CENTENARIO DELLA MORTE

Manfred Albrecht Freiherr von Richthofen nasce nella polacca Breslavia, oggi tedesca, il 2 maggio 1892. Discendente da una famiglia dell’antica nobiltà prussiana, ne eredita il titolo di barone in quanto primo figlio maschio del maggiore Albrecht e di sua moglie Cunegonda.

All’età di nove anni – in seguito al pensionamento del padre – la famiglia si trasferisce nella tenuta di campagna, dove il piccolo Manfred manifesta subito una grande passione per l’avventura e per la caccia, tanto da costringere il padre a regalargli un fucile ad aria compressa. Alla caccia dedicherà tutto il tempo libero, cavalcando e sparando ad uccelli e piccoli animali nei boschi, animato da una sorta di istinto predatore che lo accompagnerà negli anni a venire e ne determinerà le scelte fondamentali della vita.

Destinato per tradizione a seguire le orme paterne, già dall’età di 11 anni frequenta, insofferente, la scuola militare di Wahlstat, dove eccelle nelle attività ginniche, ma stenta nello studio. Il suo bisogno di spazi aperti e liberi gli rende molto penosi questi anni, ma è incoraggiato dal traguardo finale delle stellette militari. Dopo sei anni entra nell’Accademia Militare Reale e finalmente, nel 1912, ottiene con suo grande orgoglio i gradi di tenente di cavalleria.

Quando la Germania entra in guerra egli partecipa a qualche azione con il suo reparto, ma si accorge ben presto che questo conflitto è ormai combattuto con mezzi tecnologici come mitragliatrici ed aerei, relegando la cavalleria a ruoli marginali e poco operativi. E’ soprattutto l’aviazione ad attrarlo, con le sue ricognizioni ed incursioni in territorio nemico, e Manfred scopre tutt’a un tratto che non gli interessa più cavalcare: adesso vuole volare. Riesce dunque ad essere trasferito nell’Aeronautica Militare Imperiale, la Fliegertruppe e, nel giungo del 1915, compie il suo primo volo come osservatore su di un “Albatros”. E’ per lui un’esperienza esaltante, una folgorazione che gli fa decidere che il suo futuro nelle Forze Armate non potrà più prescindere dagli aerei. Ben presto si stanca anche del ruolo di osservatore – che accompagna il pilota, ma non conduce l’aereo – per cui frequenta il corso per piloti e nel dicembre 1915 è assegnato al Secondo Squadrone, a Verdun, quale pilota di un monoposto Fokker.

Notato da Oswald Boelcke, leader dei piloti da caccia e padre del combattimento aereo, viene da questi invitato a far parte del suo squadrone e il 17 settembre 1916 prende parte al primo vero combattimento con una flottiglia inglese abbattendo il suo primo velivolo nemico. I combattimenti aerei risvegliano in lui l’innato istinto predatore che gli conferisce prontezza di riflessi, intuito, lucidità e freddezza grazie ai quali, nei giorni che seguono, abbatte altri sette aerei nemici. La morte in combattimento del suo comandante Boelcke, nel’ottobre 1916, è per lui un brutto colpo, ma dal profondo dolore riesce a trarre ulteriore carica, determinazione e cattiveria. Il 9 novembre ottiene un primo riconoscimento ufficiale con il suo ottavo trionfo e, qualche settimana più tardi, comincia ad affacciarsi nella leggenda con l’eliminazione dell’asso inglese Lanoe Hawker.

Nel successivo mese di gennaio, dopo aver eliminato il sedicesimo caccia nemico, ottiene la promozione a capitano, il comando dell’ Undicesimo Squadrone ed il prestigioso riconoscimento al merito “Blauer Max”. In preda ad una legittima, lucida esaltazione, decide che da questo momento il suo aereo sarà di colore rosso, volendo in tal modo essere ben riconoscibile da terra e nell’aria per intimidire e al tempo stesso sfidare apertamente gli avversari. Le azioni nei cieli proseguono incessanti: nel successivo mese di aprile Manfred von Richthofenabbatte altri ventuno aerei nemici contribuendo a compromettere seriamente il potenziale bellico dell’aviazione inglese.

