Emilio Lussu fu avvocato, scrittore, leader politico e leggendario combattente, figura di grande rilievo della cultura sarda e italiana. Nacque ad Armungia nel 1890 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Partecipò alla Prima Guerra Mondiale come ufficiale di complemento della Brigata “Sassari”, distinguendosi per lo straordinario coraggio, l’umanità ed il grande carisma.Rientrato in Sardegna, fu tra i protagonisti del movimento che mirava a riscattare la Sardegna dalla sottomissione. Con importanti personaggi, fu, tra il 1919 e il 1921, fondatore del Partito Sardo d’Azione. Nel 1921 e 1924 fu deputato e si schierò apertamente contro il fascismo. Le reazioni squadriste iniziarono e lo stesso Lussu fu vittima di una spedizione punitiva. Nel tentativo di sfuggirvi, colpì a morte uno degli assalitori. Processato e assolto per legittima difesa, venne condannato al confino e trasferito nell’isola di Lipari nel novembre del 1927. Durante il confino, ebbe modo di conoscere Fausto Nitti e Carlo Rosselli, con i quali organizzò un’avventurosa fuga nel 1929, prima in Tunisia e poi a Parigi. Gli anni parigini furono particolarmente importanti. Lussu entrò in contatto con molti intellettuali e nel capoluogo francese incontrò Joyce Salvatori, che sposerà e che gli darà un figlio. A questi anni risalgono le opere maggiori di Lussu, ma fu nel 1936-1937 che compose l’opera più famosa, Un anno sull’altipiano, profondo e ironico diario del secondo anno di trincea nella Grande Guerra. Nel 1943 rientrò in Italia, e finita la guerra, nel 1945, fu ministro del governo Parri e poi del governo De Gasperi. Si spense a Roma il 5 marzo del 1975.
Un anno sull’altipiano
L’opera racconta i fatti accaduti e vissuti dall’autore nell’anno tra il maggio del 1916 e il luglio del 1917. Dopo un breve riposo ad Aiello, i soldati della Brigata Sassari vennero chiamati a combattere sull’Altipiano di Asiago. Essi erano entusiasti di non dover più fare guerra di trincea e speravano di partecipare ad azioni strategiche sulle montagne. Per i primi tempi fu così, ma quando gli austriaci definirono un fronte compatto i soldati, comandati dallo spietato e insano di mente generale Leone, furono costretti a trincerarsi a loro volta.
Nel passo che segue Lussu si trova nascosto dietro dei cespugli, in un punto insospettabile per i nemici che non hanno idea della sua presenza. La sua riflessione ci porta a capire che per quanto un soldato sia volenteroso, per quanto sia convinto della giustezza della guerra, per quanto sia intraprendente e coraggioso, in certi momenti non può non rendersi conto che dall’altra parte ci sono uomini, tali e quali a lui, che mangiano, bevono, ridono anche, respirano, vivono. Hanno solo una divisa diversa. E questo basta? E’ sufficiente a farne solamente un bersaglio?
“I soldati passavano, per uno o per due, senza curvarsi, sicuri com’erano di non essere visti, chè le trincee e i traversoni laterali li proteggevano dall’osservazione e dai tiri d’infilata della nostra linea. […] No, non v’era dubbio, io avevo il dovere di tirare. e intanto, non tiravo. Il mio pensiero si sviluppa con calma. Non ero affatto nervoso. […] Avevo di fronte un ufficiale giovane, inconscio del pericolo che gli sovrastava. non lo potevo sbagliare. Avrei potuto sparare mille colpi a quella distanza senza sbagliarne uno. Bastava che premessi il grilletto: egli sarebbe stramazzato al suolo. Questa certezza che la sua vita dipendesse dalla mia volontà mi rese esitante. Avevo di fronte un uomo. Un uomo! Un uomo! Ne distinguevo gli occhi e i tratti del viso. La luce dell’alba si faceva più chiara e il sole si annunziava dietro la cime dei monti. Tirare così, a pochi passi, su un uomo… come su un cinghiale! Cominciai a pensare che, forse, non avrei tirato. Pensavo. Condurre all’assalto cento uomini, o mille, contro cento altri, o altri mille, è una cosa. Prendere un uomo, staccarlo dal resto degli uomini e poi dire: “Ecco, sta’ fermo, io ti sparo, io t’uccido” è un’altra. E’ assolutamente un’altra cosa. Uccidere un uomo, così, è assassinare un uomo.”
Il generale Leone è, nel corso di tutto il libro, quasi il simbolo della follia di tanti generali e superiori da cui dipende la vita dei soldati. Questo e altri episodi, molto più frequenti di quanto si potrebbe pensare, raccontano come moltissime vittime siano state causate da una cattiva organizzazione e, ancora peggio, dalle scelte insensate di questi uomini, posti al comando delle brigate senza avere la capacità per farlo e senza essere guidati da sentimenti di rispetto verso i propri soldati, che utilizzavano solo per raggiungere la propria gloria.
“Noi avevamo costruito una trincea solida, con sassi e grandi zolle. I soldati la potevano percorrere, in piedi, senza essere visti. Le vedette osservavano e sparavano dalle feritoie, al coperto. Il generale Leone guardò dalle feritoie, ma non fu soddisfatto. Fece raccogliere un mucchio di sassi ai piedi del parapetto, e vi montò sopra, il binocolo agli occhi. Così diritto, egli restava scoperto dal petto alla testa. – Signor generale, – dissi io, – gli Austriaci hanno degli ottimi tiratori ed è pericoloso scoprirsi così. – Il generale non mi rispose. Dalle linee nemiche partirono due colpi di fucile. Le pallottole fischiarono attorno al generale. Egli rimase impassibile. […] Il generale contemplò i suoi spettatori con soddisfazione. – Se non hai paura – disse rivolto al caporale, – fa’ quello che ha fatto il tuo generale.- – Signor sì, – rispose il caporale. E, appoggiato il fucile, montò sul mucchio di sassi. […] Si era appena affacciato che fu accolto da una salva di fucileria. Gli Austriaci attendevano coi fucili puntati. Il caporale rimase incolume. Impassibile, il petto scoperto, guardava di fronte. – Bravo! – gridò il generale. – Ora puoi scendere. – Dalla trincea nemica partì un colpo isolato. Il caporale si rovesciò indietro e cadde su di noi.”
Veronica Palermiti e Alice Scaparra – 3A
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