Materiale fornito dalla prof.ssa Paola Colombo
LA MIA VITA IN GRIGIO VERDE (5 ANNI)
DUE ANNI IN RUSSIA: 29 LUGLIO ’41 – 22 APRILE ’43
Forse, care bimbe, una spiegazione è necessaria. La mia vita da militare ebbe inizio negli anni ’38 – ’39 come capo squadra del corso pre-militare radiotelegrafista. In quegli anni era d’obbligo ai premilitari un corso specializzato. A vostro padre toccò, chissà per quale motivo, il corso di cui sopra, che era così suddiviso: tutti i sabati dalle ore 15 alle ore 18 per esercitazioni varie e conoscenza delle armi (fucile 91 e mitragliatrice Breda). In più ogni martedì e venerdì due ore tecnico-pratiche di radiotelegrafista dalle ore 20 alle ore 22 presso l’ITI di Biella, Istruttore il signor Coggiola, ufficiale del reparto il signor Piero Dellasette. Poi il mese di marzo del ’40 visita attitudinale presso il distretto militare di Vercelli. Ecco il mio primo impatto. Anche lì capo di un gruppo di reclute. Negli anni di premilitare lavoravo come commesso di farmacia, aiutante presso la farmacia San Paolo (allora sita in via Torino, del Dott. Berruto, uomo burbero, ma di cuore generoso). Mi venne un’idea. Dissi: “Dottor Berruto, devo andare militare, potrebbe farmi una dichiarazione che sono aiutante di farmacia e sto imparando il mestiere?”. Subito assentì. Ed alla visita per l’inquadramento, all’ufficiale medico (di cui parlerò più avanti) esibii il documento. “Digitus Dei” (dito di Dio). L’ufficiale mi dichiarò abile a tutti i servizi, diede un’occhiata al foglio ed esclamò: “Ma sì! Meglio la Sanità che il Genio” (perché avendo fatto il corso di radiotelegrafista ero stato assegnato al primo reggimento genio di Torino). Partii per Savigliano con la mia squadra. L’ufficiale medico – lo appresi dopo – era il maggiore medico Marcello Bertinetti, campione olimpionico di spada ’29-’39, che trovai come direttore dell’ospedale militare di Savigliano. Quindici giorni su pagliericcio sul nudo pavimento, una scappata a casa nella settimana Santa per rivedere mia madre e gli amici. Grazie alla mia qualità di caposquadra dei premilitari e la mia conoscenza delle armi, nei tre mesi del servizio reclute fui promosso caporale e alla fine assegnato alla commissione medico-sanitaria per la visita degli ufficiali di ogni rango. Facevo la vita di impiegato. Cinque lire (erano monetine d’argento) ogni decade.
Dall’arruolamento nel Genio alla 2° Compagnia Sanità. L’arrivo a Rikovo, la marcia verso Dnipropetrovsk, la ritirata.
RUSSIA, BUFERA DI GELO E DI RICORDI
Sessant’anni fa il dramma dell’Armir sul Don. Parla Adriano Colombo: “Rivivo quei giorni”.
