“Spunta l’alba del 16 giugno, comincia il fuoco d’artiglieria..” così inizia “Monte Nero” una delle canzoni più toccanti scritte a ricordo del sacrificio degli alpini nella grande guerra. La cima inespugnabile fu finalmente conquistata a carissimo prezzo tant’è che nella canzone il Monte appare come traditore ed il comandante di battaglione piange a vedere un così grande macello.   Ma se la conquista del Monte Nero, seppur nella sua tragicità, fu un successo e fu citata dalla stampa internazionale come esempio di brillante operazione bellica, esattamente due anni dopo un monte ancor più traditore si presentò a riscuotere un debito di sangue molto più grande.

La “strafexspedition” (spedizione punitiva) offensiva della tarda primavera del 1916 voluta dal nemico per colpire l’Italia, colpevole di aver tradito l’alleato germanico,  pur non avendo conseguito gli obiettivi previsti, aveva permesso al nemico di occupare zone fortemente strategiche e che risultavano una spina nel fianco in un fronte fino ad allora di scarsa importanza visto che gli obiettivi dei nostri Comandi erano principalmente rivolti al Carso. Così già dall’autunno di quell’anno gli alti comandi italiani iniziarono a progettare l’“Operazione K” per la riconquista di quelle zone. Fin da subito gli austriaci ne vennero informati vanificando sicuramente l’effetto sorpresa. L’arrivo dell’inverno, tra i più rigidi di quegli anni, con la neve che in quei luoghi raggiunse anche i 7/8 metri di altezza, fece rimandare l’attività bellica alla primavera. Gli austriaci approfittarono di questa sosta per arretrare leggermente, rispetto alle posizioni conquistate, consolidando la loro linea difensiva. In particolare dotarono la zona del M. Ortigara di caverne, rifugi ed una quantità notevole di nidi di mitragliatrice, cosa che sfuggì completamente alle nostre pattuglie avanzate di ricognizione. L’”operazione K” così come prevista in autunno venne ripresa quindi ed ampliata negli obiettivi finali con il termine di “Ipotesi Difensiva Uno”. L’offensiva venne lanciata il 10 giugno 1917, preceduta dall’immancabile massiccio bombardamento preparatorio, di modesta efficacia date l’estreme fortificazioni di cui il nemico si era dotato durante l’inverno. Mentre il XXII corpo d’armata venne bloccato, poco distante, da una fortissima resistenza, la 52° Divisione alpina, ottenne alcuni successi. In particolare, il battaglione Mondovì riuscì ad impossessarsi del Corno della Segala, supportato dal battaglione Ceva e dal Battaglione Val Stura. Il Battaglione Bassano attraverso il Vallone dell’Agnellizza (che verrà nominato Vallone della Morte), espugnò la quota 2.003 e ripartì all’attacco della quota 2.101, chiamata dagli Austriaci “Cima Le Pozze” e strenuamente difesa; l’assalto in un primo momento si arrestò, ma rinforzi giunti in aiuto consentirono la conquista della Cima. Non riuscendo a conquistare la vetta dell’Ortigara (quota 2.105) gli alpini si attestarono e fortificarono le loro posizioni. Già solo quel giorno di battaglia morirono: 35 ufficiali e 280 militari; i feriti furono 1874, 309 i dispersi.  

Nella notte, i Battaglioni Tirano e Monte Spluga si portarono di rincalzo: attraversarono il Vallone della morte, dove caddero un gran numero di soldati falciati da fuoco delle mitragliatrici, e raggiunsero quota 2.101 da dove  avrebbero dovuto continuare l’attacco. Alle ore 8 giunse l’ordine del generale Mambretti, comandante dell’Armata, di sospendere l’attacco e rinsaldare le posizioni. Il nemico, intanto, si era ulteriormente fortificato su Cima Ortigara. Per migliorare le nostre posizioni il generale Como Dagna, decise di sferrare un nuovo attacco proprio contro tale cima, e qui inizia quello che rimarrà nella memoria come “IL CALVARIO DEGLI ALPINI”. I battaglioni Verona e  Sette Comuni furono decimati nei continui e ripetuti assalti. Il Tirano e il Monte Spluga attaccarono nuovamente il Passo di Val Caldiera e la Cima Dieci ad ovest dell’Ortigara e raggiunsero, a prezzo di immani sacrifici, le posizioni: furono però costretti a ritirarsi per non essere circondati dal nemico. Si decise di sospendere le attività per almeno tre giorni, ma il 15 giugno gli austriaci contrattaccarono costringendo gli alpini ad una strenua difesa, che riuscì, indebolendo però la capacità di reazione delle nostre truppe. Il giorno 19 giugno Il gen. Mambretti, che nel frattempo aveva ottenuto piena capacità operativa da parte di Cadorna, decide di riprovare la conquista della cima, mantenendo lo stesso piano d’attacco iniziale che già aveva evidenziato tutti i suoi limiti. Su quota 2.105 si lanciarono, spinti dalla disperazione, sotto il fuoco incessante delle mitragliatrici, gli alpini della 52° Divisione in questo caso affiancati dai bersaglieri del 4° e 9° reggimento, fino ad allora di rincalzo,. Incredibilmente la spinta offensiva dette i suoi frutti e la cima dell’Ortigara fu conquistata pagando un prezzo altissimo di sangue. Non ci fu neanche il tempo di consolidare le posizioni che gli austriaci contrattaccarono in maniera violentissima, il 25 giugno, facendo uso di lanciafiamme e gas asfissianti oltre ad un terrificante bombardamento iniziale. La posizione fu di nuovo persa. L’ultimo atto della tragedia fu il contrattacco immediato voluto dal gen. Mambretti, poi ritenuto unico responsabile dell’insuccesso e pertanto rimosso. Provati e sfiduciati gli alpini superstiti al fianco dei bersaglieri si rilanciarono all’attacco nel vano tentativo di riconquistare quota 2.105. Alla fine dei quindici giorni di battaglia il prezzo di sangue pagato dalle penne nere fu di  12.633 morti di cui 5.969 solo l’ultimo giorno.. 

A ricordo di tutto ciò rimane la  Nostra colonna Mozza con quella la scritta impressa in tutti i nostri cuori: “PER NON DIMENTICARE”.