L’ERESIA
DA GIOACCHINO DA FIORE A FRA DOLCINO
di Luigi Rigazzi
“L’eresia è di per sé una grande cosa, e colui che difende la propria eresia è sempre un uomo che tiene alta la dignità dell’uomo. Bisogna essere eretici, rischiare di essere eretici, se no è finita. Voi avete visto che non è stata soltanto la Chiesa cattolica ad avere paura delle eresie. E’ stato anche il Partito Comunista dell’Urss ad avere paura dell’eresia, e c’è sempre nel potere che si costituisce in fanatismo questa paura dell’eresia. Allora ogni uomo, ognuno di noi, per essere libero, per essere fedele alla propria dignità, deve essere sempre un eretico”.
Leonardo Sciascia – L’Ora, 9 maggio 1979
Per poter parlare di eresia, bisogna parlare prima dell’ortodossia, infatti senza l’affermarsi di un pensiero unico non può esserci l’eresia.
Il termine ortodossia viene dal greco όρθος,, retto, corretto e δόξα, opinione, dottrina.
Eresia, è un termine storico religioso e teologico che indica un movimento religioso, segnalato come deviante da un altro movimento religioso appartenente alla stessa tradizione religiosa, deriva dal greco αἵρεσις,, haìresis derivato a sua volta dal verbo αἱρέω – hairéō, afferrare, prendere ma anche scegliere o eleggere.
Nel cristianesimo il termine eresia è assente nei Vangeli del canone, ma lo troviamo in At 5, 17; 24,5; 24,14; 28,5; 28,22, sempre ad indicare sette come i Sadducei i Farisei e i Cristiani, senza tuttavia accezione denigratoria. Soltanto con le Lettere, 1 Cor 11,19; Gal 5,20; 2Pt 2,1, il termine eresia comincia ad assumere un carattere dispregiativo e di separazione, perché è nata la Nuova Ecclesia. Fu Giustino di Nablus ad usare per la prima volta il termine eresia per combattere le varie correnti cristiane considerate da lui devianti.
Nel nuovo Codice di Diritto Canonico attualmente in vigore, promulgato nel 1983 da Papa Giovanni Paolo II, nel Libro 3 canone 751, si definisce eresia: l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa. Lo stesso codice parla di apostasia: il ripudio totale della fede cristiana, e di scisma: il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice. Dalla lettura delle tre definizioni emerge un dato importante: gli eretici non chiedono e non vogliono separarsi dalla Chiesa di Roma, come avvenne in particolare per gli eretici del medioevo. Gli Spirituali volevano riformare la chiesa e la religione cristiana dal di dentro, per riportarla al cristianesimo delle origini.
Nel XI secolo ebbe inizio la grande Riforma Gregoriana, che secondo gli storici mise fine al Saeculum Obscurum. Essa affermò il primato della Sede apostolica sui vescovi e sul clero altri principali obbiettivi furono la lotta contro il concubinaggio la simonia e le investiture. La Riforma, iniziata nel 1046 sotto la guida dei papi tedeschi, fu conclusa da papa Gregorio VII. Nel 1075 Papa Gregorio emanò il documento Dictatus papae, in base al quale il papa diventa Vescovo dei Vescovi, Roma Caput Ecclesiae, tutti i credenti sudditi del papa. Dopo la grande riforma, alcuni grandi pensatori, come il benedettino Ruperto di Deutz, il vescovo Anselmo di Havelberg e Ildegarda di Bingen, elaborarono un’altra concezione apocalittica, sostituendo all’avvento del Cristo sulla terra l’avvento dell’opera dello Spirito Santo.
Alla fine del XII secolo, la visione profetica del Calavrese abate Gioacchino di spirito profetico dotato, come lo appella Dante nel Canto XII ai versi 140 – 141, e le aspettative apocalittiche, influenzano gli Spirituali di origine francescana. Essi volevano riformare la chiesa e approdare alla Ecclesia Spiritualis. L’attesa apocalittica si doveva al simbolismo contenuto nell’Apocalisse di Giovanni, con le sue visioni, i sette angeli, i sette sigilli, le sette trombe ecc. ecc., con la Parusia, il ritorno di Cristo. Questa visione della fine dei tempi fu Agostino il primo a elaborarla, senza però fornire una data precisa della fine dei tempi. La dottrina agostiniana venne sviluppata in seguito da Beda il Venerabile e Isidoro arcivescovo di Siviglia e influenzò tutta l’esegesi medievale.
