Georg Philipp Friedrich Von Hardenberg, che sarà poi conosciuto come Novalis, nasce il 2 maggio 1772 a Wiederstedt, in Sassonia-Anhaltad (Germania), nel castello di Oberwiederstedt, di proprietà della famiglia e tramandato da generazioni. E’ secondo di undici figli e la sua educazione è improntata ad un severo pietismo. Dopo studi compiuti privatamente, una precoce ed intensa presa di contatto con la letteratura, e un anno di ginnasio a Eisleben, segue corsi di giurisprudenza (in vista di una carriera in ambito forense), ma anche di filosofia a Jena, dove ha modo di seguire i corsi di Fichte e Schiller (che diverranno maestri e modelli).

Minato da una salute incerta, Novalis avrà sempre l’ombra della morte addosso, conducendo una vita contrassegnata da passioni estreme e da una costante tensione “visionaria”. Nel 1781, a soli nove anni, è costretto a letto da una grave malattia. L’inattività gli permette di leggere parecchio, seppur con grande sforzo. Una particolarità del suo carattere è la sua volontà di ferro.

Per respirare aria migliore, si trasferisce dallo zio, di mentalità decisamente più aperta rispetto al resto della famiglia. In seguito, come detto, frequenta l’Università a Weissenfeels-Sale ma ad un certo punto decide di proseguire a Lipsia dove stringe amicizia con un’altra anima assai “romantica”, Fredrich Schlegel. Il fervore giovanile porta Novalis a scrivere frequentemente: si tratta perlopiù di poesie ispirate da ragazze o di libelli indirizzati al potere politico, ma prendono anche forma sulla carta diverse suggestioni di ordine filosofico. Ad oggi il suo pensiero filosofico é contenuto soprattutto in una raccolta di “Frammenti”, rimasti per molto tempo inediti.

Nel 1793 Novalis vorrebbe intraprendere la carriera militare, ma la famiglia osteggia questa scelta, soprattutto per motivi di tipo economico. Avrebbe dovuto iscriversi prima all’Accademia, istituto assai costoso. Come ripiego si trasferisce a Tennstedt, dove nel novembre assume l’incarico di attuario alle dipendenze dell’amministratore distrettuale, August Just.

Durante un viaggio di lavoro a Gruningen incontra la famiglia Rockentien e s’innamora della figliastra, la dodicenne Sophie Van Kuhn. Come dirà lui stesso: “furono quindici minuti che cambiarono la mia vita“.

Il 15 marzo 1795 si fidanza con la ragazza.

In un ricevimento a casa del professor Niethammer, a Jena, conosce altri due sommi del pensiero e della poesia, rispettivamente il filosofo Johann Fichte e il tormentato Holderlin, anche se questo sarà di fatto il loro unico incontro.

Con Fichte la collaborazione si fa intensa, tanto che ne diventa allievo, intraprendendo fra l’altro gli studi sulla dottrina della scienza sviluppata dal filosofo. E’ il 1796. Sophie improvvisamente si ammala. La situazione si presenta subito grave e viene sottoposta a tre interventi chirurgici. Un anno dopo, l’amata fidanzata spira.

La morte della giovane segna una svolta decisiva nella vita del poeta, lasciando una ferita profonda che non si rimarginerà più. Tuttavia Novalis trova ancora la forza per studiare e approfondire il suo pensiero. Sotto l’influsso degli scritti di Böhme, Zinzendorf e Schleiermacher, diventa l’esponente più celebre del primo romanticismo tedesco.


 

Novalis ist für uns der Vertreter  (rappresentante) der Frühromantik.

Er stammte aus einer adligen Familie. Er studierte Naturwissenschaft neben seine Interesse für die Poesie und die Kunst, hatte er einen bürgerlichen Beruf. Er war nämlich Bergwerkassessor.

Tatsächlich soll er die Geschichte von den blauen Blumen von Bergleuten gehört haben. Der Bergmann (minatore) selbst ist für Novalis eine symbolische Figur.

Er ist wie der Künstler, er findet Schätze (tesori) unter der Erde, die für die anderen Menschen unsichtbar sind. Der Tod seines Bruders und seiner Verlobten übten (esercitarono) einen großen Einfluss auf seine Weltanschauung und auf seine literarische Produktion aus . Für Novalis ist der Tod der Anfang eines neuen Lebens, in einer höheren Dimension. Für Novalis sind Tod und Nacht verbunden. Die Nacht ist für Novalis nicht nur der Moment in dem Grenzen zwischen Fantasie und Wirklichkeit fallen, sie steht, wie der Tod, für die Wiedervereinigung (riunificazione) mit dem Unendlichen, Absoluten. Er starb sehr Jung an der Tuberkulose.

