Luigi RIZZO
Capitano di corvetta

2 Medaglie d’oro al Valor Militare

Luigi Rizzo è l’Ufficiale che meglio di tutti ha rappresentato lo spirito ardimentoso della Marina Militare nella Prima Guerra Mondiale dimostrando doti di coraggio, forza spirituale e coerenza morale davvero uniche.
Egli nasce a Milazzo (Me) l’8 ottobre 1887. Cresce in una famiglia dove il mare e l’amor di Patria sono elementi imprescindibili dell’educazione dei figli. Nipote, figlio e fratello di marinai, si avvia fin da subito alla vita di mare imbarcandosi a otto anni sulla nave comandata dal padre, dimostrando di possedere piede marino e ottima predisposizione.
Nei 1905, non ancora diciottenne, ottiene la licenza d’onore all’Istituto Nautico di Messina ovvero il diploma di aspirante al comando di navi mercantili.


Imbarcatosi come mozzo apprendista sul veliero Speme sulla rotta Genova Buenos Aires, rischia il naufragio nelle vicinanze di Capo Horn. Dopo ulteriori esperienze a bordo della Siciliano e della Livietta, nei primi mesi del 1912 raggiunge i traguardi da lui tanto desiderati: diventare Capitano di Lungo Corso e il 17 marzo assumere il grado di Sottotenente di Vascello di complemento della Riserva Navale nella Marina Militare.
Nel 1912 lavora per la Commissione Europea del Danubio nel Mar Nero e merita una medaglia per il suo eroismo per aver salvato, al comando di una pilotina, un piroscafo da sicuro affondamento.
Nell’estate del 1914 rientra in Italia perchè richiamato alle armi prima alla Maddalena e poi, come istruttore, a Venezia. Il precipitare degli eventi lo porta a richiedere di entrare in azione ed è allora che inizia la sua storia di affondatore, il soprannome con il quale è maggiormente conosciuto.
Sin dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale si distingue, infatti, prima nella difesa marittima di Grado, ottenendo una medaglia d’argento al valor militare, poi, trasferito nella nuova arma dei MAS, per la partecipazione ad audaci missioni di guerra per le quali merita 2 medaglie d’oro al valor militare, 3 d’argento e  la promozione a Tenente di Vascello per meriti di guerra.
Tra le imprese da ricordare l’azione del dicembre 1917, per la quale gli è conferita la prima medaglia d’oro al valor militare ovvero l’affondamento, a mezzo siluri lanciati dal MAS da lui comandato, della corazzata Wien nelle acque del porto di Trieste.
Nel  febbraio 1918 è protagonista della Beffa di Buccari, un’azione all’interno del sistema difensivo austriaco che, pur non ottenendo risultati concreti, risolleva lo spirito delle forze armate italiane dopo la sconfitta di Caporetto. In tale circostanza viene coniato da Gabriele D’Annunzio il motto del MAS: Memento Audere Semper.
Con l’azione, detta di Premuda perchè si svolge nelle acque prospicenti quest’isola della Dalmazia, viene insignito della seconda medaglia d’oro al valor militare. La notte del 10 giugno Rizzo riesce a colpire e ad affondare la corazzata Santo Stefano mentre dirige con la flotta austriaca verso lo stretto di Otranto per forzarne il blocco degli alleati. La perdita della Santo Stefano rappresenta un colpo troppo duro per la Marina Austro-Ungarica, che da quel momento sospende ogni azione sul mare. In onore di questa vittoria la Marina celebra la sua festa proprio il 10 giugno.
Finita la guerra, nel 1919 partecipa all’impresa di Fiume, dove ricopre anche la carica di Comandante della flotta del Quarnaro, e l’anno dopo lascia il servizio attivo con il grado di Capitano di Fregata. Nel 1929 ricopre la carica di Presidente della Società di Navigazione Eola di Messina.
Nel 1935, per meriti di guerra, è insignito del titolo di Conte di Grado e, nel 1941, di Premuda.
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale rientra in Marina per occuparsi della difesa del Canale di Sicilia, ma è presto dispensato dal servizio per assumere, da Ammiraglio di Squadra della Riserva Navale, la Presidenza, del Lloyd triestino prima, dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico poi. In tale incarico, dopo l’otto settembre, ordina il sabotaggio dei transatlantici e dei piroscafi affinché non cadano in mano tedesca. Per questa sua direttiva è deportato in Germania. Rimpatriato al termine del conflitto, muore a Roma il 27 giugno 1951.

