ventitreenne, docente universitario in California, comunista, il battaglione viene mandato all’assalto del monte Pingarròn. La posizione è fortemente difesa da nidi di mitragliatrici, che falciano i volontari americani. E’ il 27 febbraio, e su 450 uomini si contano 127 morti e più di 200 feriti.
Il battaglione Lincoln fu tenuto in linea per l’intera durata della battaglia del Jarama, e rinforzato con l’arrivo di nuovi volontari dagli Stati Uniti. Per tutto l’inizio del ’37 esso presidiò la valle. Lo raggiunse, tra gli altri, il gruppo di 17 americani e canadesi guidato da Joseph Dallet. Costoro erano stati in precedenza arrestati dai gendarmi francesi a bordo di una barca con la quale tentavano di raggiungere clandestinamente la Spagna, e condannati in base alle direttive non-interventiste diramate dal governo francese. Scontata la condanna, tentarono nuovamente di raggiungere la Spagna per via di terra, questa volta riuscendovi. Joseph Dallet cadde pochi mesi dopo a Fuentes del Ebro, mentre guidava un attacco del Lincoln.
Nella difesa della valle del Jarama fu vanificata la manovra di accerchiamento della capitale spagnola ideata dai comandi franchisti.
Nel frattempo, negli USA, la notizia della presenza combattente americana in Spagna stava destando scalpore, tanto da indurre i servizi di sicurezza e l’FBI a prevenire ogni altro tentativo di raggiungere la Spagna da parte di volontari. La cosa divenne così difficile da limitare il numero degli aspiranti combattenti, che raggiunse comunque la cifra totale di circa 3.000 uomini.
Con il tragico battesimo del fuoco avvenuto sul Jarama, nacque tra i volontari della Lincoln un canto che divenne l’inno della Brigata. Sulla melodia della notissima canzone folk Red River Valley i volontari del Battaglione Lincoln cantarono:

“C’è una valle in Spagna chiamata Jarama, un posto che tutti noi conosciamo bene, fu là che portammo la nostra umanità, laddove tanti compagni sono caduti.
Siamo fieri del Battaglione Lincoln e la battaglia di Madrid che ci ha forgiati la combattiamo come veri figli del popolo nelle file della XV Brigata.
Quella valle di dolore è ora lontana, ma la sua immagine non ci lascerà più, quindi prima di lasciarci, protendiamoci verso una morte gloriosa”
{Jarama Valley)                          