Gioacchino da Fiore (1130 / 1202)
Gioacchino da Fiore in preghiera (Incisione in rame del 1589)
il calavrese abate Gio(v)a(c)chino
di spirito profetico dotato.
Con questi solenni tre versi, nel canto XII, vv 139 –141 del Paradiso, Dante colloca nel cielo del Sole, fra i Dottori della Chiesa, lo scomunicato ed eretico Abate, da lui considerato un grande teografo perchéinsegnava la dottrina di Dio con le sue dotte speculazioni. Il tocco di grandezza del Sommo poeta è che lo fa presentare da San Bonaventura, in vita suo acerrimo nemico, sia personale che delle sue idee.
Per capire l’ammirazione di Dante per Gioacchino da Fiore basti pensare che le altre figure erano presentate sempre soltanto con il nome e qualche attributo, mentre per Gioacchino egli spende ben tre versi. Gioacchino nacque a Celico nel 1130, morì a Pietrafitta nel 1202. Figlio di una famiglia benestante (il padre era notaio, bene introdotto alla corte Normanna), è attratto dalla vita religiosa sin da fanciullo. Dopo un viaggio in Oriente con una visita a Gerusalemme e a Bisanzio, al rientro nel 1152 entrò nel convento di Santa Maria di Sambucina. Nel 1168 prese i voti, e già era notissimo per i suoi studi biblici, con varie pubblicazioni al suo attivo. Nel 1177 fu nominato Abate del monastero di Corazzo, dove produsse avendo come scribi Frate Giovanni e Frate Nicola, alcune delle sue opere più importanti come la Cetra delle dieci corde, Interpretazione dell’Apocalisse e La Genealogia, opere che ebbero l’imprimatur di Roma. Nel 1182 si ritirò nell’abbazia di Calamari, per dedicarsi completamente allo studio dei testi biblici. Il 25 agosto del 1196, nel suo nuovo eremitaggio a Fiore sulla Sila, che da quel momento fu chiamata San Giovanni in Fiore, con l’approvazione di papa Celestino III fondò l’Ordine del Florensi. Nel 1200 sottopose tutte le sue opere all’approvazione di papa Innocenzo III. Gioacchino morì il 30 marzo del 1202 a Pietralata. Nel 1225 il IV Concilio Lateranense, condannò l’opinione che l’abate aveva del teologo Pietro Lombardo. Ma ai nostri giorni il suo ruolo nella Chiesa è certamente rivalutato.Secondo Riccardo Succuro: Gioacchino da Fiore – fondatore dell’Ordine Florense – è un teologo della storia, un esegeta biblico ed un riformatore monastico. Nella storia del pensiero cristiano, Gioacchino emerge all’interno del gruppo di teologi della storia, i quali hanno cercato di fornire una ricostruzione complessiva dell’intero processo storico fondandosi sul messaggio biblico.
Le Tre Età della Storia Terrena.