Horthy e Rizzo

Miklós Horthy

Miklós Horthy von Nagybánya (Kenderes, Ungheria, 18 giugno 1868 – Estoril, Portogallo, 9 febbraio 1957), ammiraglio e politico. Nacque in un’antica famiglia calvinista di medi proprietari terrieri. Compì gli studi all’Accademia navale di Fiume, fu promosso ufficiale nel 1886, alfiere di vascello nel 1890 e capitano di corvetta nel 1909; in quello stesso anno fu nominato anche aiutante di campo dell’imperatore Francesco Giuseppe. Nel periodo antecedente il primo conflitto mondiale era capitano di fregata, mentre con lo scoppio delle Guerre balcaniche e la mobilitazione della marina austro-ungarica fu al comando della corazzata «Budapest».

All’inizio delle ostilità, nel 1914, fu al comando della corazzata «Habsburg»; nel dicembre dello stesso anno, invece, passò al comando dell’incrociatore leggero «Novara», uno dei più moderni della flotta militare imperiale. Con lo scoppio del conflitto con l’Italia, con quell’unità attaccò Porto Corsini nel Ravennate, e partecipò a diverse azioni sia nell’Adriatico sia nello Ionio. Il 15 maggio 1917 fu coinvolto, sempre con il «Novara», in uno scontro con le forze alleate, che seppe affrontare con prontezza nonostante il numero superiore; per quell’impresa fu insignito dell’ordine di Maria Teresa. Assieme agli incrociatori «Helgoland» e «Saida», due cacciatorpediniere, due sommergibili e un U-Boot tedesco, uscì dalla base di Cattaro, e in una delle maggiori operazioni nell’area mediterranea affondò quattordici vapori sui quarantasette dislocati nel canale d’Otranto, più due cacciatorpediniere, uno francese ed uno italiano, e una nave da carico italiana. Nel marzo del 1918, sulla scia del successo ottenuto, fu promosso a controammiraglio e fu posto a capo della flotta della Duplice monarchia. Nel giugno dello stesso anno pianificò un’offensiva di ampie proporzioni, che prevedeva l’uscita simultanea delle due squadre navali che si sarebbero dirette nuovamente verso lo sbarramento navale alleato nel canale di Otranto. Dovette abbandonare l’impresa a seguito dell’affondamento della corazzata «Szent István» avvenuto nelle acque di Premuda (10 giugno 1918) per opera dei mas al comando di Luigi Rizzo (la corazzata «Tegethtoff», invece, non andò incontro alla stessa sorte per un difetto dei siluri che dovevano colpirla).

Nel corso della fase finale del conflitto gli equipaggi della flotta ancorata a Pola si ribellarono. Ci furono trattative con i due comitati, l’italiano e lo jugoslavo, ma nella notte del 31 ottobre 1918 i colpi di cannone rivelarono che l’intera flotta, compresi i materiali e gli equipaggiamenti, era passata ai rappresentanti jugoslavi. L’ammiraglio Horthy, in base alle disposizioni contenute nel dispaccio dell’imperatore Carlo del giorno prima, affidò le unità militari ai rappresentanti del Consiglio nazionale di Zagabria (Narodno vijeće) per evitare cadessero in mano italiana; parimenti consegnò il comando della marina militare al capitano di vascello Janko Vuković de Podkapelski, nominato comandante dal già ricordato Consiglio nazionale che morì solo poche ore più tardi nell’affondamento della «Viribus Unitis» nel porto di Pola. Nel primo dopoguerra, Horthy fu ministro della Difesa nel gabinetto Károlyi (1919), primo presidente della Repubblica popolare ungherese, riordinò l’esercito e si oppose a Béla Kun, che sconfisse entrando a Budapest e decretando la fine della Repubblica dei Consigli (agosto 1919).

Premuda, 10 giugno 1918, primissime luci dell’alba, il perchè della “giornata della Marina”

Una grande battaglia vinta, che cambia definitivamente il corso della Prima Guerra Mondiale a favore dell’Italia e dà grande prestigio alla Marina

Dieci giugno 1918. La corazzata Santo Stefano, una delle più moderne dell’Imperial-Regia Marina austroungarica, è salpata da poco dal porto di Pola, protetta dall’oscurità della notte. Ha l’obiettivo di riunirsi, nelle acque dalmate di Tajar, con le altre corazzate austroungariche: la Viribus Unitis e la Principe Eugenio. Tra le quattro corazzate varate durante l’ultimo anno di guerra figura la Santo Stefano (Szent Istvan), costruita nel cantiere ungherese Danubius lungo la costa dalmata. Essa viene varata a Pola, divenendo ben presto uno dei soggetti preferiti per le cartoline dell’epoca, immortalando perfettamente la grandezza dell’Impero degli Asburgo.