“Chi oggi vuole la guerra ha perso il lume della ragione. O, forse, ha solo dimenticato o non ha mai saputo che cosa sia la guerra. La guerra, a torto o a ragione, non ha mai giustificazioni. Odio la guerra e chi l’ha inventata”. Adriano Colombo, che tutti i Biellesi ben conoscono per la sua attività in seno al Movimento Cristiano dei Lavoratori di Biella, ha 84 anni, è un reduce della tragica campagna di Russia, si è visto assegnare due Croci al merito di guerra e conta ben tre Campagne di guerra. “Inizialmente, appena arruolato”, racconta, “venni assegnato al Genio, a Torino, ma successivamente approdai alla 2° Compagnia Sanità di Alessandria di stanza a Savigliano”. E proprio in virtù di quell’assegnazione Colombo si trovò ad operare in un ospedale da campo in Russia, ove fu destinato e ove rimase dal 29 luglio del 1941 al 22 aprile del 1943. “Avevo due squadre di portatori”, racconta, “e ci trovavamo a Millirovo, nel bacino del Don. Eravamo stati inviati in quella zona da Rikovo, ove si trovavano quattro ospedali da campo, un centro di disinfestazione ed un lazzaretto per coloro che venivano colpiti da tifo petecchiale. C’erano tanti feriti da soccorrere. E c’era un freddo incredibile. Divisi immediatamente le tipologie di intervento in tre distinte categorie: C (congelati), M (malati), F (feriti). Fu un’impresa inenarrabile, ma riuscimmo a trasportare a Rikovo oltre 400 feriti”. Ma non sempre i feriti potevano essere trasportati. Quelli che non si potevano muovere venivano lasciati sul posto con un piccolo drappello di guardia. “Ricordo un frangente in cui ci trovammo in questa situazione”, continua Colombo, “e la regola prevedeva che a rimanere di guardia fosse il graduato più anziano di grado, ma più giovane di età e non sposato. Sembrava il mio identikit. Con me c’erano il sottotenente Ausonio Astrusa, di Graglia ed un gruppetto di altri soldati”, prosegue Colombo, “con i quali riuscimmo a raggiungere un deposito di derrate alimentari ove trovammo gallette e scatolette. Era tale il freddo che per poter utilizzare il contenuto di quelle scatolette dovevamo prima tenerle a lungo sul fuoco per scioglierne il contenuto. Le razioni erano di una galletta ed una scatoletta ogni tre soldati. Inoltre, quelle povere cibarie potevano servire anche come merce di scambio. L’obiettivo era quello di tentare di raggiungere la zona di ritrovo che si trovava a Dnipropetrovsk. Lì i genieri avevano costruito un ponte di barche”. Centinaia di chilometri percorsi in situazioni estreme, incontrando lungo il cammino morti e feriti. E tanta desolazione anche tra le genti del luogo. Tanti silenzi pieni di eloquenza. O poche parole colme di solidarietà. “Una notte, dopo trenta chilometri di marcia estenuante, arrivammo in una Isba (tipici casolari russi N.d.R.) di campagna. Mi si avvicinò una donna che mi chiese se comprendevo il russo. Dissi che mi arrangiavo. Allora mi sussurrò di scappare perché l’indomani sarebbero arrivati i partigiani. Il giorno dopo da un gruppo di bersaglieri ed alpini apprendemmo che i partigiani erano arrivati davvero. Quella donna si chiamava Ljuba. Ci salvò la vita. Tanti Russi delle campagne ci aiutarono. Non provavano risentimento nei nostri confronti. I “cattivi” della situazione ai loro occhi erano i Tedeschi. Tante ragazze nei villaggi, quando arrivavano i Tedeschi, cercavano rifugio presso i nostri ospedali di campo poiché erano certe che lì nessuno avrebbe fatto loro del male”. Ma intanto si procedeva, lentamente, nella morsa del gelo e della bufera. “Il termometro arrivò a toccare i 52 gradi sotto lo zero”, prosegue Colombo, “e non è difficile immaginare quanto in quelle condizioni sia ardua qualunque normale azione. Difficile fare i propri bisogni, bere, fare scaldare il cibo. Anche seppellire i morti in quel terreno ghiacciato, tra cumuli di neve. Ma riuscimmo a proseguire, un po’ a piedi un po’ a bordo di vecchi camions con i teloni ed i copertoni pieni. E se il motore si fermava non c’era versi di ripartire. Si usava la pece riscaldante anche per gli obici poiché, diversamente, non avremmo potuto sparare un solo colpo”. Ma si doveva raggiungere ad ogni costo il confine con la Romania per andarsene da quell’inferno ove ormai le fila si erano da tempo disunite, i morti non si contavano più, la disfatta era palpabile. “Arrivammo nella sona dell’adunata. A Gome il nostro reparto sarebbe dovuto partire quella sera stessa. Per un contrattempo non fummo noi a partire, ma plotoni di bersaglieri e alpini. Arrivò un attacco aereo che li decimò. Ci saremmo dovuti essere noi al loro posto. Ce ne andammo il giorno dopo. E mentre il treno lentamente procedeva, lungo la ferrovia, a piedi procedevano donne polacche, perlopiù ebree, umiliate, schiaffeggiate, insultate dai soldati tedeschi”. E finalmente il rientro. E mentre giungevano le notizie delle dimensioni della disfatta della campagna di Russia, la consapevolezza di essere stati privilegiati dalla sorte. “Il buon Dio non ha voluto che morissi in mezzo a quel gelo”, conclude Colombo, “e spesso mi tornano alla memoria episodi e volti. Ho anche battezzato dei bimbi, ho curato, ho visto morire tanta gente. Ed oggi sono ancora qui, sessant’anni dopo, per testimoniare con altri come me quanto la guerra sia sempre, ovunque accada e per qualunque ragione, il peggiore dei mali”.