Gioacchino, dopo una vita dedicata allo studio dei testi sacri, l’Antico Testamento, i Vangeli e in particolar modo l’Apocalisse di Giovanni, elaborò una esegesi della Storia del Tempo. Secondo il Grande Mistico, c’è stato un primo tempo in cui ha operato il Padre, un secondo tempo in cui ha operato il Figlio, e per forza di cose ci sarebbe stato un terzo tempo in cui avrebbe operato lo Spirito Santo, infatti nel quinto libro del suo testo Concordia Veteris et Novi Testamenti, Gioacchino scrive: Vi sono tre stati. Il primo stato è quello in cui fummo sotto il dominio della legge, il secondo quello in cui siamo sotto il dominio della grazia, il terzo, che attendiamo imminente, quello in cui sarà elargita una grazia più piena. Il primo stato visse nella conoscenza, il secondo nel possesso della sapienza, il terzo vivrà nella perfetta intelligenza. Il primo fu l’epoca della schiavitù, il secondo della servitù filiale, il terzo sarà il tempo della libertà. Il primo stato fu l’età appartenente al Padre, il secondo è l’età del Figlio, il terzo sarà l’età dello Spirito Santo. Così per Gioacchino abbiamo:
Ora, secondo Gioacchino, Lo Status dello Spirito Santo si riferisce ad un Ordo Spiritualis Monachorum, una chiesa di spiriti superiori, sempre in seno alla Chiesa di Roma e non in alternanza. Questa visione profetica dell’avvento di un ordine spirituale, che governerà la Nuova Ecclesia, per cui la vecchia gerarchia ecclesiastica verrà soppiantata, per la Chiesa di Roma è una visione eversiva. L’Abate Calabresel’aveva espressa nel suo Tractatus super quattuor Evangelia, testo composto da tre trattati (Sermoni), opera rimasta incompiuta e scritta verso la fine della sua vita.Un’altra grande elaborazione di Gioacchino fu Il Monasterium, uno schema di vita religiosa per Lo Status dello Spirito Santo, elaborato nella tavola XII Dispositio novi ordinis (nel Liber Figurarum), suddiviso in sette oratori:
Tavola XII Dispositio novi ordinis
Le figure del Liber, pensate e disegnate da Gioacchino in tempi diversi, vennero riunite assieme subito dopo la sua morte avvenuta ne 1202. Le figure illustrano in modo sublime il pensiero della sua teologia trinitaria e l’esegesi delle concordanze tra Antico e Nuovo Testamento (Concordia Veteris et Novi Testamenti). Del Liber si conoscono a tutt’oggi tre esemplari, il Codice di Reggio Emilia, il Codice di Oxford e il Codice di Dresda. Le figure del Codice di Reggio Emilia sono state datate verso la metà del XIII° secolo. Per gli esperti il Codice di Oxford è il più antico, in quanto disegnato tra il 1200 e il 1230, forse nello Scriptorium dell’abazia di San Giovanni in Fiore.
Questa concezione della vita a cui potevano partecipare tutti, laici e clero, coniugati e non, vivendo una vita spirituale sotto la guida di unAbate, strutturava la società perfetta sulla terra come la Gerusalemme Celeste, affrancandola dalla feudalità laica e ecclesiastica. Questa profeziaviene spiegata nel Monasterium (Tavola XII Dispositio novi ordinis) Sino ad allora i laici erano stati sempre tenuti ai margini della società sia civile che religiosa. Il Tondelli nel suo Libro delle Figure dell’Abate Gioacchino da Fiore scrive: La forte influenza che il libro delle figure esercitò su Dante può essere una misura dell’influenza che esso, certamente con altri libri figurati, dové avere sulle concezioni e sulle speranze, popolari o d’elementi colti, al tempo di Gioacchino ed in tutto il secolo che lo seguì. Il Tondelli ci descrive cosi gli ultimi due Oratori: Sotto, a grande distanza ideale,fissata in cifre in tre miglia vi sarà l’ordine o la famiglia dei sacerdotes et clerici che vogliono vivere nella purezza e nella vita comune: e più sotto, a distanza appena di tre stadi, l’ordine dei coniugati che accettino di vivere sub vita comuni, prendendo dalla comunità il vitto ed il vestito e lavorando sotto la regola in obbedienza al padre spirituale che loro presiederà.
Questo modello di società fu subito osteggiato dai Baroni e dalla Chiesa: infatti la complessa nuova teologia gioacchiniana non fu accolta da tutti, in particolare dalla Scuola di Parigi. Ma essa ebbe comunque alcuni grandi estimatori, che diffusero il pensiero di Gioacchino soprattutto presso i Francescani Spirituali sia in Italia che in Francia:
Tavola XI – Trinitarian Cicles
Nonostante la condanna per eresia, le sue idee hanno influenzato da subito l’arte e la cultura in generale: lo riscontriamo nell’apparato figurativo del Duomo di Assisi e in Dante che lo cita diverse volte nel suo Paradiso. Il merito di questa riscoperta va allo studioso Reggiano professore Don Leone Tondelli e alle due studiose inglesi che collaborarono con lui nello studio del Liber Figurarum. Nel loro commento: Il libro delle figure dell’Abate Gioacchino da Fiore esse spiegano che molte delle allegorie della Divina Commedia furono ispirate dal Liber Figurarum dell’Abate Calabrese.Lo studioso francese Xavier Rousselot nel suo libro Joachim de Fiore, Jean de Panne et la doctrine de l’Evangile éternel, Parigi 1861, attribuisce a Dante una dipendenza dalle idee di Gioacchino da Fiore
Gherardino Segalello o Gherardo Segarelli (1260 / 1300).