Divenuto ormai egli stesso un obiettivo strategico del nemico, che istituisce una apposita squadriglia super addestrata con il preciso scopo di annientarlo, il terrore dei cieli, il “Barone Rosso“, come ormai viene chiamato, continua imperterrito a mietere successi vanificando ogni sforzo dei rivali. Raggiunge il culmine della carriera quando, nel giugno 1917, viene posto al comando della “Fighter Wing 1”, una squadriglia formata dai migliori assi del’aviazione tedesca, e gli vien data carta bianca sulle azioni da intraprendere, sugli obiettivi e sui tempi. Ed egli trasforma la “Fighter Wing 1” in una sorta di “Harlem Globetrotters” dei cieli i cui duelli divengono micidiali spettacoli di evoluzioni e di morte. Per i nemici è il “Circo volante di von Richthofen”.

La sua attività è irrefrenabile, ed anche quando il comando militare gli intima di sospendere i voli per via della caccia spietata e senza tregua che gli riservano gli inglesi – i quali nel frattempo si sono dotati di nuovi aerei tecnologicamente più avanzati di quelli tedeschi – egli continua a decollare, eludendo gli ordini. Lo fermerà soltanto un proiettile nemico quando, durante un combattimento aereo, gli attraversa il torace. Il suo triplano toccherà terra fra le truppe nemiche recando il corpo senza vita del capitano Manfred von Richthofen.

Così muore all’età di 25 anni, il 21 aprile 1918, a Vaux-sur-Somme, il Barone Rosso, il più grande asso della Prima Guerra Mondiale, l’eroe dei cieli che era riuscito ad abbattere ben ottanta aerei nemici, quegli stessi nemici che ora gli riservano un austero funerale rendendogli il tributo degli onori militari.


Nel settembre 1916, dopo essersi trasferito nello stormo di Boelcke, ottenne la sua prima vittoria ufficialmente riconosciuta: costrinse un aereo inglese all’atterraggio nei pressi di Cambrai.

Il mio inglese virava di qua e di là, spesso attraversando le mie raffiche. Che ci fossero anche altri inglesi nello stormo che potessero venire in aiuto al loro camerata in pericolo, non mi venne in mente. Il pensiero era uno solo: “Accada ciò che vuole, ma devi cadere!” Ecco, finalmente, il momento propizio. L’avversario sembra avermi perduto di vista e vola in assetto normale. Mi basta una frazione di secondo per piazzarmi in coda. Una breve raffica dalla mia mitragliatrice. Gli sono così vicino che ho paura di speronarlo. Improvvisamente vedo che l’elica dell’avversario non gira più. Colpito! Il motore era fermo e il nemico doveva atterrare entro le nostre linee..

Nel novembre del 1916 abbatte il suo sedicesimo nemico, e viene insignito della massima onoreficenza tedesca, “Pour le mérite“, conosciuta anche come “The Blue Max“. The Blue Max è anche il titolo del film di John Guillermin, in Italia è conosciuto come “La caduta delle aquile”.

Tra le prime 16 vittorie è da ricordare quella contro il Maggiore Lanoe Hawker, che Richthofen paragona, per notorietà, ad Immelmann. Max Immelmann, soprannominato “L’Aquila di Lille”, fu il primo asso tedesco della Grande Guerra, ed è colui che ha dato il nome alla famosa manovra acrobatica, virata Immelmann.

Manfred descrive così l’ abbattimento di Hawker:

A giudicare dallo scontro, del resto, avrei dovuto immaginare che avevo avuto a che fare con un tipo molto in gamba. […] Volvavo un po’ più basso dell’inglese e dovevo aspettare che quello picchiasse per venirmi addosso. L’inglese tentava di piazzarsi in coda mentre io, a mia volta, facevo di tutto per piazzarmi in coda a lui. Così entrambi iniziammo come due pazzi un carosello a 3500 metri di quota con i motori a massimo regime. Ben presto mi accorsi che non avevo a che fare con un principiante perchè quello non aveva la minima intenzione di sganciarsi. L’inglese aveva bensì un trabiccolo molto maneggevole, ma il mio in complesso cabrava meglio, infatti riuscii a un certo punto a piazzarmi pù in alto e in coda a lui. […] Le virate che compivano uno intorno all’altro erano così strette che a mio avviso non dovevano avere un raggio superiore agli ottanta-cento metri. […] Un po’ alla volta il brav’uomo, per quanto uno sportivo in gamba, deve averne avuto abbastanza, tanto più che doveva decidersi se atterrare entro le nostre linee oppure ritornare a casa sua. Naturalmente, quello scelse la seconda alternativa dopo aver tentato di sfuggirmi con alcuni loopings ed altri scherzi del genere. […] Io lo seguivo ad un’altezza di 50-30 metri di quota, sparando in continuazione. L’inglese era condannato. […] L’avversario, colpito alla testa, precipitò per circa 50 metri tergo alla nostra linea. La sua mitragliatrice si conficcò nel terreno e troneggia ora sopra l’ingresso di casa mia.