Ai toni tipici della tradizione western si sovrapponevano le caratteristiche tragiche del canto di guerra, di una guerra ideologica e proletaria che vedeva ora l’apporto valoroso dei volontari americani.
Il Battaglione Lincoln, come tutte le altre formazioni internazionali, fu trasformato, nell’aprile del 1937, in Brigata. Una Brigata in cui militarono numerosi ebrei e uomini di colore, come Oliver Law, che divenne comandante e che fu il primo uomo di colore a comandare un’unità militare americana composta da bianchi e neri.
Law comandò il Battaglione Washington, formato con i molti volontari accorsi nella XV Brigata. Il Washington ed il Lincoln combatterono insieme nella grande battaglia di Brunete (luglio ’37); attaccarono, nel tentativo di rompere le linee fasciste, i paesini di Villa Nueva de la Canada e Villa Nueva del Pardillo, e la collina di quota Mosquito. L’offensiva di Brunete perse però slancio a causa dell’endemica precarietà di mezzi dell’esercito repubblicano e anche a causa di errori del comando.
Nella ritirata conseguente al fallimento i volontari americani tennero la retroguardia, a contatto continuo col nemico sulle rive del Guadarrama. In dieci giorni di scontri i battaglioni Lincoln e Washington persero la metà degli uomini e vennero fusi in uno (il Lincoln-Washington, noto comunque, in seguito, sempre col nome di Lincoln). Il comandante Oliver Law morì nella battaglia, e con lui caddero anche i commissari Harry Hines e Morris Wickman.
Dai diari di alcuni sopravvissuti si scopre come molti volontari cadessero vittime dei cecchini fascisti appostati negli oliveti della piana di Brunete. Vittima di una di queste imboscate fu anche il newyorkese Sidney Graham, sulla cui tomba i suoi compagni scrissero in fretta:
“Morto perché vivesse la democrazia spagnola”.
La XV Brigata Internazionale partecipò poi alla battaglia d’Aragona, alla presa di Quinto, di Purberell e all’assalto contro la cittadina-fortezza di Belchite, conquistata dopo aspri corpo a corpo. Si distinsero i comandanti e i commissari Steve Nelson, Cari Bradley, Philip Detro ed il già citato Robert Merriman, veterano del Jarama.
Venne poi il duro inverno ’37-’38, che vide gli americani nel cosiddetto “Polo Norte” di Teruel. I nomi dei paesini circostanti quelle zone sono nella memoria dei sopravvissuti: La Muela, El Muleton, Santa Barbara, Rio Alfambra.. Dopo Teruel la XV fu inviata a Segura de los Baños, dove attaccò la Legione Straniera spagnola catturando una compagnia nemica e il suo ufficiale (l’episodio entrò nell’aneddotica del Lincolneers). Il comandante del V corpo repubblicano, Modesto, espresse la gratitudine della Repubblica ai volontari della Lincoln. Ma nel 1938 le sorti della guerra iniziano a volgere chiaramente a favore dei fascisti, che, nel tentativo di tagliare in due il territorio repubblicano, scatenano un’offensiva nella zona del Levante.
A Caspe le Brigate Internazionali stabiliscono un’area di riorganizzazione per poter coordinare le operazioni di difesa e ripiegamento. A fianco dei “garibaldini” della XII Brigata, i volontari della Lincoln affrontano le divisioni fasciste a Caspe, contenendo l’offensiva e permettendo al grosso delle forze repubblicane di attestarsi sulla sponda sinistra del fiume Ebro. Durante questa fase dell’offensiva fascista, il contingente americano cade, insieme ai tedeschi della XI Brigata Internazionale, in una sacca d’accerchiamento nei pressi di Batea. Le perdite sono gravissime, ma gli “internazionali” riescono a trarsi d’impiccio e a raggiungere il resto dell’esercito della Repubblica. Nel frattempo, i rovesci repubblicani e il costante apporto nazi-fascista alla “crociata” di Franco contribuivano lentamente a indurre a una presa di posizione diversa i governanti americani. Proprio in quei giorni, del resto, Hitler faceva occupare l’Austria dall’esercito tedesco.
Giunsero in Spagna segnali di settori del governo statunitense solidali con la causa del governo legittimo, mentre si moltiplicavano le mozioni contro l’embargo di armi per la Repubblica, senza peraltro risultati concreti.
Si giunse così al luglio ’38 e all’ultima grande offensiva dei repubblicani, tesa a rompere il fronte franchista nella valle dell’Edro. Il grosso dell’esercito della Repubblica e tutte le Brigate Internazionali furono riorganizzati in quello che venne definito El Ejercito del Ebro. I comandanti Lister e Modesto diressero l’operazione, cui presero parte più di centomila uomini.
Le XI, XII, XIII, XIV, XV, CL e CLXIX Brigate Internazionali al completo passarono l’Ebro e attaccarono con decisione le posizioni franchiste. Queste, in una prima fase, cedettero molto terreno, ma poi obbligarono i repubblicani a una massacrante guerra di trincea che durò tre mesi, dissanguando le truppe e facendo cadere le ultime speranze antifasciste. Inutile ricordare che anche sull’Ebro il Battaglione Lincoln diede prova di grande valore, agli ordini di Milton Wolff, e Dave Doran.
Nell’ultima fase della battaglia dell’Ebro giunse dal governo repubblicano l’ordine di ritirare le formazioni internazionali dal fronte, a seguito degli accordi del Patto di Monaco. Tutti gli internazionali ripiegarono su Barcellona, da cui furono evacuati con vari mezzi. La maggior parte degli europei passò nei campi di raccolta francesi e gli americani riuscirono, a gruppi e con mezzi di fortuna, a tornare, dopo mesi, in patria.
Così, all’improvviso, finì la battaglia di Spagna per i 35.000 volontari stranieri antifascisti. Gli europei andavano incontro all’impegno nella Resistenza, per la quale la “lezione” spagnola si sarebbe rivelata assai utile. La stessa cosa valse per molti latinoamericani, impegnati nelle lotte emancipative dei rispettivi paesi.