Il libertario di Dio
La condanna al rogo di un eretico inglese nel 1495
Fra’ Dolcino in un’immagine di Lorenzo Innaciotti di Romagnano Sesia
Fra Dolcino da Novara. 1250 / 1307
tu che forse vedra’ il sole in breve,
s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,
sì di vivanda, che stretta di neve
non rechi la vittoria al Noarese,
ch’altrimenti acquistar non saria leve. »
Dante Alighieri – Inferno XXVIII 54,60
Il 18 luglio 1300 Gherardino Segalello salì sul rogo a Parma, nonostante fosse iniziato il Primo Giubileo Cattolico, la grande festa del perdono. Lasciava un gran numero di seguaci, fra di loro Dolcino da Novara, che prese la guida del movimento, riuscendo a riorganizzarlo e a dargli una nuova struttura. Dolcino nacque a Prato Sesia vicino Vercelli verso il 1250. Secondo alcune fonti il suo vero nome era Davide Tornielli, ma di questi uomini perseguitati e arsi vivi non abbiamo testimonianze dirette, bensì soltanto quelle dei loro nemici, che con atti pubblici o cronache del tempo hanno sempre cercato di presentarli come dei reietti e dei fannulloni. Dolcino non sfugge a questa regola. Divenuto seguace del Segalello verso il 1291, Dolcino non era un illetterato: da alcune fonti si apprende che sin da bambino fu affidato per lo studio al maestro Syon, professore di grammatica ma che ben presto fuggì e si rifugiò nel Trentino, perché accusato di furto nei confronti del suo tutore.
L’autore della fonte anonima Historia fratris Dulcini heresiarchae scrive: Dulcinus, filius presbiteri Julii, l’inquisitore Bernardo Gui, nella sua opera: De secula illorum qui se dicunt esse de ordine Apostolorum, scrive: spurius filius sacerdotis. Studi più recenti hanno forse messo fine a questa diatriba: l’Orioli nel suo Venit perfidus heresiarcha, Il movimento apostolico dolciniano dal 1260 al 1307, Istituto Storico Italiano per la Storia del Medioevo, Roma 1989, afferma che Fra Dolcino è discendente di Julio Presbitero o Presbiteridella Valsesia, famiglia ghibellina imparentata con i Tonielli, perciò la causa della fuga di Dolcino secondo l’Orioli si deve soltanto alla sua appartenenza alla fazione dei ghibellini, fuga che le fonti cattoliche dell’epoca inquinarono accusandolo di furto. Dolcino, alla morte del Segalello nel 1300, ne prese il posto e fu costretto a fuggire con tutti i suoi seguaci. Come primo atto scrisse la sua prima lettera indirizzata a tutti gli Apostolici. Lettera che diventò il programma del movimento, dove Dolcino si presenta come guida profetica e capo carismatico. Si sa che Dolcino scrisse tre lettere, considerate delle vere e proprie encicliche. Si conosce parzialmente il contenuto riassunto della prima, perché ci è pervenuta sempre tramite l’inquisitore Bernando Gui dagli atti del processo. Dolcino dichiara pubblicamente che gli Apostolici, sono stati inviati da Dio, saranno i soli salvati, mentre tutto il clero, tutti gli ordini, tutti i tiranni saranno sterminati. Il loro movimento sarà ancora perseguitato, ma alla fine rimarranno solo loro perché Pauperes Christi – Poveri diCristo. Dolcino elabora una nuova teoria sulla spartizione della Storia del Tempo. Alla visione gioacchiniana che prevedeva una suddivisione della storia in tre epoche, Dolcino ne aggiunge una quarta e le denomina “Gradi di Santità”, così articolati:
Dolcino afferma che la sua profezia si sarebbe compiuta entro l’agosto del 1303, e l’esecutore del volere divino, cioè il distruttore di tutti i nemici degli Apostolici, sarebbe stato Federico III d’Aragona, e che papa Bonifacio VIII sarebbe stato ucciso da Federico III d’Aragona. E’ sempre l’inquisitore Bernardo Gui a riportare la profezia di Fra Dolcino della terza lettera di cui non si conosce il contenuto: Nel 1305 Federico diventerà imperatore; nominerà dieci re; papa, cardinali e tutti gli altri religiosi periranno ad eccezione di coloro che appartengono agli Apostolici e lui medesimo. Dolcino, sarà posto sulla sede di San Pietro. Sempre dalla prima letteraarrivata sino a noi, perché conservata nel fascicolo di Bernando Gui, Dolcino spiega l’avvento della sua era messianica, alla luce dei capitoli 1 – 3 della Apocalisse, e così per lui gli angeli inviati alle chiese sono:
Nel 1303, morto papa Bonifacio VIII ed eletto Benedetto XI, ripartono i processi contro gli Apostolici, a Bologna viene mandato al rogo Fra Zaccaria di Sant’Agata. Dolcino si reca con tutti i suoi seguaci che sono circa 4000 in Trentino, forse chiamato dal fabbro Alberto da Cimego. Nella sua casa Dolcino scrisse la sua seconda lettera. Nel 1304 è costretto a lasciare il Trentino e passare in Lombardia e proseguire per il Piemonte. Si fermano a Gattinara e a Serra Valle Sesia. Il movimento di Fra Dolcino sino a questo momento è stato totalmente pacifista, come lo era stato quello di Segalello, e come furono quasi tutti i movimenti considerati ereticali, che diventarono violenti solo quando furono attaccati duramente. In Val Sesia gli Apostolici si trovarono a predicare una chiesa povera ai contadini che già da molti anni erano in lotta con le baronie sia ecclesiastiche, quali il vescovo di Vercelli e il vescovo di Novara, sia con la potente famiglia dei Conti Biadrate. Le lotte per riscattarsi dalle servitù feudali ebbero inizio dal 1207 / 1217, quando si tentò di costituire dei governi autonomi. Anche questa volta Dolcino è chiamato dal capo della rivolta locale, Milano Sola di Campertogno. Gli interessi degli Apostolici e dei contadini sono gli stessi, sono perseguitati gli uni e in lotta gli altri contro gli stessi attori, le famiglie baronali e i vescovi locali. Nel 1305 papa Clemente V su richiesta dei vescovi di Vercelli e Novara indice la crociata contro Dolcino in Valsesia. Il papa invia tre bolle datate 7 settembre 1306, una agli inquisitori lombardi, una a Ludovico di Savoia signore del Vaud, l’ultima all’arcivescovo di Milano. Alla Crociata rispondono i baroni e i vescovi del centro e nord Italia e del nord Europa. Dolcino e i suoi, come già detto, non erano avvezzi all’uso delle armi, mentre i valleggiani erano combattenti coriacei che da sempre lottavano con le armi a loro più congeniali come l’arco, perché provetti cacciatori, e con i coltelli. Ranieri Avogadro di Pezzana,signore di Biella e vescovo di Vercelli, assoldò quattrocento balestrieri genovesi assai provetti. Dolcino e i suoi alla lotta armata contro un esercito ben fornito e ben armato offrirono la loro diligenza, mentre i forti e coriacei montanari la loro esperienza nell’uso delle armi e la conoscenza dei luoghi. Tutta la storiografia sia ecclesiastica sia laica da subito non ha voluto accettare l’idea che Dolcino fosse stato aiutato dalle popolazioni autoctone, idea che gli studi dalla fine dell’800 e del ‘900 hanno dimostrato falsa, per il semplice motivo che in quei luoghi di alta montagnanel basso Medioevo le strutture sociali erano tribali, e tutta la società si muoveva compatta. La lotta contro Dolcino e i montanari si può distinguere in due crociate, la prima dal 1305 al 1306 in Valsesia, fallita e che Dolcino e i suoi riuscirono a contrastare, la seconda dal 1306 al 1307, dove i crociati si riorganizzarono e riuscirono a spingere gli insorti nel Biellese sul monte Rubello. Qui gli insorti erano soli, non avendo referenti locali e furono stremati dalla fame e dal freddo per l’inverno particolarmente rigido. L’ultima grande offensiva dei crociati fu lanciata il venerdì santo tra il 22 e il 23 marzo. Gli ultimi resistenti furono massacrati e Dolcino con la sua donna Margherita da Trento e Longino Cattaneo da Bergamo suo luogotenente furono fatti prigionieri e l’indomani sabato santo furono trascinati in catene al castello di Piazzo, a Biella. Trascorsero tre mesi nell’attesa della decisione di Clemente V, che infine li fece giudicare dal tribunale dell’inquisizione. Fu chiesto più volte a Dolcino e ai suoi sventurati amici di abiurare, ma loro tennero testa ai loro carnefici e furono consegnati al braccio secolare e salirono sul rogo. Dolcino fu costretto ad assistere al rogo