Giorgio Pezzana (Il Biellese, venerdì 24 gennaio 2003)
Russia
PRIMO NATALE DI GUERRA CON LO CSIR – 832 O.C. – DICEMBRE 1941
Al Biellese, con preghiera di pubblicazione.
La nostra divisione, la Torino, è accerchiata a Rikovo, in Ucraina a -35° – 40° gradi sottozero. I nostri ospedali di primo sgombero (831-832) sono al collasso, feriti da ogni parte. Il Tenente Cappellano Don Edoardo Ghirardi fa quello che può. Il Natale è vicino. Finalmente il 3° reggimento bersaglieri della Divisione Celere, dopo furiosi combattimenti, rompe l’accerchiamento unitamente a truppe tedesche. Riprende il trasporto dei feriti più gravi, il Tenente Cappellano celebra nella nostra baracca la Messa di Natale. Alla fine l’amico Panero del nostro ospedale attacca l “tu scendi dalle stelle…”; la commozione è palese, il ricordo va ai genitori, alle mogli, ai figli ed anche alle fidanzate. Ironia della sorte, nel gennaio del 1943 a Stalino ritrovo il Caporale Michele Venturi di Arezzo, anche lui in ritirata e già capo squadra porta feriti, lo riaggrego nuovamente a quello che resta del mio reparto e continuiamo a camminare. Si arriva a Golta (Pierrwoisk) e poi finalmente a Gomel, centro di radunata. È il mese di aprile del 1943, la tradotta ci riporta a casa, Tarvisio ed infine al campo di contumacia di Gemona Osoppo 29 aprile 1943. Saluto il cappellano Don Edoardo Ghirardi, promosso a capitano e trasferito di reparto. È la fine della “inutile strage” e del dover morire ancora una volta a comando.
Adriano Colombo, 832 O.C. ex-Csir
Verzuolo, 26/08/1998
Carissimo sig. Colombo, le scrivo per inviarle alcune fotografie e per farle avere alcune informazioni che sono riuscito a trovare.
Noi in Russia abbiamo avuto due comandanti e due cappellani. Il primo era il T. Galvano e l’altro il C. Nagarra, ben evidente sulla foto pubblicata su Famiglia Cristiana. Del primo Cappellano le invio una foto, ma non sono ancora riuscito a saperne il nome. Nell’altra fotografia è raffigurato un edificio di Rikovo dove dall’agosto 1942 è stato stabilito l’Ospedale da Campo fino ai giorni della ritirata. Nella terza foto ci sono io (segnalato dalla freccia) con alcuni compagni.
Avremmo tante cose da raccontarci e spero che venga presto a trovarmi. Se ha la possibilità di venire sino a Verzuolo, la mia casa è a solo 200 m dalla nostra parrocchia di S. Maria, salendo verso la collina. Le invio anche il mio numero telefonico, può trovarmi alle ore indicate. Sarei molto curioso di sapere il preciso nome di quel Rinaudo suo conoscente.
Tanti saluti
Aldo Ponzio di Verzuolo
(classe 1921)
Verzuolo, 11/09/1998
Carissimo sig. Adriano, ho ricevuto in questi giorni la sua gradita lettera e la ringrazio molto anche delle fotografie.
