Storia
Lacerba, rivista di letteratura, arte e politica, fondata a Firenze da Ardengo Soffici e Giovanni Papini (staccatisi da La Voce), fu pubblicata dal 1 gennaio 1913 fino all’ingresso dell’Italia in guerra, nel 1915.
Caratteristica principale è la polemica contro il conformismo, il tradizionalismo ed il quietismo, che conduce, di conseguenza, al desiderio interventista. Tramite le parole, così, viene espressa la libertà.
Il nome fu scelto ispirandosi all’Acerba Etas, nota anche comeL’Acerba, di Cecco d’Ascoli (1269-1327), celebre opera in cui l’autore è in contrasto con Dante Alighieri.
Lo stesso verso inserito nella testata della rivista da Papini, “Qui non si canta al modo delle rane”, è preso dall’Acerba Etas e diventò il motto della rivista.
È celebre l’introibo, in cui i fondatori stilano il “programma” della rivista.
- Le lunghe dimostrazioni razionali non convincono quasi mai quelli che non son convinti prima – per quelli che son d’accordo bastano accenni, tesi, assiomi.
- Un pensiero che non può esser detto in poche parole non merita d’esser detto.
- Chi non riconosce agli uomini d’ingegno, agli inseguitori, agli artisti il pieno diritto di contraddirsi da un giorno all’altro non è degno di guardarli.
- Tutto è nulla, nel mondo, tranne il genio. Le nazioni vadano in isfacelo, crepino di dolore i popoli se ciò è necessario perché un uomo creatore viva e vinca.
- Le religioni, le morali, le leggi hanno la sola scusa nella fiacchezza e canaglieria degli uomini e nel loro desiderio di star più tranquilli e di conservare alla meglio i loro aggruppamenti. Ma c’è un piano superiore – dell’uomo solo, intelligente e spregiudicato – in cui tutto è permesso e tutto è legittimo. Che lo spirito almeno sia libero!
- Libertà. Non chiediamo altro; chiediamo soltanto la condizione elementare perché l’io spirituale possa vivere. E anche se dovessimo pagarlo coll’imbecillità saremo liberi.
- Arte: giustificazione del mondo – contrappeso nella bilancia tragica dell’esistenza. Nostra ragione di essere, di accettar tutto con gioia.
- Sappiamo troppo, comprendiamo troppo: siamo a un bivio. O ammazzarsi – o combattere, ridere e cantare. Scegliamo questa via – per ora.
- La vita è tremenda, spesso. Viva la vita!
- Ogni cosa va chiamata col suo nome. Le cose di cui non si ha il coraggio di parlare francamente dinanzi agli altri sono spesso le più importanti nella vita di tutti.
- Noi amiamo la verità fino al paradosso (incluso) – la vita fino al male (incluso) – e l’arte fino alla stranezza (inclusa).
- Di serietà e di buon senso si fa oggi un tale spreco nel mondo, che noi siamo costretti a farne una rigorosa economia. In una società di pinzocheri anche il cinico è necessario.
- Noi siamo inclinati a stimare il bozzetto più della composizione, il frammento più della statua, l’aforisma più del trattato, e il genio mancato e disgraziato ai grand’uomini olimpici e perfetti venerati dai professori.
- Queste pagine non hanno affatto lo scopo né di far piacere, né d’istruire, né di risolvere con ponderatezza le più gravi questioni del mondo. Sarà questo un foglio stonato, urtante, spiacevole e personale. Sarà uno sfogo per nostro beneficio e per quelli che non sono del tutto rimbecilliti dagli odierni idealismi, riformismi, umanitarismi, cristianismi e moralismi.
- Si dirà che siamo ritardatari. Osserveremo soltanto, tanto per fare, che la verità, secondo gli stessi razionalisti, non è soggetta al tempo e aggiungeremo che i Sette Savi, Socrate e Gesù sono ancora un pò più vecchi dei sofisti, di Stendhal, di Nietzsche e di altri “disertori”.
- Lasciate ogni paura, o voi ch’entrate!
Nel Manifesto del Futurismo, pubblicato nel 1909 su Le Figaro e redatto dai Futuristi italiani guidati da Filippo Tommaso Marinetti, vengono comunicati i principi innovativi.