Wichtigste Werke
• Die Hymnen an die Nacht: in romantischer Prosa verfasst, sind reinster (pura) Ausdruck (espressione) der romantischen Sehnsucht nach einer höheren Welt: nach der Ewigkeit (eternità). In Novalis’ Werk herrschen (domina) die Hingabe an Gefühl und Fantasie, an die Sehnsucht und den Traum.
• Der unvollendet geblieben Roman Heinrich von Ofterdingen (1892): wurde als Bildungsroman konzipiert, wie Goethes Wilhelm Meister. In diesem Roman, von dem nur der erste Teil vollendet ist, unternimmt Novalis den Versuch, ein wirklich “romantisches Werk” zu schreiben, d.h., alle Gegensatze der Welt auf ihre innere, geheime Einheit zurückzuführen. Der Protagonist der mittelalterliche Minnesänger Heinrich gelangt (giunge) in ein anderes Land, in dem die Harmonie herrscht. Thema des Romans ist der Weg des Menschen nach innen (interno) und in die Unendlichkeit.
Romanzo simbolico sulla natura, “I discepoli di Sais”, oltre a essere una delle testimonianze più perfette dello straordinario linguaggio lirico di Novalis, costituisce uno dei testi più significativi del pensiero del poeta tedesco. A Sais, presso il simulacro della misteriosa Isis, entro le sale del tempio risuonano e si intrecciano le conversazioni che hanno per argomento la natura e il suo rapporto con l’uomo, la concezione del mondo come organismo incompiuto, le riflessioni sul potere vivificante della natura. Ora è la voce di Fichte che echeggia, ora ci pare di udire Schelling, ora avanza e parla amoroso il maestro di Freiberg. E la scuola di Freiberg è appunto l’accolita dei discepoli: Werner, il noto geologo apostolo della natura, che li sorveglia e li guida. Ed è in mezzo a loro che Novalis ci accompagna. In mezzo a forme aeree, indistinte, dove le figure svaniscono dinnanzi alle passioni dell’anima, dove i loro tratti sfilano leggeri, si arrestano un istante, sorridono, corrugano la fronte e non le si è ancora formate nella mente, che già sono via, lontane.

Filosofo della natura, rabdomante dei misteri della notte, Friedrich von Hardenberg, alias Novalis (1772-1801), apparve e scomparve come una folgore nel firmamento del romanticismo tedesco, lasciando dietro di sé un bagliore che seguitò a rischiarare l’immaginario poetico fino a oggi. Il fiore azzurro che per tutto l’Ottocento varrà come cifra della poesia sboccia nel suo romanzo Enrico di Ofterdingen (1802), storia di un’iniziazione alla parola poetica in cui il viaggio del protagonista attraverso una Germania dall’aura medioevale è allegoria di un cammino alla conquista della verità del sogno. La discesa fra i segreti del grembo della terra e del libro della natura, l’incontro con il bel volto di Mathilde e la sapienza di Klingsohr segnano le tappe di un progresso dell’anima, di un itinerario poetico dove soltanto la visione disserra gli arcani dell’essere. Alchimia di una prosa che fluisce liquida come le acque azzurre in cui sprofonda il sogno di Enrico e di uno stile perennemente in bilico fra l’incanto della fiaba e la lucidità della speculazione. Enrico di Ofterdingenrappresenta la suprema realizzazione di ciò che Novalis intendeva per poesia: «una follia secondo regola e con piena consapevolezza».

Se volessimo tener fermo il senso proprio, filosofico e non meramente letterario della parola romanticismo, dovremmo audacemente sostenere che esiste un unico, grande romantico: Novalis. E come corollario dovremmo dire che il più grande testo romantico, se non l’unico, sono gli ‘Inni alla notte’. […] Cos’è dunque, in breve, la poesia per Novalis? La poesia è magia immaginativa dell’io. Novalis riprende quindi l’idea fichtiana dell’io assoluto, interpretandolo però non come semplice soggetto trascendentale, ma come fonte infinita di realtà; l’idealismo diviene magico: la fantasia e la volontà del soggetto individuale – cioè del poeta – si fanno onnipotenti, dal momento che sono in grado di creare e trasformare il mondo. La poesia è dunque l’atto supremo, la libertà creativa assoluta; la trasformazione reale del mondo terreno, il fare dei casi della vita quel che ci pare, il servirsene a proprio capriccio: ‘quel che io voglio essere, io lo sono’.” (dall’Introduzione di Susanna Mati)