L’equipaggio austro-ungarico non sa, però, che la calma della notte è solamente apparente: poco lontano due MAS italiani stanno completando il loro giro di perlustrazione della striscia di mare che collega Ancona – da dove salpano ogni sera – alle isole dalmate, quando nel chiarore incerto dell’alba scorgono un filo di fumo nero all’orizzonte. Il comandante Luigi Rizzo inverte la rotta dei MAS e passa all’attacco. inizia così una delle più avvincenti imprese in mare della Grande Guerra: la battaglia di Premuda. Un vero e proprio scontro fra Davide e Golia.

Nell’anno 1918 l’Imperial-Regia Marina dell’Austria-Ungheria varò quattro corazzate, in risposta a ciò l’Italia, dietro la spinta dell’ammiraglio Paolo Emilio Thaon di Revel, studio l’utilizzo di nuovi mezzi piccoli e sottili capaci di sorprendere e colpire il nemico. Inizialmente, i MAS, furono pensati dalla Regia Marina come mezzi di pattugliamento e di difesa delle coste adriatiche, ma ben presto la loro versatilità suggerirà un ruolo diverso, come, ad esempio, essere impiegate per il trasporto di siluri. Sarà proprio Luigi Rizzo a dare a questi motoscafi la funzione con cui compirono le eroiche azioni che ancor oggi ricordiamo: Buccari e Premuda su tutte.

“Il vangelo delle operazioni della flotta dovrà sempre essere: arrecare maggior danno al nemico ricevendone il minimo, affidando a piccoli e veloci mezzi d’assalto il compito di condurre la strategia della battaglia in porto. Attaccando il nemico fin dentro le sue basi” (Thaon di Revel). Le parole dell’ammiraglio vengono pronunciate in seguito alla notizia della decisione dell’imperatore d’Austria di rimuovere l’Ammiraglio Njegovan e di nominare al suo posto, come comandante della Imperial-Regia Marina, il giovane Miklòs Horthy che, stando ai resoconti, sorpassò ben 48 pretendenti più anziani di lui (e ciò ci dice molto sul ruolo che ebbe in Ungheria tra le due guerre). Thaon di Revel temeva, infatti, che Horthy avrebbe rotto l’immobilismo della flotta imperial-regia che era oramai da mesi ancorata a Pola. Horthy mirava a sfondare lo sbarramento del Canale di Otranto, chiuso dagli italiani con reti e maglie d’acciaio che fece dell’Adriatico, in sostanza, un grande Lago, intrappolando la flotta austroungarica al suo interno.

I sospetti italiani sull’imminente offensiva non si rilevarono affatto infondati: Horthy elaborò un piano segreto per rompere lo sbarramento, chiamando in causa tutte e quattro le corazzate -Santo Stefano compresa – coadiuvate da quattordici imbarcazioni d’appoggio. Per la Santo Stefano era la prima missione e, data l’imponenza, le aspettative di Vienna erano molte. Il gioiello della marina imperiale non era però pronto, poiché era ferma in porto da 883 giorni e non aveva ancora ricevuto il battesimo del fuoco. Horthy credeva però di avere già la vittoria in mano, volendo ospitare addirittura, sulla Viribus Unitis, la nave ammiraglia, il più famoso reporter dell’Impero, Higol Erwin Kish. Questi era incaricato a scrivere un’esaltante cronaca sulla vittoria imperiale e ridare vigore a quella marina rimasta immobile per troppo tempo.

Per alcuni disguidi, la Santo Stefano e la Tegetthoff salparono in ritardo rispetto alla Viribus Unitis e le altre navi della squadra. Nel frattempo, da Ancona, i MAS di Rizzo partirono per l’abituale pattugliamento notturno della parte di Adriatico, compreso tra la costa italiana e quella austroungarica. “Tutto il canale di Lutorstrak era stato dragato, non ci rimaneva ormai altro da fare che ripiegare in porto. Presi un salvagente a mo’ di cuscino e mi sdrai con la faccia alle stelle, quando, ad un certo punto, notai una strana ed inusuale nuvola di fumo nero all’orizzonte.” Notando la nube di fumo del vapore della squadra di navi, i due MAS, uno guidato da Luigi Rizzo e l’altro da Giuseppe Aonzo, ritornarono indietro puntando allo stormo.

Rizzo riuscì, con un’abile mossa, a passare in mezzo ai due cacciatorpedinieri che proteggevano le due corazzate e sferrare, a poche centinaia di metri, un colpo di siluro alla Santo Stefano. Questa accusò pesantemente, evidenziando subito dei grossi danni allo scafo e cominciando ad imbarcare vaste quantità d’acqua nella sala macchine. Poco dopo, iniziò lo sbandamento della nave che, un paio d’ore più tardi, iniziò a capovolgersi e, lentamente, a colare a picco. Famoso rimane il filmato girato da due cineoperatori a bordo della Tegetthoff che consegnarono alla storia immagini irripetibili.

