Quando l’Italia entrò in guerra, il Presidente generale del Club Alpino Italiano (CAI) Lorenzo Camerano, proclamò: “La Patria chiama tutti i suoi figli al fiero cimento. Accorriamo con cuore acceso di sacro amore per la grande Madre comune e con fede incrollabile nei suoi alti destini e nella vittoria, a dare ad essa tutta l’opera nostra ed il nostro sangue. E l’opera nostra sia degna di chi ha temprato l’animo e il corpo alla scuola ardita e forte della montagna sublime. Alto o fratelli, i cuori, alto le insegne e le memorie! Avanti, avanti, o Italia nuova e antica. Viva l’Italia! Viva il Re!”.
Già nel 1914 la Sede Centrale del Club Alpino Italiano si era apertamente schierata a favore della partecipazione dell’Italia al conflitto sulla base di quei principi patriottici, nazionalistici e risorgimentali che gli erano propri sin dalla sua costituzione, ispirati dal suo fondatore Quintino Sella. Un auspicio che veniva anche dalle numerose Sezione del Sodalizio e da una pluralità di soci, tant’è che vi fu da parte di quest’ultimi una pronta risposta: moltissimi di loro si offrirono volontari, indossando la divisa grigio-verde, come molti altri italiani. Molti soci appartengono al corpo degli Alpini, in considerazione della loro esperienza alpinistica, altri alla Fanteria, altri ancora alla Sanità militare o alla Marina o alla neonata Aviazione. Il 24 maggio 1915 oltre 2.000 di loro partirono per il fronte e tra loro i soci della Società Alpi Giulie (SAG) della Società degli Alpinisti Tridentini (SAT); in verità non tutti di loro: benchè, infatti, l’identità politica della SAG fosse prevalentemente filo italiana e molti degli appartenenti erano figure di primo piano dell’irredentismo come Napoleone Cozzi, altri rimasero fedeli all’Austria come Julius Kugy, intellettuale, alpinista e scrittore, che si arruolò nelle file degli Imperi centrali, pur, come lui rammenta “non sparando un colpo”, ritenendo l’Italia la sua seconda patria di appartenenza.
Ciò avvenne analogamente nell’ambito della SAT: dei 3.200 soci del 1915, non tutti si arruolarono come volontari nelle file italiane. Molti appartenenti a tale società furono richiamati alle armi dall’Austria sin dal 1914 e inviati nei Balcani; chi si fosse rifiutato di combattere sarebbe stato giudicato traditore e condannato alla pena di morte. Altrettanto vero è che da alcune sezioni venne il desiderio di pace e di fratellanza nel ricordo di tanti amici, ormai su fronti contrapposti. Se il poeta e scrittore Gabriele d’Annunzio inneggiava alla guerra, non di meno altri, anche nell’ambito delle Sezioni del Club Alpino Italiano, illustrano le ragioni per le quali il nostro paese avrebbe dovuto entrare nel conflitto. Ne sono esempi, tra gli altri, personalità dell’irredentismo come Ettore Tolomei, Damiano Chiesa e Cesare Battisti. Il primo, nato a Rovereto, fu convinto assertore dell’italianità dell’Alto Adige: allo scoppio della guerra si arruolò volontario nell’esercito. Il secondo, appartenente alla SAT, morì martire come Cesare Battisti, anch’egli iscritto alla SAT. Quest’ultimo, arruolatosi il 29 maggio 1915 nel 5° Reggimento Alpini, partì per Edolo e da qui andò in Trincea; fatto prigioniero, venne impiccato, come traditore, nel 1916. La sua cattura e la sua morte rappresentò per i lettori della Rivista del Club Alpino Italiano quella continuità tra le battaglie risorgimentali e la nuova guerra contro il nemico d’oltralpe, divenendo uno dei miti della Grande Guerra. Non meno sensibili a tali richiami come si è visto, furono i giovani, o meglio coloro che appartenevano alla SUCAI: goliardi a volte scanzonati e non curanti di quei rigidi protocolli che erano propri dell’associazione alpinistica. Significativa fu la loro esperienza maturata nell’alpinismo per l’assegnazione al Corpo degli Alpini. Molti di questi giovani vollero vedere più in là, auspicando, infatti, che all’Italia si ricongiungessero non solo il Trentino e la Venezia Giulia, ma anche la Dalmazia, terre rivendicate dagli stessi nazionalisti e irredentisti. Le giovanissime generazioni dell’epoca s’immolarono per un