Le scrivo perché in questi giorni una mia vicina di casa ha rintracciato a Chianale, paese dell’alta Valle Varaita, la vedova del nostro postino in Russia che conservava ancora in qualche cassetto da tanti anni la lista di tutti i componenti dell’831 Ospedale da Campo, quando eravamo ancora a Savigliano prima della partenza per la Russia.
Per il momento le invio l’elenco degli Ufficiali comprendente il nome del Cappellano.
Riguardo alla Truppa si è modificata le ultime settimane: noi reclute del 1921 siamo andate a sostituire quindici anziani che avevano ottenuto la Licenza agricola.
Questa colta prendo l’occasione per inviarle il mio numero di telefono che ho scordato di mandarle nell’altra lettera.
I più cordiali saluti
Aldo Ponzio
UFFICIALI, SOTTUFFICIALI, GRADUATI E SOLDATI DELL’8 ARMATA!
NELLA DURA LOTTA SOSTENUTA A FIANCO DELLE ARMATE GERMANICHE E ALLEATE SUL FRONTE RUSSO, VOI AVETE DATO INNUMERI DECISIVE PROVE DELLA VOSTRA TENACIA E DEL VOSTRO VALORE. CONTRO LE FORZE PREPONDERANTI DEL NEMICO VI SIETE BATTUTI SINO AL LIMITE DEL POSSIBILE E AVETE CONSACRATO COL SANGUE LE BANDIERE DELLE VOSTRE DIVISIONI. DALLA JULIA CHE HA INFRANTO PER MOLTI GIORNI LE PRIME ONDATE DELL’ATTACCO BOLSCEVICO. ALLA TRIDENTINA CHE – ACCERCHIATA – SI È APERTA UN VARCO ATTRAVERSO UNDICI SUCCESSIVI COMBATTIMENTI, ALLA CUNEENSE CHE HA TENUTO DURO SINO ALL’ULTIMO, SECONDO LA TRADIZIONE DEGLI ALPINI D’ITALIA, TUTTE LE DIVISIONI MERITANO DI ESSERE POSTE ALL’ORDINE DEL GIORNO DELLA NAZIONE. COSÌ SINO AL SACRIFICIO VI SIETE PRODIGATI VOI, COMBATTENTI DELLA RAVENNA, DELLA COSSERIA, DELLA PASUBIO, DELLA VICENZA, DELLA SFORZESCA, DELLA CELERE, DELLA TORINO, LA CUI RESISTENZA A CERKOVO È UNA PAGINA DI GLORIA, E VOI, CAMICE NERE NEI RAGGRUPPAMENTI 23 MARZO E 3 GENNAIO, CHE AVETE EMULATO I VOSTRI CAMERATI DELLE ALTRE UNITÀ. PRIVAZIONI, SOFFERENZE, INTERMINABILI MARCE HANNO SOTTOPOSTO A PROVA ECCEZIONALE LA VOSTRA RESISTENZA FISICA E MORALE. SOLO CON UN ALTO SENSO DEL DOVERE E CON L’IMMAGINE ONNIPRESENTE DELLA PATRIA POTEVANO ESSERE SUPERATE. NON MENO GRAVI SONO STATE LE PERDITE CHE LA BATTAGLIA CONTRO IL BOLSCEVISMO VI HA IMPOSTO, MA SI TRATTAVA E SI TRATTA DI DIFENDERE CONTRO LA BARBARIE MOSCOVITA, LA MILLENARIA CIVILTÀ EUROPEA.
UFFICIALI, SOTTUFFICIALI, GRADUATI E SOLDATI!
VOI AVETE INDUBBIAMENTE SENTITO CON QUANTA EMOZIONE E CON QUANTA INCROLLABILE FEDE NELLA VITTORIA FINALE, IL POPOLO ITALIANO HA SEGUITO LE FASI DELLA GIGANTESCA BATTAGLIA E COME ESSO SIA FIERO DI VOI. SALUTE AL RE!
MUSSOLINI
DAL QUARTIER GENERALE DELLE FORZE ARMATE, IL 1° MARZO 1943-XXI
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