Il repentino affondamento della corazzata e la difficoltà nel bilanciamento, spinsero l’alto comando della Marina imperiale ad aprire un’inchiesta sulla costruzione della nave. Il resto della flotta austroungarica, vanificato l’effetto sorpresa dell’azione, dovettero rientrare nel porto di Pola. Tale umiliazione segnò definitivamente la fine della Imperial-Regia Marina, tanto che, nei restanti quattro mesi di guerra, non compì nessuna azione navale. L’azione di Premuda sorprese anche i comandi alleati che lasciarono il totale controllo dell’Adriatico al Regno d’Italia.

Nei giorni successivi, Luigi Rizzo ottenne una medaglia d’oro al valor militare, la seconda dopo l’affondamento della nave da battaglia Vienna nel porto di Trieste nel 1917. Un’altra medaglia al valore del tutto inaspettata e forse ancor più importante gli pervenne diciotto anni più tardi, nel 1936, quando il Reggente del Regno d’Ungheria, Miklòs Horthy, venne in Italia. Il Reggente ed ex-Ammiraglio dell’Imperial-Regia Marina chiese a Mussolini di incontrare colui che lo aveva sconfitto nel primo conflitto mondiale e, in seguito ad un incontro cordiale, lo insignì della Gran Croce dell’Ordine di Santo Stefano. Lo stesso nome della corazzata affondata da lui a largo dell’isola di Premuda.

Impresa di Rossetti e Paolucci a Pola: la Viribus Unitis 

1 novembre 1918

 

Viribus Unitis

corazzata da battaglia

 (classe Tegetthoff)

 

