Kobarid è un paese sloveno di poco più di 4000 abitanti posto nell’alta valle dell’Isonzo a pochi chilometri dal confine italiano, Ernst Hemingway in “Addio alle armi” lo ricorda come un “Un villaggio bianco con un campanile in una valle. Era un villaggio pulito e c’era una bella fontana nella piazza” e da allora non è cambiato molto, nella sostanza è rimasto il paese tranquillo che era allora, quando il 24 ottobre di cent’anni fa fu teatro di una delle più famose battaglie della Grande Guerra, la XII battaglia dell’Isonzo, allora la più grande disfatta dell’esercito italiano. Si perché stiamo parlando di Caporetto. Ancora dopo anni, gli interrogativi sono tanti, molte le versioni e le valutazioni fatte dagli storici. La reazione del generale Cadorna che produsse quell’infame bollettino di guerra in cui parlava «di reparti della 2° Armata vilmente ritiratasi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico», che bollava i nostri soldati di tradimento sicuramente fu la causa principale del suo esonero. Com’è possibile che la 2° ARMATA del generale Capello, una grande unità che, soltanto qualche settimana prima, era stata sul punto di infliggere una sconfitta strategica al Leone dell’Isonzo, Boroevič, si sia sfaldata in brevissimo tempo, sotto i colpi di un attacco che non solo era previsto, ma di cui si conoscevano perfino giorno ed ora. Certo la presenza di truppe germaniche affiancate ai reparti austriaci portò quell’innovazione strategica che per la prima volta fece parlare di “Guerra Lampo”. L’avanzata del nemico a fondo valle si lasciò velocemente alle spalle i nostri capisaldi posti sui versanti delle montagne, trasformati in sacche di resistenza da combattere in un secondo momento. Questo consentì al nemico di penetrare in pochi giorni dentro le nostre linee per più di 100 chilometri, mentre fino ad allora un’avanzata di pochi chilometri era da considerarsi un grande successo. Tant’è che gli alti comandi nemici erano certi in poco tempo di dilagare nella pianura Padana e raggiungere Verona e fors’anche Milano. Ma la disfatta di Caporetto cambiò l’Italia intera compreso lo spirito di quei soldati che fino ad allora avevano attaccato e che adesso si trovavano a difendere, per la prima volta, le proprie case, le proprie famiglie, la propria Patria. Artefice principale di questa resurrezione fu Armando Diaz, il più giovane e sconosciuto generale di Corpo d’Armata, promosso a capo di stato maggiore dell’esercito direttamente dal Re. Le malelingue vedevano in lui un capro espiatorio per la probabile sconfitta. Egli seppe, invece, creare nei nostri soldati un clima di fiducia, necessario per superare la crisi, riuscendo a contenere gli slanci offensivi del nemico, creando le basi per la vittoria dell’anno seguente.
PAOLO RACCHI
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