In quei tempi Manfred von Richthofen volava con un Albatros D.II, ma proprio durante il combattimento con Hawker si rese conto che necessitava di un aereo più maneggevole, ed optò per l’Albatros D.III con il quale ottenne due vittorie.

Nel gennaio 1917 Richthofen eseguì un atterraggio d’emergenza in quanto l’ala del D.III aveva subito un danno irreparabile durante il combattimento aereo. Fu proprio questo aereo, l’Abaltros D.III, ad essere stato il primo dipinto di rosso, e che garantì a Richthofen il soprannome di Barone Rosso:

Per chissà quale motivo mi è venuto un giorno in mente di pitturare il mio trabiccolo d’un rosso acceso. La conseguenza è che il mio rosso volatile si fa notare senza scampo da chiunque. Sembra che anche i miei avversari se ne rendano conto.
Nel corso di uno scontro che avvenne in un altro settore del fronte, non quello abituale, riuscii a colpire un Vickers biposto che stava tranquillamente fotografando le nostre postazioni d’artiglieria. L’avversario non ebbe nemmeno il tempo di difendersi e dovette affrettarsi a atterrare, visto che iniziava a manifestare i primi indizi di un incendio. Provo compassione per il mio avversario e avevo deciso di non abbatterlo, ma di costringerlo soltanto a atterrare. A circa 500 metri di quota, un difetto del mio apparecchio mi costrinse a mia volta a atterrare in volo planato.
All’atterraggio seguì una serie di convenevoli sportivi tra i due Englishmen e me. Questi espressero la loro meraviglia per l’incidente di cui ero rimasto vittima perchè, come già detto, non avevano sparato un solo colpo per cui non riuscivano a imaginare il motivo del mio atterraggio di fortuna. Quelli furono i primi inglesi che io abbia mai fatto atterrare vivi. Per questo mi piacque particolarmente intrattenermi con loro. Tra l’altro domandai loro se avessero mai visto prima il mio apparecchio in volo. “Oh, yes” rispose uno dei due, “lo conosco benissimo. Noi lo chiamiamo ‘le petit rouge’.”. Ora viene una, almeno a mio avviso, tipica impertinenza degli inglesi… quel mascalzone mi viene a dire di aver tentato di spararmi addosso durante gli ultimi 300 metri, ma che gli si era inceppata l’arma. Io l’avevo risparmiato, e lui aveva accettato il mio aiuto per ricambiarlo con un attacco a tradimento.
Dopo quella volta non ho più potuto parlare con i miei avversari per un motivo facilmente comprensibile…

Durante i combattimenti, Richthofen affronta sia piloti francesi che inglesi, ed è interessante leggere le differenze che riscontra nel modo di volare tra gli uni e gli altri:

Il bello con il pilota da caccia è che non contano le acrobazie, ma semplicemente il suo coraggio personale che decide tutto. Può essere un maginifico acrobata in picchiata e nei loopings, ma questo non significa che sia capace di abbattere l’avversario. A mio avviso, tutto dipende dallo slancio.
Ai francesi piace tendere imboscate ed attacare a tradimento. Qualche volta si mette tuttavia a bollire il sangue gallico. Allora attaccano, ma si tratta di qualcosa paragonabile alla limonata effervescente. Gli manca la tenacia per resistere.
Negli inglesi, invece, si scorgono tracce del sangue germanico… ma si perdono troppo negli aspetti sportivi di questa disciplina. Si divertono a dare spettacolo con loopings, picchiate, voli capovolti e scherzi del genere.

Nel marzo 1917 viene abbattuto da un pilota inglese anche se, come lui stesso afferma, “abbattuto” non è la parola esatta: “Secondo me uno è abbattuto solo quando precipita di schianto mentre io mi sono ripreso per atterrare con le ossa intere“.

In aprile continua a volare con l’Albatros D.II, e riesce ad abbattere in un mese 22 nemici di cui 4 in un solo giorno, tanto da definirlo “Aprile di sangue”. Uno degli inglesi abbattuti, dopo essere stato catturato e fatto prigioniero, confidò a Richthofen che “nello squadron inglese si è diffusa la voce che l’aereo rosso sarebbe pilotato da una ragazza, una specie di Giovanna d’Arco.. soltanto una giovane donna poteva trovarsi a bordo di un aereo dipinto con colori così perversi“.