di Margherita in riva al torrente Cervo. Dolcino fu suppliziato con tenaglie roventi che gli strapparono le carni; mentre veniva portato in giro per le strade di Vercelli, non emise mai un lamento se non quando fu evirato, alla fine fu posto sulla pira per essere arso vivo: era il 10 giugno del 1307. La vicenda di Dolcino e i suoi seguaci suscitò grande stupore e risonanza tra i suoi contemporanei. Come abbiamo visto, lo stesso Dante, facendo una cronaca esatta degli avvenimenti del Monte Rubello, mette in bocca a Maometto, condannato nel girone dei seminatori di discordia e non tra gli scismatici una profezia: «Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,tu che forse vedra’ il sole in breve, s‘ello non vuol qui tosto seguitarmi, sì di vivanda, che stretta di neve non rechi la vittoria al Noarese, ch’altrimenti acquistar non saria leve.» (Inferno, Canto XXVIII, 54,60). Quasi tutti i commentatori della Divina Commedia hanno affermato che Dante ha avuto un occhio particolare e della simpatia per la vicenda di Fra Dolcino. Forse bisognerebbe tener conto del fatto che tra il 1287 e il 1289 Dante ebbe probabili contatti con il francescano Pietro di Giovanni Olivi (1248 / 1298), predicatore e teologo francese, uno dei capi della corrente degli Spirituali, aderente alle tesi di Gioacchino da Fiore, che insegnò teologia presso il convento francescano di Santa Croce a Firenze. Gli Apostolici sonol’unico movimento eretico ad essere citato nella Divina Commedia.
Simbolo dell’inquisizione
Storia delle inquisizioni.
La storia della lotta alle eresie, con relativi massacri per le crociate indette e per l’opera incessante dei tribunali dell’inquisizione, parte da molto lontano. Raccontando la Storia di Gioacchino da Fiore, di Gherardo Segalello e di Fra Dolcino da Novara, ho soltanto voluto soffermarmi su tre dei personaggi che per la loro storia sono arrivati sino a noi segnati da luci ed ombre, sempre perché la storiografia o gli atti erano di parte e negativi nei loro confronti. Come vedremo, le persecuzioni per i pagani e gli eretici iniziarono fin da quando, con l’editto di Tessalonica del 380 dell’imperatore Teodosio, l’impero diventò uno stato confessionale. L’editto prevedeva anche le pene per chi non si convertiva alla religione cristiana. Con editti successivi fu introdotta la pena di morteper chi veniva riconosciuto eretico. Una delle vittime più illustri fu la filosofa paganaIpazia, che nel 415 ad Alessandria d’Egitto fu massacrata dai Monaci Parabolani. Un altro episodio che destò enorme impressione fu la cattura nel castello di Monforte d’Alba dei feudatari e di tutta la popolazione convertiti alla fede Catara, da parte del vescovo di Milano Alberto da Intimiano coadiuvato dal vescovo di Asti Alrico. Tutta la popolazione fu deportata a Milano, sottoposta ad interrogatorio e, non avendo voluto abiurare la loro fede Catara, furono tutti condannati al rogo. Fu il Concilio Lateranense III ad approvare le prime misure inquisitoriali e il Concilio Lateranense IV del 1215 a istituzionalizzare l’inquisizione. Il termine “inquisizione” nei documenti ufficiali compare per la prima volta negli atti del Concilio di Tolosa del 1229. Secondo gli storici l’inquisizione si può dividere in tre fasi:
Papa Innocenzo III il 25 marzo del 1199, con la bolla Vergentis in senium, modifica il reato di eresia da religioso a crimine contro lo stato, coinvolgendo gli apparati degli stati nella lotta alle eresie a fianco della Chiesa. Papa Innocenzo IV il 15 maggio 1252 introduce l’uso della tortura con la bolla Ad extirpanda. Si deve tuttavia aspettare la fine del 1900 perché la Chiesa faccia ammenda dei suoi misfatti. E’ Papa Giovanni Paolo II a indire in Vaticano dal 28 al 31 ottobre 1998 un Simposio per fare il punto sulla Storia dell’Inquisizione, in vista del giubileo del 2000, quando avrebbe chiesto perdono per le atrocità commesse dalla Chiesa nei secoli passati. Alla conferenza parteciparono circa cinquanta storici e prelati chiamati a fare luce