3. IL RITORNO

Gli uomini della Lincoln fecero ritorno in una realtà già molto cambiata rispetto a quando, solo pochi anni prima, erano partiti: la tensione per la minaccia di guerra era ormai acquisita, e un antifascismo molto meno “ideologico” del loro era diffuso in vasti strati dell’opinione pubblica. Scoprirono tragicamente come, al di fuori delle organizzazioni più vicine, pochi conoscessero i loro sacrifici nei tre anni trascorsi in Spagna. I problemi quotidiani, le rivendicazioni contingenti, l’ostracismo antisocialista costantemente presente distraevano l’attenzione dalla causa spagnola ormai persa, e quindi anche dalla loro esperienza.
L’impegno dei reduci fu comunque subito teso alle pressioni, da un lato per la liberazione di prigionieri nelle carceri di Franco (che nell’aprile 1939 poneva fine al conflitto vincendo la guerra), dall’altro per l’intervento americano contro il fascismo europeo. A luchar en otros frentes…, recitava una canzone della XV Brigata Internazionale. Questo impegno assunto dagli uomini della Lincoln fu mantenuto quando, pochissimi anni dopo, gli Stati Uniti entrarono in guerra.
Molti ex lincolneers riuscirono ad arruolarsi nell’esercito americano, e combatterono e morirono sulle spiagge di Omaha e di Iwo Jima o sulle colline di Bastogne e Montecassino; tanti altri – i comunisti e i socialisti più notoriamente ideologizzati – furono però interdetti dall’U.S. Army e tenuti lontani dai ranghi militari.
Nei mesi immediatamente precedenti lo scoppio della II guerra mondiale moltissimi ex volontari del Battaglione Lincoln furono schedati e interrogarti dal tristemente noto Comitato investigativo per le attività anti-americane e, anche se arruolati nell’esercito regolare, segnalati come “antifascisti precoci”. Disposizioni segrete vietavano determinati usi militari di ex “spagnoli”. Solo pressioni e proteste riuscirono a sbloccare i casi di alcuni volontari di Spagna, nuovamente volontari nella seconda guerra mondiale.
L’impegno dei lincolneers nella denuncia delle connivenze di certi ambienti economici
statunitensi con il capitale tedesco continuò per tutta la durata del conflitto, in un ostinato rigore politico e morale.
Anche la seconda guerra finì e la Spagna fu lasciata sola. L’intervento bellico contro Franco e la dittatura spagnola non trovò attuazione, con grande delusione di tutti gli ex internazionalisti.
Negli Stati Uniti, concluso il conflitto, si scatenò la repressione maccartista contro i comunisti. Gli ex lincolneers furono colpiti da un’ondata di arresti, e ostacolati nelle loro professioni. Il movimento operaio americano, tanto cresciuto negli anni Trenta e Quaranta, ricevette un colpo da cui non si sarebbe più ripreso.
La lotta per i diritti umani, per la parità razziale e a sostegno dei movimenti di liberazione, da Cuba al Vietnam al Cile, vide comunque i volontari della Lincoln Brigade sempre in prima fila, disprezzati dalle frange conservatrici, non degnamente ricordati dalla maggioranza, ma profondamente amati e rispettati dai militanti dei movimenti progressisti e pacifisti americani.
All’amarezza e alla delusione generalmente provate da molti ex combattenti per la libertà di tutti i paesi nel vedere le speranze, che animarono i giorni della lotta, tradite o comunque non realizzate appieno, si aggiunse, per i reduci americani delle Brigate Internazionali, il dolore per una repressione protratta nel tempo in uno stillicidio di episodi. Essi finirono anche nel mirino di Reagan, che più volte li ha citati come “unico esempio indegno della tradizione militare USA”. Tali citazioni hanno però contribuito a rispolverare la storia dei lincolneers e in televisione sono apparsi servizi documentari sulla loro vicenda di mezzo
secolo prima. Un nuovo interesse per la loro lontana avventura libertaria ha toccato, seppur moderatamente, la pubblica opinione.
L’associazione dei veterani della Lincoln vive tuttora e ha sede a New York (Broadway). Colpisce di loro l’eterogeneità anche esteriore dei tipi: si va dal musicista dall’abbigliamento stravagante al docente universitario con giacca e cravatta. Tutti si conoscono da allora, dai campi del Jarama, di Brunete, dell’Ebro; per tutti una storia comune di grandissimo idealismo e di sofferenze, vissuta in contesti ormai lontani anni luce.
Il battaglione Lincoln costituisce, alla visione attuale dei fatti, un esempio forse unico al mondo di comunità particolarissima ed esigua, staccatasi come una scheggia dalla realtà americana e mai più integratasi nel proprio corpo sociale in modo compiuto.
Genevieve Taggard, intellettuale statunitense, scrisse senza retorica alcuni versi, intitolati appunto “Ai veterani della Brigata Lincoln”, che rispecchiano perfettamente la vicenda di questi personaggi:

“…se non morirono, tornarono e trovarono una pace / che non è pace. Dite pure di loro che non sono più giovani, non hanno più appreso
le furbizie, gli espedienti della pace, di questa pace, i trucchi della paura;
e dite pure di loro che ciò che sapevano, tuttora sanno. /
E ciò che osarono, osano tuttora.”

I canti dei volontari americani sono stati raccolti pochi anni dopo la guerra di Spagna da ricercatori musicali di grande levatura, quali Pete Seeger.-e Bessie Lomax. Ballate narranti, sullo stile dei cantastorie, la storia del Lincoln Batallion e le vicende dei volontari, vennero portate in giro per gli States da molti folk-singers americani, primo fra tutti il grande Woody Guthrie. Essi contribuirono a calare la storia “non ufficializzata” e non riconosciuta in quello che è il naturale terreno da cui ha avuto origine: la realtà popolare, operaia e proletaria americana.
Oggi l’Associazione dei veterani della Lincoln coopera con le organizzazioni di solidarietà con i popoli latinoamericani oppressi dalla prepotenza economica statunitense. I volontari sono sempre controllati, anche se con grande discrezione, da parte dell’FBI e di altre agenzie. Raccolgono fondi e organizzano l’invio di “nuovi” internazionalisti nei campi di lavoro in Nicaragua.
L’ultimo comandante della Lincoln, Milton Wolff, dirige a tutt’oggi l’Associazione dei veterani e si reca frequentemente in Nicaragua, per accompagnare l’invio di aiuti frutto di sottoscrizioni effettuate congiuntamente ad altre organizzazioni progressiste americane.
Questa è, fino ad oggi, la storia della leggendaria Brigata Lincoln.

4. C’È UNA VALLE IN SPAGNA…

In un hotel di Caspe, teatro cinquantanni fa di scontri violenti, incontrai nel 1986 alcuni sopravvissuti americani della Brigata, in visita alla Spagna dopo tanti anni. Uno di loro, mutilato di un braccio dai tempi della guerra, accennò col piano alcune note della loro canzone, Jarama Valley. Tutti intonarono sommessamente le strofe malinconiche di quel canto, e all’ultimo verso si alzarono in piedi. Erano sette od otto ultrasettantenni che cantavano per loro stessi, non per altri convenuti o in omaggio agli ospiti spagnoli. Io ero in disparte e “spiavo” la scena.

 

Articolo di Marco Vecchi,Progetto Memoria, A. II n. 15, autunno 1989.