Il movimento è ciò da cui tutto scaturisce e che porta alla velocità, che permette la simultaneità, “Il Tempo e lo Spazio morirono ieri” (art. 8). Si tratta, però, di un “movimento aggressivo” (art.3) che conduce, quindi, alla necessità della guerra, vista come rifiuto di moralismo e, infine, all’irrazionalità.
Di seguito gli 11 articoli:
- Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
- Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
- La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
- Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
- Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
- Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
- Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.
- Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
- Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
- Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.
- Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
È dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.
I principali collaboratori furono:
Giovanni Papini
Filosofo, giornalista e scrittore, nonché fondatore della rivista “Lacerba”, è la vera espressione del pensiero Futurista.
“[…] Siamo troppi. La guerra è una operazione malthusiana. C’è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita […].
Chi odia l’umanità – e come si può non odiarla anche compiangendola? – si trova in questi tempi nel suo centro di felicità. La guerra, colla sua ferocia, nello stesso tempo giustifica l’odio e lo consola. “Avevo ragione di non stimare gli uomini, e perciò son contento che ne spariscano parecchi”. La guerra, infine, giova all’agricoltura e alla modernità. I campi di battaglia rendono, per molti anni, assai più di prima senz’altra spesa di concio. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s’ammucchiarono i fanti tedeschi e che grasse patate si caveranno in Galizia quest’altro anno! […]
Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerra è spaventosa – e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi.” (Amiamo la Guerra,“Lacerba”, ottobre 1914)
Della guerra parlerà anche un altro importante Futurista, Filippo Tommaso Marinetti, nel suo “Guerra: sola igiene del mondo”
- Il poeta Filippo Tommaso Marinetti
Elaborò diverse teorie sul verso futurista e le pubblicò nel Manifesto tecnico della letteratura futurista su Le Figaro nel 1912, tra le quali:
“2.Si deve utilizzare il verbo all’infinito. […] Il verbo all’infinito può, solo, dare il senso della quantità della vita.
7. […]Le immagini non sono fiori da scegliere e da cogliere con parsimonia, come diceva Voltaire. Esse costituiscono il sangue stesso della poesia. La poesia deve essere un seguito ininterrotto d’immagini nuove, senza di che non è altro che anemia e clorosi.[…]
11. Distruggere nella letteratura l’«io», cioè tutta la psicologia. L’uomo completamente avariato dalla biblioteca e dal museo, sottoposto a una logica e ad una saggezza spaventose, non offre assolutamente più interesse alcuno. Dunque, dobbiamo abolirlo nella letteratura, e sostituirlo finalmente colla materia, di cui si deve afferrare l’essenza a colpi d’intuizione, la qual cosa non potranno mai fare i fisici né i chimici[…].
L’uomo tende a insudiciare della sua gioia giovane o del suo dolore vecchio la materia, che possiede un’ammirabile continuità di slancio verso un maggiore ardore, un maggior movimento, una maggiore suddivisione di se stessa. La materia non è né triste né lieta. Essa ha per essenza il coraggio, la volontà e la
forza assoluta. Essa appartiene intera al poeta divinatore che saprà liberarsi dalla sintassi tradizionale, pesante, ristretta, attaccata al suolo, senza braccia e senza ali perché è soltanto intelligente. Solo il poeta asintattico e dalle parole slegate potrà penetrare l’essenza della materia e distruggere la sorda ostilità che la separa da noi [….].
Poeti futuristi! Io vi ho insegnato a odiare le biblioteche e i musei, per prepararvi a odiare l’intelligenza, ridestando in voi la divina intuizione, dono caratteristico delle razze latine. Mediante l’intuizione, vinceremo l’ostilità apparentemente irriducibile che separa la nostra carne umana dal metallo dei motori.
Dopo il regno animale, ecco iniziarsi il regno meccanico. Con la conoscenza e l’amicizia della materia, della quale gli scienziati non possono conoscere che le reazioni fisico-chimiche, noi prepariamo la creazione dell’uomo meccanico dalle parti cambiabili. Noi lo libereremo dall’idea della morte, e quindi dalla morte stessa, suprema definizione dell’intelligenza logica.”
Ardengo Soffici
Scrittore, saggista, poeta, pittore ma, soprattutto,
critico d’arte, fu il cofondatore di “Lacerba”.
Elena Mistrangelo 4 D
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