sull’inquisizione. Si scontrarono due correnti: una di tendenza revisionista mitigatoria, l’altra appoggiata dal papa che vuole la verità sui secoli bui delle persecuzioni. Il Pro-teologo della casa Pontificia Georges Cottier cita alla lettera le parole di Giovanni Paolo II: E’ l’ora di affrontare a viso aperto i fenomeni che hanno sfigurato il volto della Chiesa […] e che sono diventati contro-testimonianza e scandalo. Più esplicito il Cardinale Roger Etchegaray: Non muta il carattere ecclesiastico dell’inquisizione, perché (certi) poteri di intervento e di controllo furono riconosciuti a quei sovrani, in forma espressa o tacita, dal papato stesso e perché ecclesiastica fu la giurisdizione esercitata dagli inquisitori nei processi in materia di fede. Uno dei revisionisti che ha cercato di ridimensionare la portata delle esecuzioni delle varie inquisizioni è stato Agostino Borromeo, Preside dell’Istituto Italiano di Studi Iberici, che nella sua relazione riduce a qualche centinaio le condanne a morte dei tribunali italiani e spagnoli dell’inquisizione. Giovanni Paolo IIchiese perdono il 12 marzo del 2000 durante la Giornata del perdono. La storia delle persecuzioni degli eretici è stata una della pagine più buie della storia dell’Europadove furono perpetrati i più grandi crimini collettivi della storia, contro: catari, valdesi, beghini, spirituali, movimento del libero spirito, albigesi, umiliati, apostati, lollardi, poveri predicatori, hussiti, taboriti, fratelli boemi, convertiti, apostolici, ebrei, ebrei neri, ebrei bianchi, musulmani, protestanti, marrani (conversos), nestoriani, induisti, blasfemi, sodomiti, streghe, illuse, illudenti, bigami, superstiziosi, anabattisti, criptogiudei, criptomusulmani, pagani, illuminati, scismatici, peccatori di magia, sortilegi, divinazione, abuso di sacramenti, disprezzo delle Chiavi, studiosi, medici, alchimisti, atei, oppositori politici, filosofi, matematici, scienziati, per la maggior parte mandati ai roghi o massacrati durante le varie crociate. Facendo il salto di qualche secolo una delle figure più illustri finita nelle maglie dell’inquisizione fu Giordano Bruno, incarcerato per anni e più volte torturato, il 17 febbraio del 1600 a Piazza de’ Fiori a Roma, con la lingua in giova – serrata da una morsa perché non possa parlare, denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere. Alla lettura della sentenza ascoltata in ginocchio, Giordano Bruno si alza e rivolto ai suoi carnefici indirizza loro la storica frase: «Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam» («Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla»). E’ ancora oggi impressionante quello che si leggeva nel Manuale degli inquisitori di Nicolau Eymerich: Bisogna ricordare che lo scopo principale del processo e della condanna a morte non è salvare l’anima del reo, ma terrorizzare il popolo. Bisogna dire che non fu soltanto la Chiesa Cattolica a perseguitare gli eretici, accesero roghi i seguaci di Lutero dopo la riforma, accesero roghi gli Anglicani nel Regno Unito, dopo la scissione da Roma. Perciò fu una piaga vergognosa che ha attraversato tutta l’Europa e tutti i cristianesimi. Forse si deve anche al sacrificio di tutti questi uomini e queste donne che morirono per le loro fedi, se oggi tutte le libertà sono sancite e riconosciute dalla “Dichiarazione universale dei diritti umani,” firmata il 10 dicembre 1948, che al primo articolo recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”; all’articolo cinque: Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti; e all’articolo 18: Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti. Ma, nonostante oggi si sia arrivati a dichiarare che ogni individuo è libero di professare la sua religione, siamo certi di una cosa: dove nasceranno pensieri unici li ci saranno sempre perseguitati per eresia. A tal propositoscriveva San Tommaso d’Aquino: Hominem unius libri timeo (Temo l’uomo di un solo libro).
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