ideale. La Rivista del Club Alpino Italiano, numero dopo numero, riporterà l’elenco dei caduti e delle onorificenze a loro concessi. Altrettanto le Sezioni del Sodalizio onoreranno, con il ricordo, i loro caduti. L’opera del Club Alpino Italiano in quegli anni fu in gran parte rivolta alle innumerevoli iniziative sia dalla Sede Centrale sia dalla Sezioni. Vennero messe a disposizione dello Stato Maggiore i rifugi. Fu avviata una sottoscrizione per le opere di assistenza alle famiglie dei richiamati e a favore dei profughi. Si raccolsero indumenti, in specie di lana, e libri per i soci combattenti da portare al fronte. Si provvide a una serie di pubblicazioni con pratiche indicazioni per i combattenti contro i danni derivanti dal freddo e dal gelo: ben 200.000 copie furono distribuite per il tramite del Comando Supremo. Vennero altresì indette conferenze per illustrare i territori in cui si svolgeva la guerra; di quei territori si raccolsero carte topografiche, monografie e guide per lo Stato Maggiore. Vi fu sempre una stretta collaborazione tra il Club Alpino Italiano e le autorità militari, così che quest’ultime potessero avere dati in specie sulle zone alpine. Notevoli furono i riconoscimenti al Club Alpino Italiano da parte del Comando Supremo dell’esercito per il suo contributo e notevole impegno. Il Club Alpino Italiano provvide anche all’erogazione di somme a favore delle famiglie delle guide a cui si deve particolare riconoscenza per il compito svolto spesso a costo di ulteriori rischi, essendo impiegate in qualità di avanguardia. La partecipazione di tutti questi sarà di notevole vantaggio per l’esercito così come quella dei molti soci CAI alpinisti, per la loro padronanza delle tecniche alpinistiche e della loro attitudine con la vita ad alte quote. Tra questi ultimi e per la loro opera informativa sui territori, contribuirono Arturo Andreoletti e Antonio Berti . È il 1915 quando Andreoletti è richiamato alle armi sulle montagne ancora in grigioverde. Egli, perfetto conoscitore delle zone alpine, risulta l’ufficiale più esperto in alpinismo militare. Berti allo scoppio della guerra è assegnato al Battaglione Piave successivamente al Battaglione Val Cordevole di cui assunse il comando con il grado di capitano della 206° compagnia. Prende parte al primo combattimento nella zona del San Pellegrino e svolge, nella zona della Marmolada, operazioni impegnative nei settori Costabella, Col di Lana eccetera. Nel 1917 viene trasferito all’ufficio operazioni nella IV Armata; nel novembre è sul Monte Grappa come ufficiale di Stato Maggiore del IX Corpo d’Armata. Nel 1918 gli viene conferita sul campo la Medaglia d’argento al valore militare. L’amore che egli nutriva per la montagna e per il Corpo degli Alpini lo portò a concretizzare un altro progetto, la costituzione dell’Associazione Nazionale Alpini (ANA). Nel 1919 alcuni reduci di guerra ebbero l’idea di fondare un’associazione d’arma; proprio Andreoletti da poco congedato, auspicò che l’Associazione fosse aperta a tutti coloro che ne avessero il titolo per creare una “grande famiglia alpina” così che gli anziani avrebbero potuto lasciare ai giovani un’eredità da non doversi disperdere. Verrà convocata un’assemblea costituente nella quale venne eletto presidente il Maggiore Crespi e vice presidente lo stesso Andreoletti. Nel 1920 Andreoletti assunse la presidenza e organizzò il primo convegno dell’ANA. Nel 1918, al termine della Grande Guerra nel programma del Club Alpino, per la vittoria ottenuta si legge: “Onore e gratitudine a chi ha la grande sorte di ritornare a noi; onore e gratitudine e venerazione a quelli che hanno sacrificato il fiore della vita per il più eccelso ideale che possa arridere all’uomo! Noi meglio e più degli altri dobbiamo inchinarci verso di essi che hanno scritto le pagine immortali della storia del Club Alpino Italiano; quando li leggeremo il mirabile elenco dei caduti e più chiaro ci sarà dinnanzi al passato, nessun timore ci turberà per l’avvenire”.
Lorenzo Pitaccolo e Moggio Ludovica – 3A
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