Significato del nome: “Viribus Unitis”, motto dell’ Imperatore Franz Joseph del 1849; il nome fu scelto direttamente dall’ Imperatore Franz Joseph e non proposto, come d’abitudine dalla Marina Militare.
Unita’ gemelle: Tegetthoff, Prinz Eugen, Szent István (simile)
Cantiere di costruzione: Trieste, Stabilimento Tecnico Triestino, Cantiere San Marco; progettista: Siegfried Popper;  impostazione: 24.7.1910;  varo: 24.6.1911;  completamento: agosto 1912;  ingresso in servizio: 5.12.1912;  costo complessivo: 60.600.000 corone
Dislocamento: 20.013,55 tonn.,   21.595 tonn. ad allestimento completato
Dimensioni: lunghezza fra le perpendicolari: 143,00 m; l unghezza al galleggiamento: 151,00;  lunghezza fuori tutto: 152,18;  larghezza: 27,34 m;  immersione: 8,23 m (8,86 m ad allestimento completato)
(altre fonti: lunghezza fuori tutto: 159,94 m;  larghezza: 27,28 m; immersione:  8,58)
Propulsione: 4 turbine a vapore Parsons di cui 2 ad alta e 2 a bassa pressione, costruite nello Stabilimento Tecnico Triestino Sant’ Andrea;  12 caldaie Yarrow;  4 eliche, relativamente piccole, del diametro di 2,75 m a 3 pale e rotazione esterna;  potenza 27.383 Hp
Velocità: 20,5 nodi;  autonomia: 4.200 miglia a 10 nodi;  combustibile: 1871 tonn. di carbone
(altre fonti: 20,3 nodi)
Protezione: cintura:  280 mm su un sottofondo di teak di 80 mm;  prua e poppa: 150 mm;  torri e torrione: 280 mm
(altre fonti:  torri: da 50 a 280 mm;  ponte: da 30 a 50 mm;  casematte: 120 mm;  torrione: 350 mm)
Armamento: 12 cannoni trinati Skoda da 305 mm L/45 in 4 torri; 12 cannoni singoli da 150 mm L/50 in casematte;   18 cannoni singoli antitorpediniere a tiro rapido da 70 mm;  2 cannoni a tiro rapido L/44 da 47 mm;  3 mitragliatrici Schwarzlose da 88 mm;  2 cannoni da sbarco L/18 da 70 mm;  2 cannoni a tiro rapido L/44 da 47 mm; 4 tubi lanciasiluri da 533 mm; 14 siluri;  20 mine
Equipaggio: permanente effettivo: 37 uffciali superiori + 16 sottoufficiali + 993 uomini
di complemento: 4.200 uomini
Storia: La “Viribus Unitis” fu la prima delle quattro navi della sua classe (“Tegetthoff”, “Prinz Eugen”, “Szent Iztván” e, appunto, “Viribus Unitis”) ad essere messa in cantiere. All’ epoca era diffusa l’ opinione che una squadra di navi di linea dovesse essere composta da un minimo di quattro corazzate.
Madrina in occasione del varo fu l’ Arciduchessa Maria Annunziata accompagnata dal fratello Arciduca Franz Ferdinand, in rappresentanza dell’ Imperatore, e dalla di lui moglie Arciduchessa Sophie Hohenberg. La “Viribus Unitis” era la prima nave da battaglia al mondo a montare i cannoni in torri trinate. Nell’ agosto 1912 furono effettuate le prime prove in mare e nel 1914 la nave salpò per la sua prima crociera di addestramento nel Mediterraneo Orientale toccando Smyrna, Adalia, Mersina, Alessandretta, Beirut, Alessandria d’ Egitto, Malta, Valona e Durazzo.
La “Viribus Unitis” trasportò le salme dell’ erede al trono Franz Ferdinand e della di lui consorte nell’ ultimo viaggio da Sarajevo verso Trieste a fine giugno 1914. Partecipò solamente a due azioni di guerra nel corso del primo conflitto mondiale: quella in appoggio alle navi tedesche “Goeben” e “Breslau” dell’ agosto 1914 e quella del bombardamento di Ancona e delle coste italiane del 24 maggio 1915. Dopo di che, ad eccezione di qualche viaggio di trasferimento, rimase prevalentemente nella base di Pola ricevendo nel dicembre 1916 la visita a bordo dell’ Imperatore Karl. L’ 8 febbraio 1917 morì a bordo il Großadmiral (Grandeammiraglio) Anton Haus.
L’ 11 giugno 1918 la nave era appena uscita da Pola per partecipare, come scorta a distanza, all’ azione contro il blocco italiano del Canale di Otranto quando giunse la notizia dell’ affondamento della Szent Iztván. La “Viribus Unitis” rientrò così immediatamente nella base navale.
Il 31 ottobre 1918 il viceammiraglio Miklós Horthy de Nagybánya diede ordine di ammainare per l’ ultima volta la bandiera austro-ungarica consegnando la nave e l’ intera squadra al neocostituito governo degli Slavi del Sud. Dalla “Viribus Unitis” sbarcarono tutti i marinai di nazionalità austriaca ed ungherese: l’ equipaggio rimase composto solo da sloveni e croati.  Il giorno successivo, 1° novembre 1918, la “Viribus Unitis” venne affondata nel porto di Pola dagli incursori italiani, l’ Ufficiale del Genio Navale Ingegner Giovanni Raffaele Rossetti e dal medico Raffaele Paolucci i quali, forzati i tre sbarramenti del porto con la loro imbarcazione chiamata “Mignatta” (un siluro a lenta corsa), alle 4.45 piazzarono le mine magnetiche sotto lo scafo della “Viribus Unitis” e poco dopo sotto lo scafo del piroscafo del Lloyd Austriaco “Wien” che era adibito a nave dormitorio. Rossetti e Paolucci, scoperti e presi prigionieri, furono trasferiti a bordo della “Viribus Unitis” e informarono il neo comandante della Marina Jugoslava Janko Vukovic de Podkapelski che la nave era minata invitandolo a dare l’ ordine di abbandono.  L’ equipaggio abbandonò la nave ma, poichè alle 06:00, ora prevista per l’ esplosione, nulla era accaduto, gran parte dell’ equipaggio rientrò a bordo, pensando che gli italiani avessero mentito. Alle 6.44 la nave saltò in aria e 14 minuti dopo affondò piegandosi a tribordo. Rossetti e Paolucci furono imprigionati sulla “Habsburg” e sulla “Radetzky”.
Va smentito il fatto che, entrata in possesso del Regno degli Slavi del Sud, la Viribus Unitis fosse stata ribattezzata “Jugoslavija” o “Frankopan” come riportato da alcune fonti.
Negli anni successivi al 1920 lo scafo affondato fu tagliato in tre blocchi e recuperato come rottame. Non si trovarono salme a bordo anche se si parla di 300 – 350 marinai croati dispersi.
Comandanti della “Viribus Unitis” furono il capitano di vascello (Linienschiffskapitän) Edmund Grassberger nel 1914 e 1915, il capitano di vascello (Linienschiffskapitän) Kamillo Teuschl nel 1917 e il capitano di vascello (Linienschiffskapitän) Janko Vukovic de Podkapelski nel 1918, quest’ ultimo morto nell’ affondamento della nave..